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03 Novembre 2025 - 21:28
									Aveva solo tredici anni, ma la vita di Aurora Tila è finita con un volo dal settimo piano. È passato poco più di un anno da quel 25 ottobre 2024, quando la città di Piacenza si è svegliata con la notizia che una ragazzina del liceo Colombini era precipitata dal balcone di casa. Oggi il Tribunale per i minorenni di Bologna ha dato un nome a quella caduta: omicidio.
Il giudice ha condannato a 17 anni di carcere il ragazzo, all’epoca quindicenne, con cui Aurora aveva avuto una relazione. Per lui l’accusa era di omicidio volontario pluriaggravato — stalking, minore età della vittima e legame affettivo — al termine di un processo celebrato con rito abbreviato. Il pm Simone Purgato aveva chiesto vent’anni, la difesa aveva chiesto l’assoluzione.
Secondo la ricostruzione accolta dal Tribunale, quella notte il ragazzo avrebbe spinto Aurora, colpendola alle mani mentre lei cercava di restare aggrappata alla ringhiera. Alcuni testimoni hanno raccontato la scena. Le consulenze tecniche hanno escluso l’ipotesi di un gesto volontario della ragazza. Era troppo giovane, troppo spaventata, troppo perseguitata.

Dalle chat acquisite nelle indagini emerge un crescendo di ossessione e controllo. Aurora voleva chiudere quella storia, ma lui non accettava la fine. In un messaggio scriveva: “Il mio piano di vendetta inizia da ora, mercoledì 9 ottobre alle 2.50”. Lei, confusa e impaurita, aveva perfino chiesto aiuto a ChatGPT, scrivendo: “Secondo te dovrei lasciarlo?”.
Durante il processo è emersa anche la testimonianza di un ex compagno di cella del ragazzo, che ha riferito la presunta confessione: “L’ho buttata giù io. Mi diceva: ti amo, non puoi farmi questo”.
All’uscita dal Tribunale, Morena Corbellini, la madre di Aurora, ha pianto e ringraziato la giustizia: “Sono soddisfatta, anche se vent’anni sarebbero stati meglio. Ma almeno giustizia è stata fatta. Ho sempre creduto nella giustizia, dall’inizio”. Ora vuole trasformare il dolore in impegno: un’associazione in nome di Aurora per aiutare altri ragazzi, per spiegare come riconoscere il pericolo prima che sia troppo tardi.
Perché dietro questa condanna non c’è solo un processo, ma la condanna di un silenzio collettivo. Di chi vede, sospetta, ma non interviene. Di chi non immagina che, a tredici anni, si possa morire d’amore e di paura.
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