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28 Ottobre 2025 - 00:08
Laurence des Cars
È quasi l’alba di una domenica parigina quando, sulla riva della Senna, un camion con piattaforma elevatrice si ferma davanti a una finestra del primo piano del Louvre. In meno di otto minuti, la Galerie d’Apollon – il santuario dei gioielli della Corona – viene violata con dischi a taglio e smerigliatrici. Poi la fuga, due scooter che rombano tra i vetri frantumati e, sull’asfalto, il tonfo metallico di un oggetto che rotola e rimbalza: la corona dell’imperatrice Eugenia. I ladri non riusciranno a portarla via. La lasceranno cadere a pochi metri dall’uscita, “ferita” ma recuperabile. Quel colpo lampo, spettacolare e devastante, ha lasciato dietro di sé una scia di oltre 150 tracce tra DNA e impronte digitali. Da lì, una settimana dopo, sono scattati i primi due arresti. Ma gli otto gioielli rubati restano scomparsi, e la Francia osserva attonita le vetrine infrante della propria storia, costretta a fare i conti con un fallimento nella tutela del patrimonio nazionale.
Secondo la ricostruzione della procura di Parigi e delle principali testate internazionali, il commando – quattro uomini travestiti da operai, con gilet fosforescenti e un monte-meuble per sollevarsi fino al balcone – è arrivato poco dopo le 9:30 del 19 ottobre 2025. In pochi minuti hanno forzato una finestra, scatenando gli allarmi, e in meno di quattro minuti all’interno hanno infranto due teche portando via nove pezzi, tra cui parure napoleoniche del XIX secolo. Durante la fuga, però, la corona di Eugenia è caduta, riducendo il bottino a otto. Fuori li attendevano gli scooter. Prima di scappare, hanno tentato inutilmente di incendiare il camion elevatore per cancellare le prove.

Il bottino comprende una tiara, una collana e un orecchino dello sapphire set appartenuto a Maria Amalia e Ortensia, una collana e orecchini di smeraldi di Maria Luisa, la seconda moglie di Napoleone I, oltre alla spilla-reliquiario, la spilla a fiocco e la tiara di Eugenia. Proprio la corona dell’imperatrice, in oro con 1.354 diamanti e 56 smeraldi, è stata ritrovata per strada, gravemente danneggiata ma restaurabile. Un oggetto-simbolo che ha dominato i ritratti ufficiali dell’imperatrice e che oggi, pur ferito, è diventato il segno tangibile della memoria salvata. I ladri, ironia della sorte, non hanno toccato il diamante Regent, uno dei più famosi del mondo.
Dove l’azione è stata chirurgica, la fuga ha mostrato le prime crepe. Nella fretta, i malviventi hanno lasciato dietro di sé una serie di reperti che ora costituiscono il cuore dell’indagine: un casco con capelli, guanti, un gilet giallo, due smerigliatrici, un cannello ossidrico, un walkie-talkie, una bottiglia con liquido infiammabile e perfino le chiavi del camion che non sono riusciti a bruciare. Sugli oggetti e sul mezzo, la polizia scientifica ha rilevato oltre 150 tracce tra DNA e impronte papillari. Quei profili genetici, incrociati con pedinamenti e videosorveglianza, hanno portato ai primi due arresti: due uomini sulla trentina, già noti per furti e ricettazione, fermati il 25 ottobre. Uno è stato catturato a Roissy-Charles de Gaulle mentre cercava di imbarcarsi per l’Algeria, l’altro in Seine-Saint-Denis, pronto a fuggire verso il Mali.
La procura di Parigi, guidata da Laure Beccuau, ha confermato i fermi e parlato di “vol en bande organisée”, ma ha anche frenato l’ottimismo: “poche speranze” di ritrovare i gioielli. Il timore è che le parure siano già state smontate, le pietre isolate, le montature fuse. È la regola spietata del mercato nero: ciò che è troppo famoso non si vende, si distrugge. Le indagini si concentrano ora sulle reti di ricettatori internazionali, specializzate nello smontaggio dei manufatti.
Intanto, la sicurezza del Louvre è finita sotto accusa. La presidente-direttrice Laurence des Cars ha ammesso davanti ai parlamentari gravi falle: telecamere obsolete, copertura parziale delle facciate, vetrine non a prova di disco da taglio. Il museo ha chiuso tre giorni per verifiche, e il governo ha annunciato un piano straordinario per la sicurezza dei musei nazionali. Una lezione amara, aggravata da un dettaglio non secondario: i gioielli non erano assicurati. Come per la maggior parte dei beni di Stato, la Francia si autoassicura, ritenendo proibitivi i costi delle polizze private. Una scelta che rende ancora più cruciale la prevenzione.
L’OCBC e la Brigade de Répression du Banditisme stanno ora ricostruendo la “geografia” forense del colpo: immagini, movimenti, noleggi, tracce genetiche e impronte raccolte non solo sulle attrezzature, ma anche sul camion rimasto intatto. Gli inquirenti ipotizzano una logistica esterna al gruppo principale: staffette, box di appoggio, basi per il cambio dei mezzi. Gli errori dei ladri, però, restano macroscopici: lasciare dietro casco, guanti, bottiglia infiammabile e perfino la corona non è da professionisti.
Il danno stimato si aggira sugli 88 milioni di euro, ma nessuna cifra può misurare la perdita simbolica e culturale. I gioielli trafugati sono frammenti di storia, manifesti di potere e di stile, testimoni di un’epoca. Il loro valore reale è quello della memoria, e proprio per questo la loro scomparsa pesa come una ferita collettiva.
Non sono mancate le denunce preventive. Esperti e addetti alla sicurezza avevano già segnalato la vulnerabilità della finestra da cui il commando è entrato, e perfino l’ipotesi dell’uso di un mezzo elevatore. Qualcuno, tra il serio e il faceto, ha notato la somiglianza con un vecchio romanzo d’avventura francese, quasi un copione annunciato.
Ora restano le domande: dove sono finiti gli otto pezzi rubati? Sono già stati smontati? Quanti complici hanno sostenuto la fuga? E soprattutto, cosa cambierà nella sicurezza dei musei francesi dopo questo affronto?
Il furto del 19 ottobre 2025 non è solo una rapina rocambolesca. È uno specchio della fragilità con cui le istituzioni europee custodiscono la propria storia. Una corona caduta sull’asfalto diventa la metafora perfetta: un patto spezzato tra la memoria e la cura, tra ciò che il passato ci affida e ciò che siamo disposti a proteggere. Finché gli otto gioielli non torneranno nelle teche, la ferita resterà aperta. E la corona di Eugenia, salvata per caso, continuerà a ricordare che a volte un errore dei ladri può restituire almeno un frammento di verità.
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