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Non è degrado, è sopravvivenza: il volto nudo di Torino

Ogni sera via Roma si riempie di coperte, cartoni, vite spezzate. Uomini e donne invisibili dormono tra le insegne del lusso. La città che si vanta di essere solidale ha trasformato i suoi portici in un dormitorio di dignità perduta

Non è degrado, è sopravvivenza: il volto nudo di Torino

Non è degrado, è sopravvivenza: il volto nudo di Torino

Ci sono città che di notte si addormentano e città che, invece, si spogliano. Torino appartiene a queste ultime.
Quando cala la sera e le vetrine di via Roma si spengono, la città cambia volto. I portici, eleganza sabauda, smettono di essere una passerella e diventano un corridoio della miseria. Le saracinesche abbassate si trasformano in pareti, le soglie dei negozi in letti, i cartoni in materassi. È una metamorfosi silenziosa, che avviene ogni notte, a due passi da piazza San Carlo. E ogni notte, la città finge di non accorgersene.

Basta camminare per qualche metro per vedere ciò che Torino non vuole guardare. Sagome stese per terra, coperte colorate, vestiti appesi alle inferriate come se fossero tende. Bottiglie d’acqua, borse di plastica, carrozzine usate come armadi. È la quotidianità di chi vive senza casa, in una delle città più blasonate d’Italia. Qualcuno dorme, qualcuno fissa il vuoto, qualcuno semplicemente aspetta il mattino.

Non è degrado, è sopravvivenza. E soprattutto, non sono “barboni”. Sono persone. Persone con un nome, un volto, una storia.

Sotto le arcate di via Roma dormiva Antonio, sulla sessantina, ex operaio della carrozzeria Bertone, licenziato quando la fabbrica ha chiuso. Aveva una coperta macchiata e un giaccone leggero. Si sistemava tra due colonne.  «Almeno qui non piove» raccontava
Poco più avanti c’era Lucia, 49 anni. Lavorava come badante, ma dopo la morte dell’anziana che assisteva non era riuscita a trovare un nuovo impiego. «L’importante è non puzzare troppo, così la gente non ti guarda male», raccontava.
E poi Said, muratore arrivato dal Marocco. Dormiva su un materasso ricavato da tre scatoloni di cartone. «Di giorno lavoro quando mi chiamano, la notte vengo qui. Meglio questo che un dormitorio pieno di gente ubriaca».

Torino, la città dell’innovazione, dell’industria, del design e dei convegni sulla sostenibilità, la notte si scopre capitale della povertà.
Secondo l’ultimo report della "Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora", nel capoluogo piemontese vivono oltre 2.500 persone senza fissa dimora. Di queste, circa 700 dormono stabilmente per strada, nei portici, nelle stazioni, nei sottopassi.
Il Comune, insieme a Caritas, Croce Rossa e Sermig, gestisce i dormitori del “piano freddo”, che mettono a disposizione circa 1.300 posti letto. Ma il problema non è solo la quantità: è la continuità.

A marzo il piano finisce, e chi non ha trovato un lavoro o un alloggio torna per strada. Ogni anno si ricomincia da capo. Ogni inverno si ripete la stessa liturgia della pietà: le promesse, i comunicati, le foto delle coperte distribuite.
Eppure, basta una passeggiata notturna sotto i portici di via Roma per capire che non è abbastanza.

Le coperte leopardate si alternano ai teli termici, le scarpe rotte ai sacchi a pelo bucati. Le grate dei negozi diventano stenditoi per biancheria: calze, magliette, mutande. Gli zaini sono chiusi con fili di ferro, le bottiglie d’acqua servono per lavarsi.
E mentre i passanti attraversano la via per raggiungere piazza Castello, la Torino elegante e quella invisibile si sfiorano senza toccarsi.

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bicchiere

C’è chi attraversa in fretta per imbarazzo, chi cambia marciapiede, chi fotografa di nascosto, chi fa finta di non vedere.
Eppure quei corpi stesi per terra raccontano una storia che riguarda tutti.

Non è solo povertà economica. È povertà sociale, morale, politica. È il fallimento di un sistema che si proclama inclusivo ma non sa proteggere i fragili. Torino, la città operaia, dove un tempo nessuno restava indietro, è diventata una città di diseguaglianze.

Le istituzioni continuano a parlare di “emergenze stagionali”, ma la povertà non è stagionale. Non si scioglie in primavera come la neve. È costante, quotidiana, sommersa. Ogni notte sotto i portici dormono uomini e donne che il giorno dopo cercano un modo per non sparire. Alcuni raccolgono bottiglie, altri chiedono spiccioli, altri ancora si rifugiano nelle biblioteche o nei centri di accoglienza per lavarsi.

E la città, nel frattempo, discute di PNRR, di riqualificazione urbana, di grandi eventi sportivi, di un nuovo piano regolatore.
Si restaurano facciate, si organizzano festival, si spendono milioni in marketing territoriale. Ma per chi vive per strada non cambia nulla.

Chi è il vero povero, in fondo? Chi dorme per terra o chi passa indifferente accanto a lui?

Secondo la Caritas diocesana, l’età media dei senza dimora torinesi si è abbassata: oggi molti hanno tra i 30 e i 45 anni. Sono persone che avevano un lavoro, una casa, una famiglia. Poi è bastato un licenziamento, una separazione, una malattia. Il passo tra normalità e abisso è breve.
Un assistente sociale lo riassume così: «A Torino la povertà è diventata silenziosa. Non fa più rumore. Si è normalizzata».

I portici di via Roma sono il simbolo perfetto di questa normalizzazione. Lì si incontrano due città: quella che consuma e quella che sopravvive. Da un lato, le insegne delle boutique; dall’altro, le coperte stese. In mezzo, un confine sottile che nessuno vuole attraversare.

Intanto il Comune parla di progetti “housing first” e di “centri diffusi”. Ma sono esperimenti isolati, gocce in un mare di emergenze.

Nel 2024 Torino ha stanziato 6 milioni di euro per i servizi di accoglienza, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. Una cifra importante, ma ancora insufficiente per garantire continuità e reinserimento.
Molti dormitori sono pieni, altri chiudono per lavori, altri ancora vengono evitati dagli stessi senzatetto perché considerati pericolosi.

E così la notte, sotto i portici, le persone restano. Invisibili, dimenticate, accartocciate su se stesse. Ogni mattina, all’alba, gli operatori ecologici passano a pulire. Spazzano via cartoni, bottiglie, vestiti abbandonati. La città si risveglia pulita. Almeno in superficie.

Torino ama definirsi “solidale”, “europea”, “progressista”. Ma le immagini dei portici raccontano altro. Raccontano una città che ha smesso di guardare negli occhi la propria gente, che nasconde la povertà come una macchia da rimuovere.

Eppure, dietro ogni coperta c’è un pezzo di Torino vera. Dietro ogni corpo addormentato, un cittadino che non ha trovato spazio nella Torino delle eccellenze. Dietro ogni vestito appeso, un tentativo disperato di restare umano.

Ogni cartone sul pavimento è una lettera aperta. Ogni coperta è un grido soffocato. Ogni sguardo basso è una resa collettiva.

Non basta accendere le luminarie se sotto quelle luci qualcuno muore di freddo. Non basta ripulire i marciapiedi se di notte la città si riempie di vite spezzate.

E il paradosso è che tutto accade in silenzio sotto le arcate che furono costruite per proteggere i cittadini dalla pioggia.
Una città che lascia dormire la sua gente per strada non è più una città. E' un luogo dove la vergogna cammina a testa alta e la dignità dorme per terra.

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