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Louvre, il colpo che ha tradito i ladri: tracce, errori e una corona caduta sull’asfalto

Due arresti, un bottino ancora fantasma e un’indagine che corre: come un furto da cinema nella Galerie d’Apollon si è inceppato per colpa di un casco, un guanto e una bottiglia infiammabile

Louvre, il colpo che ha tradito i ladri: tracce, errori e una corona caduta sull’asfalto

Laurence des Cars

È quasi l’alba di una domenica parigina quando, sulla riva della Senna, un camion con piattaforma elevatrice si ferma davanti a una finestra del primo piano del Louvre. In meno di otto minuti, la Galerie d’Apollon – il santuario dei gioielli della Corona – viene violata con dischi a taglio e smerigliatrici. Poi la fuga, due scooter che rombano tra i vetri frantumati e, sull’asfalto, il tonfo metallico di un oggetto che rotola e rimbalza: la corona dell’imperatrice Eugenia. I ladri non riusciranno a portarla via. La lasceranno cadere a pochi metri dall’uscita, “ferita” ma recuperabile. Quel colpo lampo, spettacolare e devastante, ha lasciato dietro di sé una scia di oltre 150 tracce tra DNA e impronte digitali. Da lì, una settimana dopo, sono scattati i primi due arresti. Ma gli otto gioielli rubati restano scomparsi, e la Francia osserva attonita le vetrine infrante della propria storia, costretta a fare i conti con un fallimento nella tutela del patrimonio nazionale.

Secondo la ricostruzione della procura di Parigi e delle principali testate internazionali, il commando – quattro uomini travestiti da operai, con gilet fosforescenti e un monte-meuble per sollevarsi fino al balcone – è arrivato poco dopo le 9:30 del 19 ottobre 2025. In pochi minuti hanno forzato una finestra, scatenando gli allarmi, e in meno di quattro minuti all’interno hanno infranto due teche portando via nove pezzi, tra cui parure napoleoniche del XIX secolo. Durante la fuga, però, la corona di Eugenia è caduta, riducendo il bottino a otto. Fuori li attendevano gli scooter. Prima di scappare, hanno tentato inutilmente di incendiare il camion elevatore per cancellare le prove.

corona di Eugenia

la scala

Il bottino comprende una tiara, una collana e un orecchino dello sapphire set appartenuto a Maria Amalia e Ortensia, una collana e orecchini di smeraldi di Maria Luisa, la seconda moglie di Napoleone I, oltre alla spilla-reliquiario, la spilla a fiocco e la tiara di Eugenia. Proprio la corona dell’imperatrice, in oro con 1.354 diamanti e 56 smeraldi, è stata ritrovata per strada, gravemente danneggiata ma restaurabile. Un oggetto-simbolo che ha dominato i ritratti ufficiali dell’imperatrice e che oggi, pur ferito, è diventato il segno tangibile della memoria salvata. I ladri, ironia della sorte, non hanno toccato il diamante Regent, uno dei più famosi del mondo.

Dove l’azione è stata chirurgica, la fuga ha mostrato le prime crepe. Nella fretta, i malviventi hanno lasciato dietro di sé una serie di reperti che ora costituiscono il cuore dell’indagine: un casco con capelli, guanti, un gilet giallo, due smerigliatrici, un cannello ossidrico, un walkie-talkie, una bottiglia con liquido infiammabile e perfino le chiavi del camion che non sono riusciti a bruciare. Sugli oggetti e sul mezzo, la polizia scientifica ha rilevato oltre 150 tracce tra DNA e impronte papillari. Quei profili genetici, incrociati con pedinamenti e videosorveglianza, hanno portato ai primi due arresti: due uomini sulla trentina, già noti per furti e ricettazione, fermati il 25 ottobre. Uno è stato catturato a Roissy-Charles de Gaulle mentre cercava di imbarcarsi per l’Algeria, l’altro in Seine-Saint-Denis, pronto a fuggire verso il Mali.

La procura di Parigi, guidata da Laure Beccuau, ha confermato i fermi e parlato di “vol en bande organisée”, ma ha anche frenato l’ottimismo: “poche speranze” di ritrovare i gioielli. Il timore è che le parure siano già state smontate, le pietre isolate, le montature fuse. È la regola spietata del mercato nero: ciò che è troppo famoso non si vende, si distrugge. Le indagini si concentrano ora sulle reti di ricettatori internazionali, specializzate nello smontaggio dei manufatti.

Intanto, la sicurezza del Louvre è finita sotto accusa. La presidente-direttrice Laurence des Cars ha ammesso davanti ai parlamentari gravi falle: telecamere obsolete, copertura parziale delle facciate, vetrine non a prova di disco da taglio. Il museo ha chiuso tre giorni per verifiche, e il governo ha annunciato un piano straordinario per la sicurezza dei musei nazionali. Una lezione amara, aggravata da un dettaglio non secondario: i gioielli non erano assicurati. Come per la maggior parte dei beni di Stato, la Francia si autoassicura, ritenendo proibitivi i costi delle polizze private. Una scelta che rende ancora più cruciale la prevenzione.

L’OCBC e la Brigade de Répression du Banditisme stanno ora ricostruendo la “geografia” forense del colpo: immagini, movimenti, noleggi, tracce genetiche e impronte raccolte non solo sulle attrezzature, ma anche sul camion rimasto intatto. Gli inquirenti ipotizzano una logistica esterna al gruppo principale: staffette, box di appoggio, basi per il cambio dei mezzi. Gli errori dei ladri, però, restano macroscopici: lasciare dietro casco, guanti, bottiglia infiammabile e perfino la corona non è da professionisti.

Il danno stimato si aggira sugli 88 milioni di euro, ma nessuna cifra può misurare la perdita simbolica e culturale. I gioielli trafugati sono frammenti di storia, manifesti di potere e di stile, testimoni di un’epoca. Il loro valore reale è quello della memoria, e proprio per questo la loro scomparsa pesa come una ferita collettiva.

Non sono mancate le denunce preventive. Esperti e addetti alla sicurezza avevano già segnalato la vulnerabilità della finestra da cui il commando è entrato, e perfino l’ipotesi dell’uso di un mezzo elevatore. Qualcuno, tra il serio e il faceto, ha notato la somiglianza con un vecchio romanzo d’avventura francese, quasi un copione annunciato.

Ora restano le domande: dove sono finiti gli otto pezzi rubati? Sono già stati smontati? Quanti complici hanno sostenuto la fuga? E soprattutto, cosa cambierà nella sicurezza dei musei francesi dopo questo affronto?

Il furto del 19 ottobre 2025 non è solo una rapina rocambolesca. È uno specchio della fragilità con cui le istituzioni europee custodiscono la propria storia. Una corona caduta sull’asfalto diventa la metafora perfetta: un patto spezzato tra la memoria e la cura, tra ciò che il passato ci affida e ciò che siamo disposti a proteggere. Finché gli otto gioielli non torneranno nelle teche, la ferita resterà aperta. E la corona di Eugenia, salvata per caso, continuerà a ricordare che a volte un errore dei ladri può restituire almeno un frammento di verità.

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