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30 Ottobre 2025 - 11:19
Louvre, preso il “terzo uomo”: la caccia ai gioielli continua
Un cestello meccanico ancora parcheggiato sotto la facciata del Louvre, l’odore di metallo bruciato che aleggia nell’aria e un casco abbandonato lungo la Senna: così si presenta Parigi il giorno dopo quello che i media francesi hanno già ribattezzato il colpo dei sette minuti. Sette, come i minuti impiegati dal commando per violare le teche della Galerie d’Apollon e svanire con otto pezzi della Corona di Francia dal valore stimato in 88 milioni di euro. Sette, come i minuti che hanno riscritto la storia della sicurezza del museo più visitato al mondo.
Nella giornata del 30 ottobre, la polizia francese ha fermato un terzo sospettato nella regione dell’Île-de-France, dando il via a una serie di perquisizioni che hanno portato ad altri arresti. La notizia, diffusa da BFMTV, segna una svolta in un’indagine che corre a ritmo serrato, ma che non ha ancora trovato ciò che conta davvero: i gioielli spariti.

Una rete più ampia dietro il “colpo dei sette minuti”
L’uomo fermato il 30 ottobre sarebbe stato presente sulla scena del crimine. È ora in custodia cautelare e sarà interrogato dalle unità specializzate nella repressione del banditismo (BRB) e nel traffico di beni culturali (OCBC). Le indagini, intanto, si estendono a una possibile rete di fiancheggiatori: autisti, basisti, staffette, fino all’ipotetico mandante del furto. Gli inquirenti lavorano su un mosaico che si arricchisce ora dopo ora, consapevoli che i gioielli sono invendibili sul mercato legale e che chi li compra rischia la prigione per ricettazione.
Il 25 ottobre erano già stati arrestati due uomini di Aubervilliers, uno intercettato a Roissy-Charles de Gaulle mentre cercava di partire per l’Algeria, l’altro a casa. Entrambi hanno “parzialmente ammesso” il loro coinvolgimento, secondo la procuratrice di Parigi Laure Beccuau, e su di loro pesano accuse pesanti: furto in banda organizzata e associazione per delinquere. Tracce di Dna compatibili sono state trovate su una vetrina e su uno scooter della fuga.
Un colpo audace ma non perfetto
La dinamica del furto, ormai ricostruita nei dettagli, sembra uscita da un film di cappa e spada: alle 9.30 del 19 ottobre un camion con piattaforma elevatrice si ferma sotto una finestra della Galerie d’Apollon. Due uomini, vestiti come operai, salgono nel cestello, aprono la finestra e con una smerigliatrice tagliano le teche. In meno di otto minuti portano via otto gioielli, tra cui una collana di smeraldi e diamanti dell’epoca napoleonica. Una corona dell’imperatrice Eugénie cade e viene ritrovata danneggiata: unico segno tangibile del bottino scomparso.
Gli esperti parlano di semi-professionismo: l’azione è audace, ben preparata, ma non impeccabile. I ladri hanno lasciato dietro di sé guanti, un casco, un bidone di liquido infiammabile e, soprattutto, una scia di Dna. Come se la fretta di fuggire avesse avuto la meglio sul sangue freddo.
Sicurezza sotto accusa
Il furto al Louvre ha scoperchiato falle clamorose nella sicurezza del museo. Il prefetto di polizia Patrice Faure ha parlato di un sistema di videosorveglianza in parte ancora analogico e di ritardi nel piano di ammodernamento da 80 milioni di euro. Una delle telecamere esterne, quella più vicina alla finestra d’accesso, era girata nella direzione sbagliata. La direttrice del museo Laurence des Cars ha definito l’accaduto un terribile fallimento, ammettendo che alcuni “punti ciechi” erano noti da tempo.
Nei giorni successivi, i gioielli superstiti sono stati trasferiti nella cassaforte della Banque de France. Troppo tardi per evitare che il museo diventasse un caso politico. La Francia discute ora se il colpo del 19 ottobre non rappresenti una vera e propria lezione nazionale sulla tutela dei beni culturali, in un momento in cui i musei del Paese registrano affluenze record e organici ridotti all’osso.
Le domande senza risposta
Com’è stato possibile che una finestra a pochi metri da un tesoro nazionale non fosse protetta da barriere anti-intrusione adeguate?
Perché la catena d’allarme — sensori, sala controllo, pattuglie — ha perso secondi preziosi?
E, soprattutto, basteranno 80 milioni per modernizzare la sicurezza senza un cambio di mentalità, senza un’integrazione reale tra tecnologia e vigilanza umana?
Sono interrogativi che ora pesano come macigni sulle spalle del Ministero della Cultura, che ha respinto le dimissioni della direttrice del museo ma dovrà dare risposte convincenti al Paese.
Una Parigi “città-museo”, ma anche città-bersaglio
Parigi vive un paradosso: è al tempo stesso vetrina e bersaglio, città-museo e città-esposta. Mentre i turisti affollano le sue strade e i cantieri olimpici cambiano il volto della capitale, il furto al Louvre ha mostrato quanto sottili siano i confini tra bellezza e vulnerabilità.
Nel frattempo, l’inchiesta prosegue. Le analisi del Dna si incrociano con le banche dati internazionali, decine di telecamere vengono esaminate, e i fermati del 30 ottobre potrebbero presto essere formalmente incriminati. Il Louvre, intanto, accelera i lavori di messa in sicurezza e vieta la sosta di mezzi elevatori vicino alle finestre.
Ma finché gli otto gioielli non torneranno a brillare nella Galerie d’Apollon, l’Apollo del Louvre resterà un dio spogliato. E la Francia, patria della ragione e della bellezza, dovrà fare i conti con un’amara verità: bastano sette minuti per mettere a nudo secoli di storia.
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