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Giallo sul De Chirico rubato, Amedeo Goria: “Fu sottratto a mio padre, voglio riaverlo”

Il giornalista continua la battaglia legale per il quadro scomparso oltre cinquant’anni fa. Udienza decisiva ad aprile 2026 al Tribunale di Ivrea

AMEDEO GORIA

AMEDEO GORIA

Un dipinto di Giorgio De Chirico rubato più di cinquant’anni fa continua a viaggiare tra aste e collezioni private, al centro di un caso giudiziario che sembra non avere fine. A combattere per riaverlo è il giornalista Amedeo Goria, che ha deciso di opporsi all’archiviazione dell’indagine e di chiedere la riapertura del fascicolo. «Quel quadro fu rubato a mio padre, ma continuo a sperare di rientrarne in possesso», ha dichiarato Goria, che si ritiene legittimo erede dell’opera.

La vicenda riguarda il dipinto “Venezia”, olio su tela di 30x40 centimetri, realizzato da Giorgio De Chirico, sottratto nel 1969 al padre di Goria. Dopo decenni di silenzio, la sua storia è riemersa solo in seguito alla denuncia del giornalista e a un’indagine condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Gli investigatori hanno ricostruito un percorso complesso: l’opera, dopo il furto, sarebbe stata custodita per anni, poi rovinata e modificata prima di approdare sul mercato dell’arte.

Nel 2010, il dipinto è stato presentato alla prestigiosa casa d’aste Christie’s, che ha tentato di ottenerne l’autenticazione presso la Fondazione De Chirico. In un primo momento la Fondazione respinse la richiesta, ritenendo l’opera non conforme. Successivamente, M.G., oggi settantatreenne, si sarebbe occupato di restaurarla e riportarla alla Fondazione, che questa volta ne ha confermato l’autenticità.

Dopo un primo tentativo di vendita all’asta a Milano nel 2011, fallito, l’opera è stata infine venduta nel 2015 da Christie’s per 35mila sterline, entrando a far parte di una collezione privata. È proprio a quel punto che Goria ha sporto denuncia, dando il via a un nuovo filone d’indagine.

I Carabinieri di Torino hanno chiesto una rogatoria internazionale in Inghilterra e un decreto di esibizione a Milano, muovendo accuse di ricettazione, riciclaggio ed esportazione illecita. Tuttavia, il pubblico ministero ha deciso di archiviare il procedimento, ritenendo che l’unico indagato, M.G., non potesse più essere perseguito perché i reati ipotizzati risultavano prescritti.

La storia, però, non si chiude qui. Gli avvocati di Goria hanno presentato opposizione all’archiviazione, chiedendo che vengano svolte ulteriori indagini da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. La prossima udienza è fissata per il 2 aprile 2026 davanti al Tribunale di Ivrea e sarà decisiva per capire se l’inchiesta potrà riaprirsi e se il dipinto potrà essere finalmente rintracciato.

La notizia, riportata anche da Repubblica online, riporta l’attenzione su un caso che intreccia mistero, arte e giustizia, con un capolavoro che, dopo oltre mezzo secolo, continua a spostarsi di mano in mano tra collezionisti e istituzioni, lasciando aperto il sogno di Amedeo Goria di riportarlo nella famiglia a cui, sostiene, è sempre appartenuto.

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