Cerca

Esteri

El-Fasher dall'alto: strisce di sangue e pile di corpi sul terrapieno

Le nuove analisi satellitari dell’Humanitarian Research Lab di Yalerivelano agglomerati compatibili con corpi e vaste aree di “scolorimenti” riconducibili a sangue: a El-Fasher gran parte delle uccisioni sarebbe avvenuta in meno di 72 ore dall’ingresso delle RSF. Testimonianze e video parlano di esecuzioni sommarie, uomini separati, donne e bambini uccisi. Ma il massacro è solo l’ultimo capitolo di un assedio durato 18 mesi

El-Fasher dall'alto: strisce di sangue e pile di corpi sul terrapieno

El-Fasher dall'alto: strisce di sangue e pile di corpi sul terrapieno

Dentro una fotografia scattata da centinaia di chilometri d’altezza, la guerra si riduce a un insieme di dettagli che non lasciano scampo: strisce rossastre che attraversano la sabbia del quartiere di Daraja Oula, sagome lunghe poco più di un metro e mezzo distese al suolo, pick-up armati disposti per bloccare ogni via di fuga. Sono le “tracce” di un massacro, immortalate dai satelliti tra il 27 e il 28 ottobre 2025, nelle immagini analizzate dai ricercatori dell’Humanitarian Research Lab (HRL) della Yale School of Public Health. Quelle figure, che gli esperti definiscono “agglomerati compatibili con corpi”, non si muovono più. I pixel fissano una verità insopportabile: l’ombra di una strage consumata in meno di 72 ore, subito dopo l’ingresso delle Forze di Supporto Rapido (RSF) a El-Fasher, capitale del Nord Darfur.

Secondo l’HRL, nei giorni dell’attacco sono comparsi «numerosi cumuli» di oggetti lunghi tra 1,3 e 2 metri in aree dove prima non c’era nulla. Attorno, macchie e scolorimenti compatibili con sangue. La disposizione dei veicoli delle RSF è definita «altamente coerente con operazioni casa per casa», in particolare a Daraja Oula, dove avevano cercato rifugio centinaia di civili. «Gran parte delle uccisioni sarebbe avvenuta in meno di 72 ore dalla presa della città», spiega Nathaniel Raymond, direttore dell’HRL, sottolineando che i “cumuli” aumentano di giorno in giorno e che nessuno è stato rimosso. Almeno sei cluster sono stati individuati lungo il terrapieno ovest di El-Fasher, accanto a “tecniche” delle RSF, veicoli militari usati per chiudere i perimetri. La combinazione di immagini e video verificati suggerisce esecuzioni sommarie e uccisioni di civili in fuga.

Non è la prima volta che i satelliti documentano l’orrore del Darfur, ma questa volta l’insieme di sangue visibile e corpi allineati ha portato gli osservatori a parlare del «caso più crudo» registrato finora. Le immagini coincidono con la caduta delle basi della 6ª Divisione delle SAF (Sudanese Armed Forces) e il ritiro delle truppe regolari, coerente con la decisione del comandante Abdel Fattah al-Burhan di abbandonare la città «per risparmiare vite civili». In realtà, l’abbandono ha consegnato oltre 260.000 persone alla mercé delle milizie.

Il 26 ottobre 2025 le RSF rivendicano il controllo del quartier generale delle SAF e proclamano la “liberazione” di El-Fasher. Le prime immagini satellitari di Airbus, Planet e Maxar mostrano colonne di veicoli, danni estesi e punti scuri – corpi – lungo il terrapieno. Tra il 27 e il 28 ottobre le analisi dell’HRL coincidono con i video diffusi dal terreno: uomini separati dalle famiglie, esecuzioni a bruciapelo, rastrellamenti casa per casa. Alcuni filmati, attribuiti a un combattente noto come Abu Lulu, mostrano fucilazioni a distanza ravvicinata. Le RSF, per coprire le proprie tracce, dichiarano di aver arrestato «i responsabili di violazioni», ma è chiaro che si tratta di un gesto di facciata.

Fra le prove più sconvolgenti c’è l’attacco al Saudi Maternity Hospital, unico presidio sanitario ancora in funzione. Il 29 ottobre 2025 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) denuncia l’uccisione di oltre 460 pazienti e accompagnatori e il sequestro di sei operatori sanitari, dopo colpi di drone e artiglieria contro la struttura. Secondo l’OMS, dal 2023 gli attacchi alla sanità in Sudan hanno già causato più di 1.200 morti tra personale e malati. Le coordinate combaciano con quelle verificate da Al Jazeera, Financial Times, Guardian e Associated Press, che segnalano uccisioni dentro ospedali, moschee, rifugi per sfollati e strade bloccate dai miliziani.

El-Fasher

 El-Fashe qualche anno fa...

L’HRL parla di un disegno «sistematico e intenzionale» di pulizia etnica contro le comunità Fur, Zaghawa e Berti, attraverso esecuzioni, deportazioni e arresti di massa. Le azioni delle RSF, si legge nel rapporto, «sono coerenti con crimini di guerra e crimini contro l’umanità, fino a sfiorare la definizione di genocidio». È la prosecuzione di un conflitto esploso il 15 aprile 2023 e degenerato nella peggiore crisi umanitaria al mondo. Il 10 ottobre 2025 l’Alto Commissario Volker Türk ha parlato di «sprezzo sconfinato per la vita dei civili», evocando il precedente delle milizie Janjaweed, dalle quali le RSF discendono direttamente.

Dopo la presa della città, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) registra 26.000 persone in fuga in due giorni, poi 33.000 entro il 28 ottobre. Le colonne di sfollati si dirigono verso Tawila, Mellit e Kebkabiya, ma molte vie di fuga vengono attaccate. L’OMS stima oltre 260.000 civili intrappolati senza cibo, acqua o cure, mentre a Tawila sono attesi 100.000 nuovi arrivi su una popolazione di 575.000 già sfollati. Le RSF fingono di voler “proteggere i civili”, ma le immagini satellitari raccontano altro: rastrellamenti, ospedali colpiti, terrore diffuso.

El-Fasher era sotto assedio da diciotto mesi: scorte razionate, corridoi umanitari bloccati, convogli attaccati. Il Saudi Hospital era diventato il simbolo di una resistenza civile estrema, con medici senza anestetici e infermiere senza garze. L’offensiva di fine ottobre ha spazzato via tutto. I bombardamenti hanno colpito i quartieri, i droni hanno finito ciò che restava. Le immagini mostrano meno incendi rispetto a Zamzam, ma molte più uccisioni mirate. «Qui non stanno bruciando la città – spiega Raymond – la circondano, controllano gli accessi e avanzano isolato per isolato. E mentre avanzano, compaiono oggetti che sembrano corpi». È la grammatica di un metodo.

Chi riesce a fuggire racconta sempre la stessa scena: posti di blocco, separazione degli uomini, raffiche d’arma automatica. Altri parlano di sequestri per riscatto, di perquisizioni stanza per stanza, di cortili trasformati in prigioni improvvisate. Il 19 settembre un drone aveva già colpito una moschea durante la preghiera del mattino: oltre 75 morti. Poi, a ottobre, la spirale è precipitata: bombardamenti a tappeto, mortai, case distrutte. L’OHCHR conta almeno 53 civili uccisi fra il 5 e l’8 ottobre, 14 dei quali nell’attacco all’ospedale Saudita.

Da Srebrenica in poi, le prove satellitari sono diventate fondamentali per le indagini sui crimini di guerra. A El-Fasher, la triangolazione tra satelliti commerciali, open source intelligence e testimonianze ha funzionato come una lente d’ingrandimento che corregge la cronaca in tempo reale. L’HRL pubblica mappe, coordinate e briefing: dove compaiono i cluster, dove sono disposti i veicoli, quali edifici vengono distrutti. «Ogni giorno vediamo la distruzione di El-Fasher dallo spazio. Nessuno potrà dire “non sapevamo”», ha dichiarato Raymond, chiedendo un intervento immediato della comunità internazionale.

Le reazioni non bastano. Volker Türk condanna «nel modo più fermo» gli attacchi, l’OMS chiede corridoi umanitari e denuncia oltre 460 morti nel solo Saudi Hospital, Amnesty invoca l’apertura di indagini. Ma le condanne non fermano i proiettili. La caduta di El-Fasher potrebbe preludere alla divisione definitiva del Sudan: l’ovest nelle mani delle RSF, l’est sotto il fragile controllo delle SAF. La possibilità di nuove ondate di pulizia etnica è concreta, soprattutto lungo i corridoi verso il Ciad.

A gennaio 2025, il Dipartimento di Stato USA ha stabilito che membri delle RSF hanno commesso genocidio in Sudan. Le immagini di El-Fasher evocano un tragico ritorno: le stesse milizie di vent’anni fa, con droni e missili al posto dei cavalli e dei machete, perseguono lo stesso obiettivo – cancellare intere comunità. Gli esperti avvertono: la finestra per fermare la catastrofe si misura ormai in giorni, non in mesi.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori