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Torino, l’allarme del terziario: “Così il commercio muore, servono risorse e nuove regole”

Dati e analisi dell’Ufficio Studi: imprese in calo, consumi in frenata, PIL al +0,5%. Il Piemonte regge, ma rischia la stagnazione

Torino, l’allarme del terziario: “Così il commercio muore, servono risorse e nuove regole”

Maria Luisa Coppa

Ottant’anni. Una vita intera, se fosse una persona. Un’epoca, se si parla di economia, società e lavoro. Ma che cosa significa compiere ottant’anni in Piemonte, per chi vive ogni giorno di commercio, di vetrine accese, di clienti che non arrivano più come una volta? È la domanda che aleggiava al Teatro Vittoria di Torino, dove Confcommercio Piemonte ha festeggiato il suo anniversario più importante, quello in cui il bilancio della memoria si mescola con la fatica del presente e l’incertezza del domani.

Il titolo scelto – “Ricordare il futuro” – non è solo una trovata retorica. È il cuore del problema. Perché il futuro del commercio piemontese, quello vero, quello fatto di bar che chiudono e negozi che resistono, non è più garantito.

Eppure, l’atmosfera della giornata è stata di quelle solenni. Autorità nazionali e regionali in prima fila: il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, l’assessore al Commercio Paolo Chiavarino, il presidente di Confcommercio nazionale Carlo Sangalli. A fare gli onori di casa, Giuliano Viglione, presidente di Confcommercio Piemonte, che ha scelto tre parole come bussola: Storia, Fiducia, Visione.

Le radici ci dicono chi siamo – ha detto Viglione – e raccontano la storia di un lavoro quotidiano a fianco delle aziende, delle lotte in loro difesa, dei progetti per aiutarle a crescere.” Poi, con un tono che ha unito orgoglio e preoccupazione, ha ricordato che il terziario piemontese rappresenta oggi oltre il 45% dell’occupazione regionale, con più di 200 mila imprese che generano l’80% del valore aggiunto dell’economia locale.

Eppure, nonostante il peso enorme del settore, le risorse pubbliche dedicate restano esigue. Troppo esigue, se si vuole davvero invertire la tendenza. “Chiediamo che anche il commercio, il turismo e il terziario possano usufruire dei fondi strutturali europei con misure dedicate” ha incalzato Viglione, ricordando la necessità di una revisione della legge regionale sul commercio, una norma che “non tiene conto dei radicali cambiamenti degli ultimi 25 anni”.

Dietro i numeri, si intravede un fenomeno che preoccupa tutti: la desertificazione commerciale. Negozi che chiudono, centri storici svuotati, quartieri che perdono vita e sicurezza. “Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza dei Distretti del Commercio – ha sottolineato il presidente regionale – perché soltanto una programmazione che tenga conto delle esigenze reali dei territori può garantire sopravvivenza ai negozi e contrastare la desertificazione.

È un problema che non riguarda solo le città. Dalle valli alpine ai borghi della pianura, la chiusura dei negozi di prossimità ha conseguenze profonde: isolamento, impoverimento sociale, perdita di servizi essenziali. Non è solo economia: è civiltà.

Sul palco del Teatro Vittoria, il ministro Zangrillo ha scelto di parlare di efficienza e alleanze. “Un apparato pubblico efficiente è un volano per lo sviluppo del Paese”, ha detto. Il suo intervento ha avuto toni pragmatici: 400 semplificazioni già realizzate, un percorso verso la piena interoperabilità degli sportelli SUAP e SUE, e strumenti digitali come Italia Semplice, il portale per consultare online tutte le semplificazioni amministrative già in vigore.

Zangrillo ha rivendicato anche le novità sul fronte del reclutamento nella pubblica amministrazione: “Con il portale inPA abbiamo 2,6 milioni di utenti iscritti. Reclutiamo in modo più veloce, valorizziamo il merito e introduciamo percorsi di crescita basati sui risultati.” Poi un passaggio di tono più umano, quasi simbolico: “Al sapere si deve affiancare il saper fare”. E, rivolgendosi a Confcommercio, ha riconosciuto nel sistema associativo “una cerniera tra istituzioni e imprese, presidio di identità e innovazione per tutto il Paese”.

In platea, gli applausi più sentiti sono arrivati quando Anna Rossomando ha ricordato il ruolo delle piccole imprese come spina dorsale del tessuto urbano e sociale. “Confcommercio ha accompagnato per decenni le trasformazioni economiche e sociali del territorio, tutelando un patrimonio diffuso fatto di negozi e servizi.” Una storia, la sua, che si intreccia con quella del Piemonte produttivo, dove l’artigianato e il commercio hanno garantito per anni coesione, lavoro e dignità.

Ma il quadro che emerge dagli studi di settore non è confortante. Secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio, nel 2024 il PIL del Piemonte è cresciuto dello 0,9%, leggermente sopra la media nazionale (+0,7%), ma nel 2025 rallenterà allo 0,5%. I consumi, dopo un buon +1,6% del 2024, si fermeranno a +0,9%.

La dinamica demografica delle imprese è impietosa: 14.396 cessazioni a fronte di 8.619 nuove iscrizioni nello stesso anno. Il saldo è negativo, e pesano soprattutto le chiusure nel commercio al dettaglio, dove la competizione dell’online e dei grandi centri commerciali ha spazzato via centinaia di piccole attività.

Solo in parte resistono i settori legati all’alloggio, ai servizi informatici e alle attività professionali e tecniche, che mostrano un lieve aumento. Ma è un segnale troppo debole per invertire la rotta.

In questa cornice, il presidente Alberto Cirio e l’assessore Paolo Bongioanni hanno ricordato gli interventi regionali a sostegno del commercio: 12 milioni di euro nel Fondo unico, 94 Distretti del Commercio attivi, ristori per un milione di euro alle attività danneggiate dalla chiusura del traforo del Tenda e 400mila euro per i negozi penalizzati dai cantieri della metro di Collegno. “Il commercio è un presidio di vita per le comunità – hanno ribadito – genera relazioni, sicurezza, senso di appartenenza.

Parole che suonano come un riconoscimento, ma anche come una promessa ancora da mantenere. Perché, nella realtà, le risorse stanziate non bastano a compensare anni di disinvestimento pubblico, né a colmare la frattura tra grandi e piccoli operatori.

Se c’è una voce che ha raccontato con lucidità la dimensione territoriale della sfida, è stata quella di Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Torino e provincia, la prima associazione per numero di soci. “Abbiamo costruito una rete capillare con 14 sedi in provincia – ha spiegato – e oggi gestiamo 30 Distretti Urbani del Commercio. È un riconoscimento alla nostra capacità progettuale, alla forza della rappresentanza e alla visione che coniuga sviluppo e coesione.

Coppa ha parlato di cultura come chiave di evoluzione del commercio: “Abbiamo portato la cultura dentro il mondo del commercio, e ora lo stiamo facendo con il turismo.” Poi ha aggiunto, con una frase che riassume lo spirito dell’intera giornata: “La vera forza di un sistema economico sta nella sua capacità di evolvere restando fedele alle proprie radici.

E di radici, Confcommercio Piemonte ne ha tante: otto associazioni territoriali, 52 sedi, 801 dipendenti, oltre 33 mila imprese associate, 166 mila lavoratori rappresentati, sette consorzi turistici, sei sportelli per l’innovazione digitale e più di duemila corsi di formazione attivati nel 2024.

Numeri che descrivono una rete viva, nonostante le difficoltà, e un tessuto imprenditoriale che ancora crede nel valore dell’associazionismo.

Ma basta questo per “ricordare il futuro”?

La sala piena

Il presidente nazionale Carlo Sangalli, con la sua consueta calma lombarda, ha ricordato che “Ottant’anni di Confcommercio Piemonte sono ottant’anni di storia italiana.” Ha parlato di rigenerazione urbana, di innovazione diffusa, di attrattività dei territori. Ma soprattutto di identità. “Essere consapevoli delle nostre radici profonde – ha detto – è il modo migliore per costruire il domani.

Eppure, nelle parole di Sangalli si legge anche la consapevolezza che il modello economico del Novecento è finito. Il negozio sotto casa non è più soltanto un luogo di scambio, ma una frontiera sociale. Dove chi entra, oggi, non cerca solo un prodotto, ma un segno di resistenza alla spersonalizzazione digitale.

Nell’analisi dell’Ufficio Studi, il Piemonte resta comunque un territorio più dinamico rispetto alla media nazionale. Ma la crescita del PIL, ferma allo 0,5%, e la frenata dei consumi indicano un rischio concreto: una stagnazione strutturale. La desertificazione non è solo un problema commerciale, ma un sintomo di un declino più profondo.

Dietro ogni saracinesca abbassata, ci sono relazioni spezzate, storie interrotte, mestieri che scompaiono. E spesso, nessuno che li sostituisca. Le piattaforme digitali e la logistica globale non colmano il vuoto di un centro storico spento o di una via di paese dove il panettiere non riaprirà più.

In molti interventi, la parola chiave è stata “rigenerazione urbana”. Ma per rigenerare serve prima riconoscere il danno, e poi ridare strumenti a chi tiene in piedi i territori. Non bastano fondi occasionali: serve una visione. Una politica industriale per il terziario, come la definiscono alcuni economisti, che non esiste ancora.

Confcommercio, oggi, cammina su un crinale sottile. Da una parte, rappresenta un sistema di potere organizzato, interlocutore costante delle istituzioni. Dall’altra, custodisce l’anima minuta dell’Italia che lavora dietro un bancone. È in questo equilibrio – tra vertice e base, tra lobby e comunità – che si gioca il suo futuro.

Nel suo intervento finale, Viglione ha voluto ricordare proprio questa doppia anima. “Oggi celebriamo l’imprenditore che ogni mattina alza la saracinesca e crea economia, affidandosi alla nostra rete. Da Torino ad Alba, da Alessandria a Vercelli, da Biella ad Asti, da Novara a Cuneo, oggi è la festa di tutti.

Una frase semplice, ma potentissima: perché dietro quel “alzare la saracinesca” c’è l’intera liturgia quotidiana di un mondo che resiste.

Gli ottant’anni di Confcommercio non sono solo un traguardo, ma anche uno specchio. Riflettono le trasformazioni del lavoro, la precarietà del consumo, la crisi della prossimità. Raccontano la parabola del commercio di relazione, che da simbolo di modernità è diventato quasi un atto di militanza.

Certo, c’è chi festeggia: le federazioni di categoria che tengono viva la rappresentanza, dalle FIPE ai Federalberghi, dai librai agli autotrasportatori, fino ai fioristi e agli ottici. Ma dietro l’unità celebrativa, il quadro resta complesso.

Perché il commercio piemontese, oggi, è come un mosaico che perde tessere ogni giorno. E anche se la Regione parla di sostegni e Confcommercio di fiducia, la realtà delle imprese è fatta di affitti insostenibili, bollette altissime, burocrazia lenta e clienti distratti.

Ricordare il futuro, diceva il titolo. Ma ricordare non basta. Il futuro del commercio piemontese si gioca su una sfida culturale prima ancora che economica: riportare valore umano nei luoghi dello scambio, trasformare la prossimità in una forma di modernità, non in una reliquia.

Confcommercio lo sa. E forse è questo il significato più profondo di questi ottant’anni: non celebrare ciò che è stato, ma difendere ciò che ancora resiste.

Quando Viglione ha ringraziato gli imprenditori “che ogni giorno creano economia”, qualcuno in platea ha applaudito a lungo. Non era un applauso d’occasione. Era il modo, silenzioso e fiero, di dire che in Piemonte il commercio è ancora una forma di cittadinanza.

E che dietro ogni vetrina che si accende c’è un pezzo di futuro che, almeno per oggi, non si arrende.

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