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01 Novembre 2025 - 09:49
Mercoledì 29 ottobre, all’Unitre di Cuorgnè, il docente e ingegnere Donato Stabile ha tenuto una conferenza dal titolo “Energia nucleare: generazioni a confronto”. Un incontro denso e appassionato, che ha accompagnato il pubblico in un viaggio tra passato e futuro dell’atomo, tra vecchie paure e nuove opportunità.
Oggi il nucleare è tornato al centro del dibattito globale. Non è più solo una questione tecnica o politica, ma culturale, etica, quasi esistenziale. Parlare di energia atomica significa interrogarsi su chi siamo, su quanto siamo disposti a comprendere e su come vogliamo convivere con le forze che abbiamo imparato a dominare.
Il termine “nucleare” continua a evocare immagini di pericolo, catastrofi, esplosioni. Eppure, come ha spiegato Stabile, la realtà del nucleare civile è profondamente diversa da quella militare. «In un reattore non c’è una bomba pronta a esplodere», ha ricordato. L’uranio civile è arricchito al 3-5%, mentre per un ordigno serve oltre il 90%. Due mondi lontanissimi: nel primo, la reazione è controllata; nel secondo, è devastante.
Certo, la tecnologia è la stessa, ma ciò che cambia è l’uso che ne facciamo. E in questo senso, l’atomo diventa uno specchio della nostra maturità collettiva. Il problema non è la tecnologia, ma la responsabilità con cui la società decide di gestirla.
La paura del nucleare, dunque, è comprensibile. È il segno di un rispetto profondo per una forza invisibile e potente. Ma non va confusa con la disinformazione. Troppo spesso la diffidenza nasce da una conoscenza parziale o da un racconto mediatico più emotivo che scientifico. Oggi, però, la ricerca e la cultura della sicurezza sono lontane anni luce da quelle degli anni Settanta.
Siamo a un bivio: continuare a bruciare combustibili fossili, aggravando la crisi climatica, o affrontare la transizione energetica con coraggio e realismo. Le energie rinnovabili – solare, eolica, idroelettrica – sono indispensabili, ma da sole non bastano a garantire la stabilità della rete. L’esempio della Spagna, dove nei giorni di sole la sovrapproduzione fotovoltaica ha persino mandato in tilt il sistema, lo dimostra.
Serve una fonte costante, capace di sostenere la rete quando il sole tramonta e il vento si ferma. È qui che il nucleare civile può tornare a giocare un ruolo: una sorta di “battito costante” nel cuore del sistema elettrico.
Oggi la scienza guarda oltre la fissione, verso la fusione nucleare, la stessa che alimenta le stelle. Il progetto ITER, in costruzione nel sud della Francia, punta a realizzare una reazione stabile capace di generare energia unendo due nuclei leggeri. È un sogno che l’umanità insegue da decenni. I risultati più recenti – con plasma stabile a 150 milioni di gradi per oltre venti minuti – fanno intravedere una prospettiva concreta. Non siamo ancora a una centrale, ma la direzione è tracciata. Se la fusione diventerà realtà industriale, offrirà energia quasi inesauribile, senza CO₂ e con scorie minime. Non domani, ma forse dopodomani.
Nel frattempo, il presente si chiama Small Modular Reactors (SMR): piccoli reattori modulari, più sicuri, flessibili e veloci da costruire. Progettati in fabbrica e assemblati sul posto, promettono di ridurre tempi, costi e rischi. Molti SMR usano piombo fuso come refrigerante: un materiale che, oltre a condurre calore, funge da barriera contro le radiazioni. Anche senza alimentazione elettrica, il reattore resta stabile grazie alla convezione naturale: un salto tecnologico che segna un punto di svolta nella sicurezza.
Alcuni modelli riescono perfino a riciclare parte del combustibile esausto, riducendo quantità e pericolosità delle scorie. Non è più fantascienza: questi sistemi sono già in fase di test in diversi Paesi, e anche l’Italia – pur “denuclearizzata” – partecipa a numerosi programmi internazionali. Dietro a quei laboratori ci sono anche ricercatori e ingegneri italiani, spesso all’estero, che continuano a portare avanti una tradizione scientifica di eccellenza.
Tra i pionieri, il nome di Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica nel 1984, che ideò un reattore ibrido accoppiato a un acceleratore di particelle per produrre energia più sicura e con scorie ridotte. Ma Rubbia ha anche creduto nelle energie rinnovabili, firmando il progetto del solare a concentrazione, dove enormi specchi riflettono la luce su sali fusi capaci di generare elettricità anche di notte.
La lezione è chiara: non si tratta di scegliere tra nucleare e rinnovabili, ma di integrarli. La vera transizione passa da un sistema energetico complementare, dove ogni fonte contribuisce secondo le proprie caratteristiche.
L’energia, oggi più che mai, è una scelta culturale, etica e politica. Significa decidere che tipo di mondo vogliamo lasciare e quanto crediamo nella conoscenza. L’atomo, nel suo volto civile, può essere una risorsa preziosa – non un dogma, ma una possibilità da valutare con onestà.
Abbiamo il diritto di temerlo, ma anche il dovere di conoscerlo. Perché solo ciò che si conosce può essere governato. La vera sfida non è scegliere una fonte contro un’altra, ma usare la scienza come strumento di libertà, non di paura. Ogni watt prodotto è una dichiarazione di intenti, un frammento della nostra visione del futuro.
L’energia che muove il mondo non nasce soltanto dai reattori o dai pannelli solari, ma dalle decisioni consapevoli di un’umanità che continua, ostinatamente, a cercare la propria luce.
Foto: Osvaldo Marchetti

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