AGGIORNAMENTI
Cerca
Esteri
01 Novembre 2025 - 10:14
GEM, il nuovo faraone dell’architettura: nasce a Giza il museo più grande del mondo dedicato all’antico Egitto
All’ingresso, nella luce lattiginosa dell’atrio, una montagna di granito ti fissa da tre millenni. È il colosso di Ramses II, alto quasi 12 metri e dal peso di 83 tonnellate, trasportato qui con una coreografia di ingegneria e orgoglio nazionale. Alle sue spalle, una scalinata che pare non finire mai — la “Grand Staircase” — risale la pendenza naturale verso l’altopiano di Giza, svelando a ogni rampa frammenti di dèi, sovrani, animali sacri. In cima, alle spalle del vetro, la silhouette delle piramidi ribadisce chi comanda il paesaggio. È la scena d’apertura — studiata, simbolica, potentissima — del nuovo Grand Egyptian Museum di Giza (GEM), inaugurato il 1° novembre 2025: un complesso da 500.000 m² pensato per racchiudere, restaurare e raccontare l’intera storia dell’antico Egitto, e oggi per la prima volta capace di esporre integralmente il corredo del “faraone bambino”.

Il GEM occupa un’area complessiva di circa 500.000 m² (pari a 50 ettari): in termini di superficie del complesso è più esteso del Louvre (circa 360.000 m² l’intero complesso) e del British Museum (oltre 92.000 m²), pur con funzioni e missioni diverse. La scala è quella di una cittadella culturale, non di un singolo edificio.
La dotazione prevista supera i 100.000 reperti, dalle prime culture preistoriche fino all’età romana e copta, con migliaia di pezzi mai mostrati prima per mancanza di spazi adeguati.
Il cuore popolare sono le Gallerie di Tutankhamon: per la prima volta viene presentata la collezione completa, organizzata in un percorso immersivo su circa 7.000–7.500 m². Il conteggio più accreditato parla di circa 5.398 oggetti; le comunicazioni istituzionali e giornalistiche arrotondano spesso a oltre 5.500. L’istituzione espone in modo trasparente la varietà del corredo — dall’iconica maschera d’oro ai carri, dagli abiti ai vasi di birra e vino — restituendo un’immagine quotidiana e regale insieme del giovane sovrano.
La cerimonia ufficiale di apertura, preparata dopo anni di “soft opening”, è concepita come un manifesto geopolitico e turistico: la presenza di leader e delegazioni internazionali, la promessa di nuove infrastrutture (dalla stazione metro in costruzione al vicino Sphinx International Airport) e l’obiettivo dichiarato di spingere gli arrivi fino a 30 milioni di visitatori l’anno entro il 2032 raccontano l’ambizione del Cairo di trasformare il museo in volano di sviluppo.
Progettato dagli irlandesi di Heneghan Peng Architects, selezionati fra 1.557 proposte in una delle competizioni più affollate della storia, il GEM è un organismo architettonico che “incide” il paesaggio tra la valle e il plateau. La sua geometria nasce da una serie di assi visivi che puntano alle tre piramidi; la facciata triangolare in pietra e vetro, la grande copertura piegata, i motivi a losanga sono citazioni non letterali dell’alfabeto formale di Giza. La strategia è duplice: monumentalità verso l’esterno, controllo climatico e luminoso all’interno, con grandi superfici ombreggiate e una massa capace di mitigare l’escursione del deserto. Partner tecnici come Arup, Buro Happold e West 8 hanno contribuito a strutture, impianti e paesaggio; una “fifth facade” — la copertura — disegna un nuovo orizzonte senza mai superare l’altezza del plateau.
Il percorso è pensato come una soglia progressiva: una piazza pubblica, un cortile d’ingresso in penombra, quindi la Grand Staircase lunga quasi quanto un isolato, punteggiata da sculture monumentali che fungono da bussola emotiva e storica. Salendo, la vista improvvisa delle piramidi dalla quota delle gallerie stabilisce un dialogo diretto fra l’oggetto del museo e il suo paesaggio d’origine.
Il GEM non è soltanto la “nuova casa” dei tesori di Tutankhamon. La promessa museologica riguarda l’intero arco di civiltà egizia: statue dell’Antico Regno, rilievi, papiri, corredi funerari, oggetti d’uso, manufatti copti. Una parte significativa proviene dal Museo Egizio di Tahrir e da missioni archeologiche recenti (Saqqara, in particolare), riorganizzata secondo un criterio tematico e cronologico che mira a raccontare tre millenni con alfabeti museografici contemporanei: multimedialità, realtà mista, depositi visibili ai ricercatori.
Tra i pezzi-faro, oltre alla maschera e ai sei carri del giovane re, spiccano il trono d’oro, i tre letti funerari, i gioielli, gli oggetti di uso domestico e rituale, ma anche testimonianze che aiutano a ridimensionare il mito: sandali, vesti ricamate, contenitori di cibo e un piccolo granaietto da viaggio. Il progetto espositivo delle gallerie di Tutankhamon — firmato dallo studio tedesco Atelier Brückner — ricompone nell’allestimento la sequenza delle quattro camere della tomba KV62, trasformando il visitatore in testimone del lavoro di Howard Carter senza rinunciare alla filologia.
Nell’atrio, l’effetto “wow” non è un accidente. Il colosso di Ramses II — recuperato da Ramses Square al centro del Cairo, dove per decenni era stato esposto alle vibrazioni del traffico — è stato trasferito nel 2018 al GEM con un’operazione esemplare. Il suo spostamento, come quello della barca solare di Khufu (Cheope) nel 2021 — trasportata intatta per 7,5 km su un veicolo a guida remota, senza smontaggi — sono stati la prova generale della vocazione del museo: grandi logistiche per grandi patrimoni.
In un edificio separato, il Khufu Boats Museum racconterà la storia e la funzione simbolica della barca solare — traghetto rituale del re con Ra — e dell’ancor più fragile “seconda barca”, tuttora in restauro dopo decenni di lavoro con team giapponesi e tecnologie su misura.
Dietro le quinte, il Conservation Centre del GEM (GEM-CC) è uno dei più grandi poli internazionali di restauro: 32.000 m², 19 laboratori specializzati, sei depositi altamente attrezzati e un tunnel di 200 metri che lo collega al corpo del museo. Qui si studiano e si trattano papiri, tessuti, legni archeologici, metalli, mummie, murali; si sperimentano trattamenti in anossia, sistemi di monitoraggio ambientale, cicli preventivi per esposizione e deposito. È in questi laboratori che molti capolavori di Tutankhamon hanno ritrovato integrità e leggibilità.
L’idea di un “nuovo grande museo” nasce negli anni ’90; il concorso internazionale è del 2002, l’avvio lavori del 2005. Poi rivolte, crisi economiche, pandemia e, più di recente, le turbolenze regionali hanno ripetutamente spostato la data d’inaugurazione, con fasi di apertura sperimentale al pubblico e ai tour operator. Le stime sui costi oscillano: fonti internazionali parlano di oltre 1 miliardo di dollari; altre, includendo ampliamenti e infrastrutture, citano oltre 3 miliardi. Il 1° novembre 2025 la lunga attesa si chiude con l’inaugurazione, seguita dall’apertura al pubblico a calendario scaglionato nei giorni successivi.
Il GEM è il perno della strategia egiziana per il turismo del prossimo decennio. Dopo il rimbalzo post-pandemico e nonostante le instabilità regionali, l’Egitto punta a raddoppiare i flussi entro il 2032. Attorno al museo è stata pianificata una rete d’accesso: nuove strade, parcheggi, la futura stazione della metropolitana e il già operativo Sphinx International Airport, concepito anche per alleggerire Cairo International e collegare direttamente l’area di Giza ai flussi turistici. L’inaugurazione di siti restaurati nella Valle dei Re — come la tomba di Amenhotep III, riaperta dopo oltre 20 anni — rafforza il messaggio: l’Egitto investe sul suo patrimonio come asset strategico.
Nei prossimi mesi, la vera sfida sarà la tenuta operativa: gestione dei flussi nelle 12 gallerie principali, programmazione delle mostre temporanee, messa a regime dei servizi educativi e del Children’s Museum, manutenzione avanzata in un clima difficile (polvere, shock termici), e trasparenza sui prestiti internazionali e sulla ricerca. Se il GEM saprà essere, oltre che una vetrina, un luogo di studio e di produzione di conoscenza, allora la sua apertura non sarà solo un evento mediatico ma un cambio di paradigma: l’Egitto antico raccontato da un Egitto contemporaneo che investe in formazione, tecnologia e cooperazione scientifica.
Ramses II, dall’alto dei suoi dodici metri di granito, continua a fissare i visitatori con lo stesso sguardo che da tremila anni sfida il tempo. Ma questa volta, davanti a lui, non sfilano sudditi: passano famiglie, studenti, turisti, archeologi. Non un corteo imperiale, ma un popolo curioso. È l’Egitto che si racconta al mondo non come reliquia, ma come Paese vivo, capace di costruire il più grande museo mai dedicato a una civiltà e di restituire al passato la dignità del futuro.
E mentre la luce del deserto filtra dal vetro della facciata e le piramidi si stagliano sullo sfondo, sembra quasi che Ramses, in silenzio, approvi. Dopo millenni, il suo regno non è finito: ha solo cambiato indirizzo.
L’ente titolato a comunicare orari e biglietti è il portale ufficiale di ticketing visit‑gem.com. In coincidenza con la cerimonia, il museo ha annunciato la riapertura al pubblico dal 4 novembre con orari estesi a metà settimana e nel weekend. L’indicazione chiave, specie nei primi mesi, è di acquistare i biglietti online con anticipo: i contingenti di accesso alle gallerie e alle esperienze guidate sono limitati e le fasce orarie più richieste si esauriscono rapidamente. Il Children’s Museum, con percorsi tattili e attività per famiglie, segue un calendario dedicato.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.