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A Settimo Torinese, Meloni e Trump avvinghiati in un quadro: bufera sulla sindaca Elena Piastra e su “Paraculissima”

La mostra d’arte patrocinata dal Comune doveva celebrare ironia e creatività, ma il dipinto con la premier il presidente Usa scatena il putiferio. Fratelli d’Italia accusa l’amministrazione di propaganda, la sindaca tace. E la città si ritrova al centro di una polemica nazionale

A Settimo Torinese, Meloni e Trump avvinghiati in un quadro: bufera sulla sindaca Elena Piastra e su “Paraculissima”

A Settimo Torinese, Meloni e Trump avvinghiati in un quadro: bufera sulla sindaca Elena Piastra e su “Paraculissima”

Doveva essere solo arte. O almeno, così c’era scritto nel comunicato del Comune: “Tre giorni di arte, ironia e provocazione alla Biblioteca Archimede”. Ma a Settimo Torinese, da ieri pomeriggio, l’ironia si è trasformata in incendio. Tutta colpa di un quadro: una tela rossa, due figure al centro, lui con la faccia di Donald Trump, lei con quella di Giorgia Meloni, stretti in un abbraccio appassionato. Sullo sfondo, la scritta bianca, quasi infantile: “Più abbracci, meno dazi.”

Un gesto artistico? Una provocazione? O semplicemente una bomba innescata in un Paese che non riesce più a ridere di sé? Fatto sta che il quadro è bastato per spaccare la città, far litigare i partiti, scatenare i social e costringere il Comune a correggere il tiro dopo averlo mostrato — ingenuamente, o forse no — sulla sua pagina ufficiale.

L’opera, esposta all’interno della rassegna "Paraculissima – Tutta l’arte per tutti", nasce come riflessione ironica sui rapporti di potere globali. Ma appena la foto del dipinto è comparsa sui canali istituzionali della città, si è scatenato il pandemonio.
Decine di commenti indignati, accuse di propaganda, appelli al “rispetto delle istituzioni”. La pagina è stata modificata, il dipinto è rimasto, ma la bufera era ormai partita: Settimo Torinese si è riscoperta, suo malgrado, il teatro perfetto della guerra culturale italiana.

A guidare la protesta è Enzo Maiolino, capogruppo di Fratelli d’Italia in consiglio comunale.
“Come amministratore e capogruppo - ci dice - esprimo la mia ferma disapprovazione per la presenza in città dell’opera polemica raffigurante la Presidente Meloni, recentemente ripresa anche sulla pagina social della Città. È grave che un’opera dal contenuto divisivo e irrispettoso verso una figura istituzionale sia stata esposta in uno spazio pubblico e valorizzata da un canale ufficiale del Comune, che dovrebbe invece mantenere neutralità e rispetto verso tutte le istituzioni.”

Maiolino, pur ribadendo il rispetto per la libertà artistica, accusa l’amministrazione di “leggerezza” e chiede che il sindaco prenda le distanze: “Inaccettabile usare gli spazi pubblici per fini propagandistici o messaggi di parte.”

Dal Municipio, per ora, prevale la linea del silenzio. Nessuna rimozione dell’opera, nessuna censura. Solo una precisazione: "Paraculissima — spiegano — nasce per portare l’arte fuori dai musei e dentro la vita, anche rischiando di provocare."
Il titolo stesso, “Paraculissima”, ne è la dichiarazione d’intenti: arte popolare, ironica, “tutta per tutti”.
E in effetti, missione compiuta. Perché oggi di quella mostra parla un'intera città e non è detto che tra qualche ora non cominci a parlarne mezza Italia.

Il comunicato del Comune non menziona, ovviamente, il quadro “incriminato”, ma si concentra sulle opere donate alla città: un murale al Parco Nilde Iotti e un’installazione in via Torino 2, nei pressi della Biblioteca Archimede, dove l’artista Osvaldo Neirotti ha colorato alcuni alberi con tinte naturali e atossiche.
L’opera, intitolata “Le basi del futuro”, reca scritte dedicate alle attività culturali della biblioteca: “Cultura, Scienza, Arte, Musica, Magia e Cinema.”

Insomma, un’operazione di riqualificazione urbana che, nelle intenzioni, deve celebrare la creatività e la partecipazione. Peccato che tra un albero dipinto e un murale ispirato a Franco Basaglia, la scena se la sia presa tutta quel dipinto con Meloni e Trump.

In rete, come sempre, sembra di stare in tribunale. Da una parte chi applaude la provocazione e difende la libertà artistica, vedendo in quell’abbraccio una metafora sul potere e la politica trasformati in spettacolo. Dall’altra chi grida allo scandalo, denunciando la mancanza di rispetto verso il Presidente del Consiglio e l’uso improprio dei canali istituzionali.
C’è chi ironizza, chi si indigna, chi rivendica il diritto di non ridere sempre delle stesse persone

Il dettaglio più surreale resta quello: la pagina ufficiale del Comune che, nel tentativo di promuovere la mostra, finisce per pubblicare la foto di un quadro politicamente esplosivo.
Una leggerezza comunicativa o una scelta consapevole? E la sindaca Elena Piastra? Silenzio. Nessuna dichiarazione ufficiale, nessuna parola di chiarimento. Forse aspetta che la tempesta si plachi, o forse — più probabilmente — pensa che il caso si commenti da sé. Diciamo che alla prima cittadin,a che da anni fa della comunicazione l’arma più raffinata del suo potere, questa volta il messaggio le è scappato di mano.
E non basterà la solita risposta da manuale — “libertà, ironia, cultura” — per coprire l’imbarazzo.

Perché, alla fine, tra un abbraccio e un dazio, resta l’idea che a Settimo l’arte possa essere tutto — tranne che libera davvero.

Cretini a loro insaputa

C’è una nuova categoria professionale: il comunicatore che comunica a sua insaputa. Dice di “gestire la comunicazione”, ma in realtà la comunicazione lo prende per mano, lo porta a spasso e ogni tanto lo fa inciampare nel ridicolo.

Pubblica una foto, scrive due righe, aggiunge un hashtag “inclusivo” — ché fa moderno — e dopo cinque minuti si ritrova nel mezzo di una bufera politica. Non voleva, giura. Nessuno vuole mai.
Lui voleva solo “promuovere la cultura”, e invece, toh guarda, ha promosso anche un dibattito sul rispetto delle Istituzioni, la libertà d’espressione e, per sbaglio, pure sul senso della vita.
Un genio. Un genio distratto.

Ogni volta che un comunicatore dice “non volevamo fare politica”, un filosofo sviene.
Perché non è che non vogliono: è che non sanno di farla.
È l’inconscio del like, il karma del copy, la reincarnazione del press release.
Si chiamano “esperti di comunicazione”, ma comunicano per caso o "a cazzo" all'insaputa di sé medesimi e del politico che paga.

E così, nel Paese dove tutto è politico tranne la politica, c’è chi riesce a far campagna elettorale anche con un post.
Si comincia con un “Mi raccomando, fai un post.” E lui lo fa. E il post magari finisce in Parlamento, tra un’interrogazione e una mozione.

Questa volta è andata così: una mostra chiamata “Paraculissima”. Nome perfetto per Facebook... “Che male può fare?”
Poi esce un quadro con la premier abbracciata al presidente americano, il Comune lo pubblica, internet prende fuoco, e il comunicatore, ancora fumante, balbetta: “Non era nostra intenzione suscitare polemiche.”
Ah no? E cosa speravate, una ola di cuoricini e due applausi emoji?

Insomma il comunicatore italiano è un miracolo antropologico. Vuole “fare engagement” e fa un disastro istituzionale.
Vuole “stimolare riflessioni” e provoca crisi diplomatiche. Vuole “mettere un po’ di leggerezza” e scopre la gravità.
Poi si difende: “Ma era solo arte!” Certo. Come “era solo un tweet”. O “era solo una battuta”. O “era solo un aperitivo, ma istituzionale”.

E così, mentre i politici cercano di sembrare artisti e gli artisti di sembrare politici, i comunicatori restano ciò che sono: cretini a loro insaputa...

La confusione è totale, ma alla fine conviene a tutti. Perché finché tutto è comunicazione, nessuno è mai colpevole: al massimo frainteso. E quindi si rettifica, si spiega, si chiarisce. Si cambia la didascalia, si mette un cuore al posto di una fiamma, si invoca la libertà d’espressione come si invoca un taxi.

Poi, appena la tempesta si placa, si riparte da capo. Perché il vero miracolo della comunicazione contemporanea è questo:
riesce sempre a dire nulla, facendoci credere che abbia detto tutto. A loro insaputa, ovviamente.

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