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Qualcosa di sinistra

Tutto da buttare. Dalla Repubblica della fiducia a quella delle ripicche

Dagli anni delle grandi riforme e delle speranze condivise al clima di scontro e delegittimazione di oggi: la lezione dimenticata dei Settanta

Tutto da buttare. Dalla Repubblica della fiducia a quella delle ripicche

Anni di piombo

Si intensificano le iniziative sugli anni Settanta, un decennio di grandi riforme sociali attuate da governi riformatori sulla spinta delle lotte imbastite dai sindacati e dai partiti della sinistra. Il decennio nel quale tutto sembrò possibile: mentre nelle aule parlamentari si sperimentava la via comune delle riforme, lo scontro vi fu nelle piazze, uno scontro politico che, accantonata la dialettica, si fece sempre più un durissimo corpo a corpo; fino a praticare l’omicidio politico.

Ripercorrere quegli anni, con il loro portato impegno civile e sociale, di leggi all’avanguardia, di riconoscimento reciproco tra convinzioni politiche molto distanti tra loro; vedere, insomma, il buono di quegli anni, non è un esercizio consolatorio o, peggio, assolutorio. Far parlare i protagonisti e i testimoni di una grande stagione nella quale si portarono a compimento molti dei dettati costituzionali restituirebbe a noi tutti la Repubblica della fiducia e della speranza, non quella dei torti e dei lutti, che pure vi furono, e non pochi.

A questo si è anche riferito l’autore del libro sul povero Sergio Ramelli, durante la presentazione tenutasi a latere del Festival della Scienza (a Settimo Torinese), quando – forse rendendosi conto di aver dipinto un intero decennio a tinte rosso sangue – ha affermato, all’incirca, che vi fu anche del buono negli anni Settanta. Un libro, quello su Ramelli, che (cito a memoria) “non è un libro di storia, non è un saggio e nemmeno un romanzo”, così – almeno – nelle parole del giornalista che ha condotto la presentazione, confondendo ancora di più le idee al pubblico.

Sergio Ramelli

Sono di questi giorni l’appuntamento voluto dalla Fondazione Donat-Cattin sul nuovo diritto di famiglia e sulle “culture politiche che hanno animato il lungo e faticoso percorso verso la riforma” e l’impegnativo convegno “Dinamiche religiose a Torino negli anni Settanta, tra politica, società e culture”, organizzato dalla Fondazione Michele Pellegrino, i quali danno conto della realtà torinese di quegli anni, fatta non solo di sprangate e P38.

Quella storia, incarnata nella Repubblica per via delle riforme che ne scaturirono (il divorzio, il nuovo diritto di famiglia che – finalmente – metteva i coniugi su un piano di parità reale, il Servizio sanitario nazionale, la chiusura per legge dei manicomi, la nascita delle Regioni, il voto ai diciottenni, lo Statuto del lavoratori e altre ancora), ha avuto sì dei genitori, ma non ha più eredi politici; una stagione di riforme ineguagliabili si è chiusa, forse per sempre.

Sarebbe saggio fare tesoro dello spirito che animò quegli anni, che pure in uno scontro politico e parlamentare aspro, seppe trovare punti alti di incontro tra visioni differenti. Il clima politico di questi giorni rievoca più gli anni Cinquanta che gli anni Settanta.

La riscrittura del titolo IV della parte II della Costituzione, quello relativo ai giudici, ha il sapore di una ripicca verso un altro corpo dello Stato, e la delegittimazione degli organi preposti ad amministrare la giustizia da parte di coloro che vogliono confermare la modifica con il referendum costituzionale, non sono un buon servizio al Paese.

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