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“Quindici minuti di buio”. Il caso Sde Teiman che scuote Israele tra video di abusi, incriminazioni e lo strappo ai vertici militari

La fuga di un filmato di sorveglianza dal centro di detenzione nel Negev — diffuso nell’agosto 2024 — riaccende uno scandalo: cinque riservisti dell’IDF incriminati, le dimissioni della massima giurista militare, l’ira di Benjamin Netanyahu e nuove domande sulla legalità della detenzione a Sde Teiman

“Quindici minuti di buio”. Il caso Sde Teiman che scuote Israele tra video di abusi, incriminazioni e lo strappo ai vertici militari

“Quindici minuti di buio”. Il caso Sde Teiman che scuote Israele tra video di abusi, incriminazioni e lo strappo ai vertici militari

Una stanza spoglia, corpi distesi a terra, scudi antisommossa sollevati come paraventi per nascondere ciò che non dovrebbe accadere sotto una telecamera. È l’immagine che torna a perseguitare l’Israele del dopoguerra di Gaza: la scena, ripresa all’interno del centro di detenzione di Sde Teiman nel luglio 2024, mostra — secondo l’accusa — un detenuto palestinese ammanettato e bendato trascinato dietro un muro di plastica e corpi. Dopo circa 15 minuti, l’uomo riemerge sanguinante. Poco più tardi sarà portato in ospedale con diagnosi che parlano di costole rotte, perforazione di un polmone, lesioni rettali provocate dall’uso di un oggetto acuminato. È la sequenza che, trapelata e trasmessa dalla televisione israeliana Channel 12 nell’agosto 2024, ha innescato un’indagine, incriminazioni per cinque riservisti e, il 31 ottobre 2025, le dimissioni della maggiore generale Yifat Tomer‑Yerushalmi, capo dell’Avvocatura militare. Il 2 novembre 2025 il primo ministro Netanyahu ha definito la vicenda “forse l’attacco propagandistico più duro” affrontato da Israele dalla fondazione dello Stato, chiedendo una inchiesta indipendente.

Secondo gli atti d’accusa depositati dai procuratori militari, la notte del 5 luglio 2024 un gruppo di riservisti del reparto di guardia “Force 100” avrebbe sottoposto il prigioniero — identificato nei documenti solo con le iniziali — a una perquisizione degenerata in un pestaggio prolungato e in un’aggressione sessuale. La versione ricostruita nell’inchiesta parla di calci, colpi di manganello, trascinamenti a terra e scariche di taser, con la vittima immobilizzata, mani e piedi legati, occhi bendati. L’uomo avrebbe riportato sette fratture costali, un polmone perforato e una lacerazione del retto che richiese un intervento chirurgico con confezionamento di stomia, poi rimosso tre mesi più tardi.

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Il caso esplose il 29 luglio 2024, quando agenti della Polizia Militare arrestarono dieci soldati: cinque finirono poi formalmente incriminati; gli altri, inizialmente trattenuti, furono rilasciati. La confusione di quella giornata fu alimentata dall’irruzione di manifestanti dell’ultradestra — tra cui esponenti politici — nella base di Sde Teiman e, poco dopo, nel centro detentivo di Beit Lid, per contestare le manette ai militari. Il 6 agosto 2024 Channel 12 trasmise la clip di sorveglianza: si vedono detenuti distesi a pancia in giù, un gruppo di soldati che ne isola uno e alza scudi per coprire l’azione dalla telecamera. La sequenza, secondo le ricostruzioni giornalistiche, coincide con l’episodio finito nell’inchiesta.

I cinque riservisti sono stati imputati per reati gravi: “causazione di lesioni gravi” e “aggressione in circostanze aggravate”. Non è stato invece contestato il capo di “sodomia aggravata” (equivalente allo stupro), ipotizzato nella fase iniziale dell’indagine. Una scelta che ha diviso l’opinione pubblica e giuristi: per la Procura militare le prove disponibili — tra cui il video e la documentazione medica — sostengono l’impianto attuale; per critici e organizzazioni per i diritti umani la dinamica descritta e le lesioni sono compatibili con una violenza sessuale.

Il punto di rottura istituzionale arriva il 31 ottobre 2025: Yifat Tomer‑Yerushalmi, maggiore generale e capo dell’Avvocatura militare, ammette in una lettera di aver autorizzato la condivisione con i media del filmato di Sde Teiman, “per contrastare una campagna di delegittimazione” contro gli organi legali dell’IDF e rivendicare il dovere di indagare anche in guerra su condotte illegali. Poche ore dopo presenta le dimissioni, accolte dallo Stato Maggiore; il ministro della Difesa Israel Katz plaude alla sua uscita e preannuncia ulteriori verifiche. Per la premier line, la diffusione del video ha “prodotto un danno enorme all’immagine” del Paese e dell’esercito.

Nel consiglio dei ministri del 2 novembre 2025, Benjamin Netanyahu ha definito la fuga del video e la sua pubblicazione “forse l’attacco propagandistico più duro dalla fondazione dello Stato”, invocando una indagine indipendente. Il messaggio politico è doppio: da un lato la condanna per le violazioni, dall’altro la denuncia dei danni reputazionali, con la promessa di “fare piena luce” senza indebolire l’IDF. Le sue parole, rilanciate da media israeliani, hanno spostato il baricentro del dibattito dalle responsabilità individuali all’impatto geopolitico e interno.

Sde Teiman, il “buco nero” della guerra: cosa sappiamo del centro e perché è nel mirino

Dopo il 7 ottobre 2023, con l’impennata dei fermi nella Striscia di Gaza, l’IDF ha riadattato la base di Sde Teiman nel Negev a centro di raccolta e detenzione per sospetti militanti e altri palestinesi. La struttura — con aree di trattenimento e un ospedale da campo — è stata sin da subito al centro di accuse: detenzione senza contatti con l’esterno, interrogatori senza legale, uso prolungato di bendaggi e immobilizzazioni, standard igienico‑sanitari carenti. Denunce simili sono state documentate da Physicians for Human Rights Israel, Human Rights Watch e altri osservatori; le autorità militari hanno ripetutamente dichiarato che ogni abuso è perseguito e che i detenuti ricevono cure “in base al rischio e allo stato di salute”.

Un’inchiesta del Guardian ha raccolto testimonianze interne sull’uso di pannoloni, sul ricorso a restrizioni fisicheprolungate e sulla mancanza di personale medico esperto; in un caso, l’amputazione di un arto sarebbe stata collegata alle lesioni provocate da manette serrate per tempi prolungati. L’IDF ha replicato che tali pratiche non rappresentano la norma e che le segnalazioni vengono esaminate.

La trasmissione della clip da parte di Channel 12 nell’agosto 2024 ha amplificato l’eco internazionale: la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato USA chiesero una indagine completa e “tolleranza zero” qualora le accuse fossero confermate. Altri media — tra cui ABC News Australia — hanno descritto fotogramma per fotogramma il metodo con cui gli scudi sarebbero stati usati per occultare l’azione. La Procura militare israeliana dichiarò allora che gli elementi raccolti, inclusi i filmati, costituivano “un fondato sospetto” della commissione dei reati.

Politica e diritto: perché lo scandalo tocca i nervi scoperti di Israele

La dimissione di Yifat Tomer‑Yerushalmi è rarissima per rango e tempistica. La generale, seconda donna nella storia dell’IDF a raggiungere quel grado, ha difeso in passato l’autonomia delle indagini anche su episodi controversi del conflitto. Ammettendo di aver autorizzato la condivisione del video con un giornalista come “contro‑propaganda” rispetto agli attacchi dell’ultradestra, ha spostato il fuoco su un tema sensibile: fin dove può spingersi un apparato legale militare nel dialogo con i media per proteggere se stesso e i propri principi? La risposta, per il governo, è netta: c’è stata una violazione inaccettabile di riservatezza. Per altri, l’atto ha “forzato” un Paese a guardare dentro un luogo fin lì opaco.

Il duro commento di Netanyahu — con la richiesta di una commissione indipendente — va letto anche alla luce del logoramento reputazionale di Israele dopo un anno di guerra. Mentre i partner occidentali invocano standard legali e tutela dei detenuti, l’esecutivo deve tenere insieme due pulsioni: mostrare fermezza contro gli abusi e proteggere l’IDF da ciò che viene descritto come una campagna di demonizzazione. Le parole del premier traducono il timore che il caso Sde Teiman diventi un paradigma nei dossier giudiziari e diplomatici aperti sul conflitto.

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