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02 Novembre 2025 - 19:50
Agostino Ghiglia
All’ingresso di via della Scrofa, il portone si chiude lento, come in una vecchia pellicola. Un uomo in giacca scura risale la strada dei palazzi del potere. Poche ore dopo — o il giorno prima, secondo un’altra ricostruzione — l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali notificherà alla Rai una sanzione da 150 mila euro per un servizio di Report. Nel mezzo, la visita del componente del Collegio Agostino Ghiglia nella sede di Fratelli d’Italia e la possibile presenza di Arianna Meloni. Un incastro di date e di luoghi che oggi alimenta una delle contese più delicate sul confine tra informazione e privacy: l’indipendenza di un’authority e i limiti del giornalismo d’inchiesta.
Nel pomeriggio di domenica 2 novembre 2025, secondo quanto riportato da RaiNews, Ghiglia invia una diffida formale alla redazione di Report per impedirne la messa in onda serale su Rai3, chiedendo anche la rimozione dai social dei materiali pubblicati in anteprima. Nella diffida si contesta la presunta acquisizione illecita di dati personali e la violazione della corrispondenza privata, evocando la disponibilità di mail e chat riconducibili all’Autorità.
Il conduttore Sigfrido Ranucci respinge le accuse: «Nessun materiale trafugato, nessuna intrusione informatica», definendo il tentativo di Ghiglia un «bavaglio» alla trasmissione. La vicenda si inserisce nel solco di un braccio di ferro che dura ormai da settimane.

Il casus belli è noto. Il 23 ottobre 2025, l’Autorità Garante ha inflitto alla Rai una multa da 150 mila euro per la diffusione, in una puntata di Report dell’8 dicembre dell’anno precedente, dell’audio di una conversazione privata tra l’allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. Nel comunicato che accompagnava la decisione, l’Autorità parlò di violazioni del Codice Privacy, del Gdpr e delle Regole deontologiche del giornalismo.
È su questa sequenza che si è innestato il dubbio: tra il 22 e il 23 ottobre — le cronache divergono sulla data — Ghiglia viene ripreso mentre entra nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa, dove, secondo Report, si trovava Arianna Meloni. Poche ore dopo (o il giorno successivo) arriva la multa. Un tempismo che la redazione di Ranucci considera rilevante per valutare la piena terzietà dell’Authority.
Di fronte al montare delle polemiche, l’Autorità Garante diffonde il 26 ottobre una nota perentoria: «Non si contesti l’indipendenza delle decisioni». Il comunicato ricostruisce l’iter interno dei provvedimenti: l’istruttoria è curata dagli uffici, poi il relatore presenta una proposta al Collegio, che delibera a maggioranza; in caso di parità prevale il voto del Presidente. Soprattutto, l’Autorità precisa che nel caso Report la procedura è stata «pienamente rispettata». È un richiamo secco alle regole del Regolamento n. 1/2000 (articolo 15) e all’articolo 153 del Codice Privacy.
Sul piano dei fatti, Ghiglia ammette di essere entrato nella sede di FdI, ma offre una spiegazione diversa: sarebbe andato per incontrare Italo Bocchino, direttore del Secolo d’Italia, in vista della presentazione di due libri. Arianna Meloni? «L’ho solo incrociata», avrebbe detto, negando che si sia parlato di questioni d’ufficio. Anche Arianna Meloni respinge ogni collegamento tra l’episodio e la sanzione. Report, invece, sostiene che la coincidenza temporale tra visita e delibera ponga comunque un tema di opportunità e indipendenza.
La battaglia non riguarda solo Ghiglia, Ranucci o Arianna Meloni. Chiama in causa nodi più profondi:
– il rapporto tra diritto di cronaca e tutela dei dati personali;
– i confini dell’uso giornalistico di contenuti privati quando prevale un interesse pubblico;
– l’indipendenza effettiva delle autorità amministrative in un contesto politico sempre più polarizzato.
Il cuore giuridico del conflitto è noto a chi frequenta le aule e le redazioni. La disciplina europea e nazionale prevede tutele robuste per la libertà di espressione — si pensi all’articolo 85 del Gdpr e alle relative deroghe nel Codice Privacy per l’attività giornalistica — ma impone che la raccolta e la pubblicazione di dati avvengano nel rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e interesse pubblico. Nel provvedimento del 23 ottobre, l’Autorità ha ritenuto superata questa soglia da parte di Report, almeno per quanto riguarda l’audio privato. Su questo punto il confronto resta aperto e non è escluso che la Rai valuti un ricorso nelle sedi competenti.
Sulle date incombe una piccola ma significativa ambiguità. Alcune testate collocano la visita di Ghiglia al 22 ottobre, il giorno prima della sanzione; altre al 23 ottobre, poche ore prima della notifica. In entrambi i casi, la coincidenza è stretta. Ed è questo il punto sollevato da Report: anche ammettendo che non vi sia stata interferenza, l’opportunità di un ingresso nella sede del partito di maggioranza alla vigilia — o nel giorno stesso — di una deliberazione su un programma d’inchiesta del servizio pubblico appare, quanto meno, discutibile. L’Autorità ribatte che le decisioni derivano da istruttorie consolidate e che il Collegio esercita un vaglio collegiale, non riconducibile al singolo componente.
La vicenda ha acceso la miccia in Parlamento e nelle piazze digitali. Esponenti di M5S, Pd e Avs hanno chiesto chiarimenti al Garante e un’audizione in Commissione di Vigilanza Rai. L’opposizione parla di «coincidenze inquietanti» e di un rapporto «improprio» tra authority e partiti di governo. La maggioranza, per ora, resta defilata, mentre dall’Autorità si ribadisce l’assenza di qualunque condizionamento. Ma il dibattito pubblico resta sospeso su una domanda: può bastare l’apparenza per incrinare la fiducia in un organismo chiamato a decidere sui confini tra privacy e diritto di cronaca?
Dal lato giornalistico, Report insiste su un punto: l’interesse pubblico. L’inchiesta ha documentato un passaggio nella sede del partito che esprime il governo, in un momento in cui l’Autorità stava per pronunciarsi su un contenzioso riguardante proprio la trasmissione del servizio pubblico. La questione, prima ancora che giuridica, è di opportunità: un componente del Collegio avrebbe dovuto evitare contatti, anche solo potenziali, che potessero generare sospetti di conflitto?
Sul piano formale, l’Autorità richiama le sue procedure interne e la natura collegiale delle decisioni; ma sul piano della percezione, l’immagine di un ingresso in via della Scrofa nelle 24 ore che precedono o coincidono con la delibera è dirompente. È su questo scarto tra legalità formale e percezione di imparzialità che si gioca la partita.
Militante nella destra fin dagli anni giovanili, Agostino Ghiglia è stato consigliere regionale in Piemonte, poi deputato per Alleanza Nazionale e Popolo della Libertà nelle legislature 2001–2005 e 2008. È tra i fondatori di Fratelli d’Italia. Nel 2020 è stato eletto dal Parlamento tra i quattro membri del Garante per la Privacy. Negli anni successivi ha tentato più volte il ritorno in Parlamento, senza successo. È proprio questo intreccio tra storia politica e ruolo istituzionale a sollevare oggi interrogativi sulla sua piena terzietà, pur nel rispetto delle regole di nomina previste per gli organismi indipendenti.
Un elemento emerso con la diffida riguarda la presunta disponibilità da parte di Report di chat e mail riferibili all’Autorità. Se confermato, aprirebbe un fronte inedito: la tutela delle comunicazioni elettroniche di un organismo pubblico e i limiti dell’accesso a fonti digitali da parte dell’informazione. Ranucci nega qualsiasi accesso abusivo, rivendicando la piena legittimità dell’attività giornalistica.
Sul piano normativo, i reati di intercettazione illecita o accesso abusivo a sistemi informatici presuppongono condotte specifiche che, al momento, non risultano accertate. Ma il richiamo di Ghiglia mette a nudo una questione cruciale: quali garanzie devono tutelare le istituzioni quando le loro comunicazioni finiscono in un’inchiesta giornalistica? E quali tutele spettano, invece, a chi pubblica documenti di evidente interesse pubblico?
Domande destinate a trovare risposta solo davanti a un giudice — o a un regolatore disposto a guardarsi dentro.
Per comprendere il perimetro delle responsabilità, basta tornare alla liturgia interna del Garante: l’articolo 15 del Regolamento n. 1/2000 stabilisce che gli uffici predispongano lo schema di provvedimento, che poi il relatore presenta al Collegio. Le deliberazioni vengono adottate a maggioranza; in caso di parità, prevale il voto del Presidente (articolo 153 del Codice Privacy). Tradotto: anche se un componente avesse espresso un orientamento iniziale — e diverse cronache riferiscono che Ghiglia avesse ipotizzato un semplice ammonimento prima di convergere sulla sanzione — la decisione finale è collegiale e si fonda su un’istruttoria tecnica. È un punto che l’Autorità ha voluto scolpire nella sua difesa pubblica.
La porta di via della Scrofa si è richiusa. Ma la breccia aperta tra privacy e libertà di stampa resta spalancata.
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