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In coma etilico per sentirsi vivi

La generazione che brinda alla libertà e si sveglia in ospedale. Con filtro Instagram e flebo coordinata

In coma etilico per sentirsi vivi

In coma etilico per sentirsi vivi

Torino, notte di Halloween: cinquanta chiamate al 118 per ragazzi ubriachi. Non male. Un’Italia che non si smentisce mai: il Paese dove non funziona la sanità, ma il servizio emergenze per chi si è scolato una bottiglia sì. I nostri giovani sono straordinari. Riescono a fare in una sera quello che i genitori hanno impiegato quarant’anni per dimenticare: la dignità.

Cinquanta soccorsi. Ragazzi di diciassette, diciotto, diciannove anni, trovati svenuti, urlanti, a volte in coma etilico. Tutti con la stessa motivazione: “Era solo per divertirci”. Sì, come buttarsi dal balcone “solo per provare il vento in faccia”. Ma d’altronde, se la festa non finisce con un’ambulanza, che Halloween è?

Una volta si beveva per trasgressione. Oggi si beve per conformismo. L’anticonformismo, infatti, si è estinto insieme ai gettoni telefonici. Ora il vero ribelle è quello che ordina una Coca-Cola. Lo guardano come se fosse appena uscito da un corso di recupero spirituale. “Ma dai, non bevi niente?” — “No.” — “Tranquillo, ti passa.”

prosecco

E infatti passa. Passa la lucidità, passa la dignità, passa il giro successivo dallo stomaco al marciapiede. Ma guai a giudicarli. I giovani sono il futuro. E se il futuro è questo, forse conviene vivere il presente molto lentamente, e possibilmente da sobri.

C’è chi propone corsi di educazione all’alcol nelle scuole. Ottimo. Così almeno impareranno a stappare con stile. Azienda Zero, con lodevole impegno, promuove “La vita non si beve”. Bellissimo titolo, ma temo che molti ragazzi lo interpretino come uno slogan pubblicitario: “La vita non si beve... si tracanna”.

Ogni anno la stessa storia: le campagne di sensibilizzazione, i video, i consigli. “Chiamate il 118, mettete l’amico su un fianco, non lasciatelo solo.” E loro lo fanno, ma solo per filmarlo. Perché un amico in coma etilico è ottimo materiale per le storie Instagram: 5.000 visualizzazioni, 200 like, e un paio di ambulanze in più in servizio.

Poi ci stupiamo. “Com’è possibile che a diciassette anni bevano così tanto?” Forse perché a casa li vedono fare l’aperitivo alle cinque e lamentarsi del governo alle sei. Cresciuti in famiglie dove “bevi, che fa bene al sangue”, e “ma sì, è solo birra”. Poi, quando si ritrovano in ospedale, ci indigniamo: “Eh, questa gioventù senza valori.” No, i valori ci sono, solo che sono serviti con ghiaccio e fetta d’arancia.

La verità è che non c’è niente di nuovo sotto il bicchiere. La gioventù è sempre stata un po’ scema — solo che oggi lo fa in diretta. Noi almeno avevamo il pudore di sbagliare in privato. Loro no: si riprendono mentre collassano, e chiedono “un filtro più figo per le flebo”.

Si dice che i ragazzi di oggi non abbiano ideali. Falso. Hanno un obiettivo chiarissimo: arrivare al limite, purché qualcuno li guardi. E allora sì, bravi. Missione compiuta. Halloween è finito, le ambulanze tornano in deposito, e i ragazzi possono finalmente dormire. Qualcuno in ospedale, qualcuno a casa, tutti comunque in overdose di leggerezza.

E noi adulti? Continueremo a dire che “una volta queste cose non succedevano”, mentre stappiamo un prosecco per dimenticare di averlo detto.

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