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Michele Serra e la “Montagna Sacra”: quando il limite diventa libertà

Il progetto “Monveso – Montagna Sacra” propone una visione diversa del turismo alpino, fatta di misura e consapevolezza

Michele Serra e la “Montagna Sacra”: quando il limite diventa libertà

Michele Serra e la “Montagna Sacra”: quando il limite diventa libertà

E’ stato un pomeriggio importante per Ronco quello di sabato 25 ottobre. Il suo Teatro Comunale ha ospitato un incontro su un tema complesso quanto rilevante: il rapporto tra esseri umani e ambiente naturale. Il titolo “Incominciamo da qui: una montagna per riflettere” si riferiva in modo specifico al progetto “Monveso–Montagna Sacra”, nato qualche anno fa e che in valle ha trovato molte adesioni. A parlarne è stato chiamato nientemeno che Michele Serra, giornalista e scrittore, intervistato da un altro scrittore: Enrico Camanni.

Peccato che solo una parte delle persone interessate abbia potuto seguire l’incontro all’interno del Teatro, troppo piccolo per contenere tutti. “Abbiamo fatto il possibile – ha detto il sindaco Lorenzo Giacomino – al massimo delle nostre forze, che sono quelle di una piccola comunità. Siamo fragili, come le nostre montagne che paiono forti ma che nascondono invece debolezze e complessità.”

Dietro questo evento ci sono la Biblioteca Comunale e il Comitato “Montagna Sacra”. “La nostra – ha sottolineato Giacomino – è una piccola, grande biblioteca. Occupa una stanza e mezzo ed è gestita da volontari, però riesce a mettere in piedi un numero incredibile di incontri e presentazioni non solo in agosto – quando è facile – ma anche in inverno, smentendo il paradigma della montagna come luogo soltanto di svago e non di cultura. Quanto al Comitato, ormai da qualche anno ha portato qui in valle il tema del Limite, legato al Monveso di Forzo non come destinazione finale del ragionamento ma per una visione complessiva di come saliamo sulle nostre cime, di come le viviamo.”

La montagna in questione, che fa parte del Massiccio del Gran Paradiso e che raggiunge un’altezza di 3.322 metri, separa la Valle Soana da quella di Cogne. Il Comitato citato l’ha scelta come simbolo di un modo nuovo e più rispettoso di confrontarsi con la natura, dichiarandola “sacra” e quindi inviolabile. Non chiede un divieto formale di accesso: quello che rivolge è un invito, un’esortazione per affermare il valore del Limite.

L'incontro con Michele Serra a Ronco Canavese

Il progetto "Monveso di Forzo - Montagna Sacra"

“L’idea di Montagna Sacra – ha spiegato Antonio Mingozzi, direttore del Parco Nazionale Gran Paradiso dal 2018 al 2020 – l’avevo avuta fin da ragazzo. Parlandone con i colleghi del Consiglio direttivo in vista delle celebrazioni per il centenario, ho scoperto che Tony Farina aveva pensato a qualcosa di molto simile. Fra le emergenze ambientali una delle peggiori è l’invasività umana, l’eccesso di turismo. La montagna è diventata un oggetto di consumo: ci si va per farsi un selfie e subito ridiscendere. Pensate a cos’accade in estate al Nivolet e a ciò che è successo quest’anno a Roccaraso d’Abruzzo, dove in un giorno sono arrivate 10.000 persone per un messaggio trasmesso attraverso la rete.”

Ricordando come le previsioni parlino di 10 miliardi di abitanti sulla Terra nel 2100, ha sottolineato un altro dato, assai meno conosciuto e davvero impressionante: “Ventimila anni fa, al culmine dell’ultima glaciazione, gli esseri umani rappresentavano in peso l’1% dei vertebrati terrestri. Oggi siamo al 32% ed il resto – a parte un 1% di selvatici – è costituito da animali domestici. La nostra straordinaria capacità di espansione, di movimento, di colonizzazione sta creando una serie infinita di problemi. Scegliere di rinunciare a raggiungere un luogo significa riconoscere i limiti dello sviluppo e superare la concezione antropocentrica strettamente legata alla cultura occidentale.”

Tony Farina, consigliere del Parco in rappresentanza delle associazioni ambientaliste, ha precisato i motivi per i quali la scelta è ricaduta sul Monveso di Forzo, cosa che all’inizio aveva creato qualche polemica. “Mi si obiettava che era troppo facile visto che lì non va nessuno e che sarebbe stato più adatto il massiccio del Gran Paradiso, dove d’estate le presenze sono davvero tante. Proprio per questo lo avevamo scartato: sarebbe stato visto come una provocazione mentre il nostro è un progetto nato per far discutere. Il Monveso non ha appeal alpinistico mancando di pareti da scalare però sorge sul confine tra le due regioni del Parco, è bello e lo si vede bene anche dalla pianura: è una montagna importante per questo versante. Inoltre abbiamo puntato sulla Valle Soana perché è la più integra e la più ricca di biodiversità, mentre dalla parte opposta, quella di Cogne, l’eccesso di turismo crea problemi. Qui, dopo la diffidenza iniziale, l’idea è piaciuta agli abitanti mentre a Cogne c’è stato un rifiuto un po’ stizzoso… nonostante si tratti di una località che proprio sul concetto di limite ha basato la propria fortuna. Il grande prato di Sant’Orso privo di edifici è il suo biglietto da visita.”

Farina è convinto che l’idea della Montagna Sacra rappresenti un’opportunità per attrarre un turismo qualificato: “Ad oggi, nel mondo occidentale, un progetto del genere non esiste da nessuna parte.”

Il pensiero di Michele Serra in tema di ambiente

Cosa c’entra Michele Serra con i problemi della montagna? Siamo abituati a sentirlo parlare di politica in senso stretto… In realtà la scelta non è stata affatto casuale e lo ha chiarito egli stesso: “Vivo sull’Appennino, a 500 metri di altezza, ed in montagna trascorrevo le mie estati da bambino, nella casa che una bisnonna aveva costruito sulle Alpi Marittime, nella zona del Col di Tenda. Me ne scappavo sempre per andare a quattro, cinque chilometri di distanza, dove trascorrevo le giornate insieme a degli amici pastori. Credo che anche oggi, magari con un po’ di ripasso, sarei in grado di portare 200 o 300 mucche al pascolo.”

Il suo intervento si è basato sul senso del limite, della rinuncia consapevole. “La montagna – ha riflettuto – ha un carattere non dico austero ma riservato, che incute una certa suggestione e che mal si concilia con il turismo di massa. Ci fa meno impressione Piazza San Marco strapiena che veder salire le persone a 3.000 metri con gli infradito. Trasmette un senso di profanazione, soprattutto a chi si è guadagnato la quota salendo a piedi con grande fatica e sa che la montagna richiede un ritmo, un rispetto, che non si confà alle gite in pullman, a migliaia di persone che fanno casino, banchettano e poi tornano a valle.”

Il tema del Numero chiuso è controverso – “Ad occhio tutti sono favorevoli ma poi con quale criterio lo si gestisce: la carta di credito? Eppure il problema va posto. Sulla Terra noi umani siamo quasi 10 miliardi: una specie invasiva, peggio delle locuste, e per giunta siamo gli unici che, dopo aver creato il problema, possono risolverlo. Un albergatore della Val Gardena sostiene che bisognerebbe accettare prenotazioni solo a due anni per far capire che non si deve dire: Ora sono qui e poi mi sposto subito là. A Madonna di Campiglio hanno introdotto dei limiti sul rilascio dei pass. Al Lago di Braies hanno dovuto chiudere gli accessi dopo la serie televisiva A un passo dal cielo. Abbiamo altre idee per arginare questo fenomeno?”

Ha aggiunto: “Si difendono i privilegi di un’élite sostenendo che non ha senso sciare senza nemmeno potersi guardare intorno? Forse sì. Ci si presta all’accusa di razzismo anche sostenendo che è folle andare a Londra con 40 euro eppure una riflessione va fatta. C’è qualcosa che non quadra. Non si può rendere troppo facile ciò che non lo è: se non fai più fatica a fare nulla e pensi di poterti permettere tutto, ogni cosa perde di valore. Il limite è rassicurante e tutela la libertà personale.”

Riprendendo un concetto che si sta diffondendo, ha dichiarato: “I danni che stiamo procurando al pianeta non porranno fine alla sua esistenza ma a quella dell’umanità. Se dovessimo estinguerci il mondo starebbe benissimo! Abbiamo cominciato ad intuirlo durante il Lockdown. Dalla mia casa sull’Appennino, dopo quattro o cinque giorni vedevo non più i soliti due caprioli ma quaranta caprioli e poi cervi, cinghiali… I lupi sono tornati vicinissimi alle case. Appena l’uomo arretra di un passo, il mondo avanza. Occorre cominciare a pensare alla vita in modo meno antropocentrico: non ci siamo noi e basta, con tutto il resto al nostro servizio e non illudiamoci di poter raggiungere l’immortalità.”

Il senso del limite inteso come scelta anziché divieto si richiama al pensiero di Alexander Langer, eurodeputato verde e teorico dell’ambientalismo poi morto suicida. Langer sosteneva che “La conversione ecologica si potrà realizzare solo se apparirà socialmente desiderabile.” Lo ha ricordato Enrico Camanni, chiedendosi come mai la sua lezione sia stata dimenticata. Rispondendogli, Serra si è mostrato ottimista: “Trenta o quarant’anni fa le tematiche ambientali erano portate avanti da minoranze. Oggi la lotta è su larga scala e coinvolge ampi strati della società. Rispetto alla tesi che occorreva lasciar fare alla natura senza intervenire in alcun modo nei suoi processi, si sta invece affermando quella che occorra trovare forme di convivenza più complesse ma più giuste.”

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