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03 Novembre 2025 - 19:14
												Un terremoto di magnitudo 6.3 devasta il nord dell’Afghanistan. In lacrime per la Moschea blu
All’inizio sembra il rumore di un convoglio lontano. Poi, in meno di un respiro, il cortile della Moschea Blu di Mazar-e Sharif si riempie di polvere, le colombe prendono il volo e dal minareto si staccano tasselli di ceramica azzurra. Un’immagine che incrina, insieme alla pietra, un pezzo di identità afghana. È la notte tra il 2 e il 3 novembre 2025quando una scossa di magnitudo 6,3 scuote l’Afghanistan settentrionale: l’epicentro è localizzato a circa 22 chilometri a sud-ovest di Khulm, a una profondità di 28 chilometri, secondo lo USGS.
Il bilancio provvisorio parla di almeno 20 morti e oltre 260 feriti — cifre poi riviste al rialzo da diverse fonti fino a superare le 600 persone assistite — con danni in più province tra Balkh, Samangan, Sar-e Pul e Kunduz. La scossa principale è arrivata alle 00:59 ora locale di lunedì 3 novembre (le 20:29 UTC di domenica), con epicentro nell’area a cavallo tra Balkh e Samangan. Le mappe di intensità parlano di uno scuotimento forte, capace di provocare danni gravi sugli edifici più vulnerabili, soprattutto quelli in mattoni crudi e adobe, ampiamente diffusi nelle campagne afghane. L’USGS ha emesso un’allerta “arancione” del sistema PAGER, che indica la possibilità di perdite significative e la necessità di una risposta su scala nazionale.
In diverse località, inclusa la stessa Mazar-e Sharif, la gente è scesa in strada nel buio, mentre in zone più isolate squadre di soccorso hanno proceduto a mani nude tra muri crollati e tetti sfondati. Secondo i primi conteggi forniti dal Ministero della Salute afghano attraverso il portavoce Sharafat Zaman, i morti erano “più di 20” e i feriti “circa 320”, solo tra Balkh e Samangan: un dato prudente e in evoluzione nelle ore successive, con alcune agenzie che hanno segnalato oltre 600 persone assistite, tra cui una quota — minoritaria — in condizioni gravi. Le stime divergono nelle prime 24 ore, com’è fisiologico in scenari simili, ma convergono su due punti: l’ampiezza dello scuotimento e la forte vulnerabilità edilizia.
E mentre i soccorritori contano i corpi, un’altra ferita — non di carne ma d’anima — si apre nel cuore del Paese. Le scosse hanno raggiunto anche il santuario di Hazrat Ali, la celebre Moschea Blu di Mazar-e Sharif, e per gli afghani è come se il dolore delle case crollate si fosse riflesso sulle sue piastrelle di turchese. Ogni crepa sulle pareti del mausoleo sembra il prolungamento invisibile delle crepe nei villaggi e nei volti. Le immagini mostrano detriti nel cortile, fessurazioni sulle pareti e frammenti caduti da un minareto: danni che le autorità definiscono “parziali”, ma che hanno un valore simbolico profondo, perché toccano uno dei luoghi più sacri e identitari dell’Afghanistan. La Moschea Blu, come il Paese stesso, resta in piedi, ferita ma viva.
La Moschea Blu, o Mausoleo di Hazrat Ali, è molto più di un luogo di culto. Le sue superfici in piastrelle turchesi e i motivi geometrici in stile timuride raccontano secoli di arte e spiritualità. È uno dei pochi poli turistici rimasti nel Paese, ma anche un riferimento religioso per migliaia di fedeli che qui venerano ‘Alī ibn Abī Ṭālib. Le autorità locali hanno parlato di “danni parziali”, ma esperti e giornalisti sul campo sottolineano che la struttura principale ha mantenuto la propria integrità. Nelle prossime settimane verranno condotte verifiche statiche e ingegneristiche per valutare l’entità reale delle lesioni e stabilire gli interventi di messa in sicurezza e restauro.
Non è la prima volta che i tesori afghani vengono messi alla prova dalla terra. Decenni di guerre e incuria hanno reso fragile un patrimonio architettonico già esposto a una sismicità intensa. Il sisma riapre così una domanda che attraversa l’Asia centrale: come conciliare conservazione e sicurezza, rispettando materiali e tecniche originali ma introducendo rinforzi compatibili, discreti, efficaci. Dalla cuci-scuci delle murature all’uso di fibre o acciai sottili nascosti nei punti critici, ogni intervento richiederà tempo, risorse e competenze.
Tra le aree più danneggiate figurano i distretti tra Khulm, Aybak, Sholgara e diversi villaggi nell’entroterra, dove predominano case basse con coperture pesanti. In alcune zone di Samangan la scossa ha innescato frane che per ore hanno interrotto la Asian Highway 7, l’arteria che collega Kabul a Mazar-e Sharif. La corrente elettrica è saltata in più province a causa di danni alle linee di interconnessione con Tagikistan e Uzbekistan, mentre gli ospedali locali sono entrati in stato di emergenza, con personale richiamato d’urgenza e carenza di farmaci e sangue.
Le squadre del Ministero della Difesa e dell’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri hanno raggiunto i distretti più colpiti già nelle prime ore del mattino, affiancate dai volontari della Mezzaluna Rossa afghana. Le immagini dei soccorsi mostrano uomini che scavano con le mani, donne che reggono torce, bambini coperti di polvere. Diverse ONG, tra cui Save the Children e Norwegian Refugee Council, hanno lanciato appelli per l’invio urgente di tende, coperte e stufe, mentre le Nazioni Unite hanno espresso cordoglio e offerto supporto logistico e finanziario. “Il Paese non ha ancora assorbito le ferite dei precedenti terremoti e ogni evento naturale rischia di trasformarsi in catastrofe umanitaria”, ha ricordato il rappresentante dell’ONU a Kabul, Daniel Endres.
Este hombre ha perdido a 14 miembros de su familia, entre ellos, a un bebé. Se lamenta entre los escombros de su casa destruida.
— Almudena Ariza (@almuariza) October 8, 2023
Ya son más de 2000 los muertos tras el terremoto que ha sacudido el noroeste de #Afganistan
Vídeo del periodista @Wajedrohani1 pic.twitter.com/bIFq62wjM2
L’Afghanistan siede su una delle zone più instabili del pianeta, una faglia viva tra la placca indiana e quella eurasiatica. La regione di Balkh-Samangan è attraversata da sistemi di faglie capaci di generare scosse moderate ma devastanti per un tessuto edilizio fragile. Il 31 agosto 2025, un sisma di magnitudo 6.0 nell’est del Paese aveva provocato oltre 2.200 morti, mentre nell’ottobre 2023 una sequenza di terremoti di pari intensità nella regione di Herataveva raso al suolo interi villaggi. Il nuovo terremoto nel nord conferma un rischio sismico diffuso, dal Kunar al Badakhshan, fino alle province settentrionali ai confini con l’Asia centrale.
Nelle prime 48 ore dopo un sisma, i numeri oscillano. In Afghanistan, dove la copertura telefonica è irregolare e i trasporti difficoltosi, la finestra di incertezza è ancora più ampia. I dati ufficiali parlano di una ventina di vittime, ma il numero reale potrebbe essere più alto. Alcuni distretti rurali sono tuttora isolati, e solo con l’arrivo dei convogli umanitari emergeranno i contorni esatti della tragedia.
Intanto, la città di Mazar-e Sharif si lecca le ferite. Il colpo inferto alla Moschea Blu è anche un colpo alla memoria collettiva. Le sue cupole policrome raccontano la stratificazione di scuole calligrafiche, artigiani e maestranze che per secoli hanno custodito la bellezza in un Paese ferito. Ogni tessera che cade incrina un racconto più ampio: quello di una comunità che, nonostante tutto, resiste.
Il sisma ha ricordato, ancora una volta, la fragilità delle abitazioni rurali in adobe e la necessità di un piano nazionale per il rinforzo antisismico leggero. In Afghanistan bastano interventi minimi — telai in legno, cordoli di contenimento, cerchiature leggere — per ridurre il rischio di crolli. Ma servono fondi, formazione e programmi di micro-credito per le famiglie. Le ONG sul campo chiedono che ogni emergenza sia anche un’occasione per costruire sicurezza e non solo per tamponare l’urgenza.
Nel nord afghano l’inverno arriva presto e morde forte. Le notti di novembre sono già gelide, e per molte famiglie la priorità ora è un tetto asciutto, una stufa, una coperta. Le organizzazioni umanitarie chiedono aiuti rapidi per evitare che il freddo uccida chi è sopravvissuto alla scossa. “Abbiamo perso tutto, ma non possiamo perdere anche i nostri figli al gelo”, ha detto una donna di Samangan a un reporter locale.
Nel buio delle notti afghane, tra tende improvvisate e rovine, il canto del muezzin torna a riecheggiare. La Moschea Blu, ferita ma non vinta, si staglia all’orizzonte come un simbolo di resistenza. E mentre la polvere si posa, resta la sensazione che ogni tremito del suolo sia anche un promemoria: la forza di un popolo non sta solo nelle mura che si ricostruiscono, ma nella dignità con cui continua a pregare, a vivere e a sperare.
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