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Esteri
03 Novembre 2025 - 19:01
												Maria Zakharova
La polvere non si era ancora posata sul basolato dei Fori Imperiali quando, sul canale Telegram di Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, è comparsa la frase destinata a rimbalzare sui telefoni italiani: l’Italia “crollerà completamente” se continuerà a “sprecare” soldi per l’Ucraina.
Mentre i Vigili del fuoco cercavano di salvare un operaio intrappolato nella medioevale Torre dei Conti, e un altro veniva portato in codice rosso al San Giovanni, la retorica di guerra irrompeva brutalmente nella cronaca di Roma.
Le reazioni da Palazzo Chigi e dalla maggioranza sono arrivate in pochi minuti: parole “squallide” e inopportune, hanno tagliato corto fonti di governo, mentre la città serrava un perimetro di sicurezza tra Colosseo e Piazza Venezia.
Intorno alle 11:30 di lunedì 3 novembre 2025, un primo cedimento ha colpito la Torre dei Conti. Poco dopo l’una del pomeriggio si è verificato un secondo crollo, durante le operazioni di soccorso. Un lavoratore è rimasto intrappolato in quota, un altro — 64 anni — è stato ricoverato in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita. Altri tre operai sono stati recuperati dalle impalcature con l’autoscala. L’area è stata completamente interdetta a traffico e pedoni. Sul posto il sindaco Roberto Gualtieri e il ministro della Cultura Alessandro Giuli. Gli interventi sono stati resi complessi dall’alta probabilità di nuovi cedimenti, con i soccorritori costretti a impiegare droni, scale aeree e tecniche di rimozione selettiva delle macerie.
Mentre Roma cercava di salvare un uomo, Mosca cercava un simbolo.
La Torre dei Conti, costruita nel XIII secolo come baluardo gentilizio e più volte lesionata dai terremoti storici (il 1349 resta un anno chiave), era in restauro con fondi del PNRR europeo dedicati alla messa in sicurezza dei beni culturali. Le autorità hanno confermato che il cantiere era operativo da tempo e che la seconda frana si è prodotta mentre una squadra dei Vigili del fuoco tentava di creare un varco protetto verso l’operaio intrappolato.
Nel suo post, Zakharova collega il crollo materiale di una torre romana a un supposto “crollo sistemico” dell’Italia, se il governo manterrà il sostegno a Kyiv. Il messaggio — pubblicato mentre i soccorsi erano ancora in corso — ha evocato l’idea che le risorse pubbliche destinate all’Ucraina sottraggano stabilità economica e persino torri, un accostamento che porta il marchio della propaganda.
La portavoce attribuisce al governo italiano circa 2,5 miliardi di euro stanziati a vario titolo per l’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa nel 2022: una cifra plausibile se si sommano aiuti militari, umanitari e finanziari, ma che va letta nel quadro europeo del 2025. Un anno in cui l’Italia si è mostrata prudente, impegnando somme minori rispetto ad altri partner Ue.
Non è la prima volta che Zakharova usa toni muscolari verso i Paesi europei. Nelle scorse stagioni ha attaccato Parigi, Berlino e varie capitali Ue, spesso dal pulpito dei suoi canali social o di quello del Ministero degli Esteri russo. Il registro è sempre lo stesso: rovesciare addosso agli avversari il costo morale, economico e politico della guerra, accostando i “costi” dell’aiuto a Kyiv al “declino” delle società occidentali.
Alla domanda se la frase meritasse una risposta formale, da Roma è filtrata una linea semplice: giudizi “squallidi” e inopportuni, tanto più perché pronunciati mentre si lavorava per salvare una vita.
Il quadro politico — con Palazzo Chigi, la Farnesina e la maggioranza compatti nel sostegno all’Ucraina — non lascia spazio ad ambiguità: il legame atlantico resta un pilastro. E l’uso di una tragedia cittadina come clava propagandistica è stato respinto come una strumentalizzazione cinica.
L’indignazione istituzionale, qui, è parte di una grammatica che l’Italia ha maturato nell’ultimo anno: ogni volta che da Mosca arrivano messaggi letti come tentativi di influenza nel dibattito interno, la risposta è ferma ma misurata.
Per capire la posta in gioco dietro lo slogan di Zakharova, bisogna guardare ai numeri.
Nel 2025 l’Europa ha aumentato gli impegni a favore dell’Ucraina, colmando in parte lo stallo americano di inizio anno. Secondo l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute, tra marzo e aprile il blocco europeo ha superato gli Stati Uniti per aiuti militari complessivi: 72 miliardi di euro europei contro 65 miliardi americani dall’inizio della guerra.
Ma l’aumento non è stato uniforme. I Paesi nordici e il Regno Unito hanno trainato, mentre Germania, Spagna e Italia hanno mostrato contributi più contenuti nei nuovi stanziamenti del 2025 (per l’Italia si parla di circa 20 milioni nei primi mesi). In parallelo, Bruxelles ha consolidato canali di assistenza umanitaria e di ricostruzione pluriennale.
Sostenere che l’Italia “crollerà” per effetto degli aiuti a Kyiv ignora due elementi fondamentali: la scala europea del sostegno — dove i contributi più pesanti vengono da altri Stati — e la natura mista degli impegni italiani, che spaziano dall’assistenza civile alla cooperazione energetica.
A luglio, per esempio, una conferenza internazionale a Roma ha mobilitato oltre 10 miliardi di euro per la ricostruzione ucraina, con la Presidenza del Consiglio in prima fila come hub diplomatico. È un ruolo meno spettacolare di chi invia carri armati, ma cruciale per la tenuta di Kyiv nel medio periodo.
Definire “sprecati” i soldi del contribuente serve a Mosca per alimentare un frame noto: quello della “stanchezza occidentale”, il presunto conflitto tra welfare e armi. È una narrazione che fa leva su ansie reali — inflazione, costo dell’energia, debito — ma le piega a fini politici.
La scelta di utilizzare il crollo della Torre dei Conti non è casuale: le immagini di un monumento che si sbriciola a pochi passi dall’Altare della Patria amplificano il simbolismo del declino. Nel lessico della propaganda russa, le “torri”non sono solo pietre: sono istituzioni, identità, potere.
È bene chiarirlo: al momento non c’è alcun elemento che colleghi la spesa estera alla manutenzione dei beni culturali romani. Le indagini tecniche dovranno stabilire se la causa riguarda errori di cantiere, criticità strutturali pregresse, vibrazioni o scosse minori.
Il quadro che emerge dai resoconti sul posto è quello di un edificio storicamente fragile, in restauro finanziato anche con risorse del Recovery europeo, dove un primo cedimento interno ha preceduto la seconda implosione durante i soccorsi.
Qui la priorità resta una sola: salvare il lavoratore intrappolato. I tecnici descrivono l’operazione come “lunga e complessa”, con rischio elevatissimo di ulteriori collassi.
C’è poi un piano etico.
Usare la cronaca di un incidente sul lavoro per regolare conti geopolitici urta la sensibilità comune.
La formula “squallida” scelta da Roma fotografa la distanza tra la cultura istituzionale italiana — che sospende la polemica davanti alla sofferenza — e la grammatica comunicativa del Ministero degli Esteri russo, abituata a comprimere in un post immagini, insulti e cornici narrative.
La risposta italiana non ha voluto aprire un “caso diplomatico”, ma segnare un limite. È anche un messaggio interno: il dibattito su Ucraina, spesa pubblica e priorità nazionali è legittimo, ma non si fa in punta di macerie.
Al netto della polemica, l’episodio si inserisce in una fase in cui l’Europa ridefinisce il proprio posizionamento: più ricostruzione, più autonomia strategica, più uso creativo degli asset russi congelati, e una discussione aperta su come distribuire i pesi tra Stati membri.
L’Unione ha messo in campo nel quadriennio 2022–2025 oltre 4,2 miliardi di euro in aiuti umanitari, oltre alle partite militari e finanziarie. In prospettiva, il Consiglio e la Commissione stanno costruendo strumenti per stabilizzare Kyiv nel lungo periodo, dalle reti energetiche alla sanità, fino al sostegno alle PMI.
È su questo terreno che l’Italia ha scelto di giocare la sua partita: convinta che la resilienza economica dell’Ucraina valga quanto — e a volte più — della sola fornitura militare.
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Il messaggio di Zakharova sembra rivolto più al pubblico interno italiano che al circuito diplomatico.
Mira a intercettare umori antieuropei, a suggerire che “aiutare l’Ucraina” significhi togliere risorse alle priorità nazionali, sfruttando l’impatto emotivo di un crollo in pieno centro per renderlo memorabile. È una strategia rodata: seminare dubbio e divisione costa poco e rende molto.
Ma la risposta istituzionale italiana — e il moto di solidarietà verso i lavoratori coinvolti — suggeriscono che, almeno stavolta, la leva propagandistica abbia trovato terreno resistente.
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