Cerca

Attualità

I sindaci che non ci sono più (e che non ti facevano mai annoiare)

Uomini veri, che litigavano coi giornalisti, parlavano fino all’alba e facevano politica senza portavoce

I sindaci che non ci sono più (e che non ti facevano mai annoiare)

I sindaci che non ci sono più (e che non ti facevano mai annoiare)

Nelle giornate di Ognissanti e dei morti tutti fanno più o meno lo stesso pensiero. Al padre, a qualche parente, a qualche amico che non c’è più. Ma chi, per mestiere, ha passato una vita a inseguire notizie, nei giorni dei ricordi non pensa solo ai propri. Gli tornano in mente loro: i sindaci. Quelli veri. Quelli che non ti lasciavano andar via senza un caffè, una sfuriata o, se andava bene, un titolo di prima pagina. Quelli che, quando ancora non c’erano i cellulari, ti aspettavano in ufficio il sabato mattina, con la voglia di comunicare, di dire come avevano passato la settimana.

Come Giovanni Ossola, ex sindaco di Settimo Torinese. Per l’ultima intervista fu lui a cercarmi. Io, che non gliene avevo mai perdonata una. “Sto per morire. Sto mettendo a posto tutto”, mi disse. Calmo, lucido, con la dignità di chi sa che la vita è una scrivania da svuotare. Mi parlò della figlia, di un’attività aperta a Chivasso, delle sue carte. Sembrava volesse chiudere tutto con ordine, anche con i giornalisti. Lo salutai con un nodo in gola, e tante volte, negli anni, mi sono chiesto quali altre domande avrei potuto fargli.

Penso a Ettore Nicoletta, ex sindaco di Verolengo, paese che amava in una maniera sconsiderata. Tutti i sabati mattina andavo da lui, io ragazzino col taccuino in mano. Parlavamo di tutto — o meglio, litigavamo su tutto. Una volta, dopo un articolo sulla cava di Borgorevel, mi rincorse per i corridoi del vecchio municipio. Voleva tirarmi calci. "Ma sei fuori?" gli dissi. "Ti prendo..." urlava... Io correvo, lui pure. Due matti. Ma il sabato dopo era lì, puntuale, come sempre. Era il suo modo di volerti bene, anche quando non lo diceva.

Di Verolengo anche l’ingegner Sergio Borca, ambientalista vero, di quelli che si facevano ogni mattina a piedi o in bicicletta una decina di chilometri per andare a lavorare. Ci fu una volta che in consiglio comunale prese la parola alle 23 e finì di parlare alle 6 del mattino. Nessuno lo fermò, perché nel regolamento non c’era scritto che non si potesse parlare tutta la notte. E lui ne approfittò. Una maratona oratoria sul bilancio, sulle tasse, sul senso della politica. Alle prime luci dell’alba aveva ancora fiato e convinzioni.

Torrazza Piemonte, una piccola arena dove socialisti, comunisti e democristiani, passavano le giornate a darsele di santa ragione. Al centro Bruno Cena, mente fina, battagliero, ironico come pochi. Una volta, in uno “scantinato delle feste” che tutti chiamavano salone, durante una riunione pubblica sulla discarica, volarono parole grosse, poi sedie, poi — a un certo punto — lui stesso, che uscì prendendo uno per il collo. Scene da un’altra epoca, quando la politica faceva ancora rumore.

A Foglizzo Luigi Bertolino, democristiano, in dialisi. Credeva nella politica come servizio, e anche quando sbagliava lo faceva con convinzione. A un certo punto si persuase che una discarica consortile potesse essere una buona idea per il paese. Lo impiccarono mediaticamente, ma lui continuò a difenderla. “Meglio una scelta sbagliata che nessuna scelta”, mi disse una volta. E fu una scelta che pagò nelle urne, ma non nella coscienza.

Chiudo con Mario Maglione, da Rondissone. Personaggio fuori tempo massimo già allora. Viveva a Torino, ma la politica del suo paese non l’aveva mai lasciata. Prendeva l’autobus per venire ai consigli comunali, giacca stirata e giornale sotto il braccio. In sala non c’era mai nessuno, ma se vedeva un cronista — anche uno solo — si accendeva. Si alzava e partiva il suo show: mezz’ora di oratoria, di sarcasmo, di battute e citazioni. Non per la platea, ma per il gusto di finire sul giornale.

Ecco, nei giorni dei morti io ho pensato a loro e a tanti altri che a raccontarli tutti mi ci vorrebbe un libro. A quelli che ti facevano arrabbiare e ridere nella stessa giornata. Che ti davano del bugiardo al mattino e ti stringevano la mano la sera. Che sbagliavano, eccome se sbagliavano, ma ci mettevano la faccia, la voce e il cuore.

Oggi la politica è piena di conferenze stampa, di “comunicati condivisi”, di foto e di frasi "copia e incolla", di esibizionisti Facebook. Allora era più complicato. Ci si doveva per forza parlare al telefono o incontrarsi e si cominciava sempre dalle critiche sulle cose scritte e su quelle non dette. E giù a discutere. 

Di quella stagione — quella della macchina per scrivere, del pezzo battuto e ribattuto, delle fotografie col rullino in bianco e nero — resta la nostalgia. Non per il passato in sé, ma per la passione che ci mettevano quegli uomini. Erano sindaci, sì. Ma soprattutto erano personaggi "veri". Di quelli che, anche da morti, riescono ancora a strapparti un sorriso.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori