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04 Novembre 2025 - 17:41
Giorgio Forattini nel novembre 2023 alla serata per la donazione del suo archivio
È morto Giorgio Forattini, a Milano, a 94 anni. Con lui se ne va non solo un disegnatore, ma un pezzo di coscienza satirica italiana: la matita che per oltre mezzo secolo ha graffiato il potere, lo ha deriso, lo ha spogliato delle sue maschere. Forattini non faceva vignette: faceva cronaca. In tempi in cui la parola “satira” era sinonimo di leggerezza, lui ne fece una forma di giornalismo visivo.
Nato a Roma nel 1931, cresciuto tra studi classici e lavori precari, cominciò quasi per caso, vincendo un concorso per disegnatori del Paese Sera. Da lì partì una carriera che avrebbe intrecciato ironia e politica, leggerezza e rigore. Negli anni Sessanta e Settanta collaborò con Panorama, La Stampa e Il Giornale, prima di diventare una presenza fissa su Repubblica. Le sue vignette in prima pagina erano appuntamento quotidiano per milioni di lettori: un lampo di sarcasmo che anticipava, spesso, la realtà stessa.
Forattini disegnava la Prima Repubblica come un grande teatro grottesco. Andreotti, Craxi, Pertini, Spadolini, Berlinguer, Agnelli, persino il Papa: tutti finirono dentro il suo tratto affilato, deformati ma riconoscibili, simboli di un’Italia in trasformazione. Craxi lo raffigurava in uniforme mussoliniana, Andreotti con la schiena curva e il sorriso mellifluo, Pertini col bastone e il ghigno sornione. Non risparmiò nessuno, e proprio per questo la sua matita divenne leggendaria.

Giorgio Forattini in una foto di qualche anno fa
Con la Seconda Repubblica, Forattini continuò a colpire con la stessa lucidità. Berlusconi, Prodi, D’Alema: tutti entrarono nella sua galleria di caricature spietate, icone di un’epoca fatta di contraddizioni e ambiguità. La sua forza era nella semplicità del tratto: poche linee, ma costruite come una lente d’ingrandimento morale. Attraverso la deformazione dei volti e l’uso sapiente del simbolo, Forattini raccontava l’Italia più di tanti editoriali.
Fu anche fondatore de Il Male, la rivista satirica che negli anni Settanta scardinò il linguaggio del potere e l’ipocrisia della stampa. Lì, insieme ad altri provocatori di talento, sperimentò una satira senza freni, anarchica e politica, capace di anticipare la cultura del dissenso.
Nel corso della sua lunga carriera ricevette premi, querele e minacce, ma non cambiò mai registro. Diceva di non appartenere a nessun partito, e forse per questo riusciva a colpire tutti. La sua matita era una forma di opposizione permanente: alla menzogna, all’arroganza, al conformismo. “Non sono neutrale”, amava dire, “ma non sono nemmeno militante”. Una posizione scomoda, ma onesta.
Con la sua scomparsa si chiude una stagione della satira italiana. Nessuno, dopo di lui, ha più avuto lo stesso spazio né la stessa libertà di colpire in prima pagina. Forattini ha fatto ridere e arrabbiare, ma soprattutto ha fatto pensare. Le sue vignette restano come un archivio illustrato della Repubblica: una memoria disegnata, pungente e lucidissima, capace di trasformare il sorriso in riflessione.


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