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Ombre su Torino

Rocco Sardone, 22 anni: la bomba, l’ospedale, la morte

Da Tricarico a Torino, la parabola di un militante che credeva nella rivoluzione e finì dissanguato tra le negligenze mediche e le contraddizioni di un’Italia in guerra con se stessa

Rocco Sardone. Una fine da anni di piombo.

30 ottobre 1977

Un terrorista per la stampa e per le forze dell’ordine, un militante appassionato e generoso per i suoi compagni di lotta, la storia di Rocco Sardone è tipica degli anni in cui accade. Anni violenti, di contraddizioni e di istanti che in un attimo cambiano per sempre le vite di tante persone.

Originario di Tricarico in provincia di Matera, Sardone inizia il suo lungo peregrinare fin da giovane.

A sedici anni, nel 1971, si trova a Reggio Emilia, dove viene assunto come operaio. Inizia qui la sua militanza nell’estrema sinistra insieme al fratello Nicola, con il quale si trasferirà successivamente a Venezia, a Bologna e poi, infine, metà del 1977, a Torino.

Volantinaggi, battaglie al fianco dei colleghi, rivendicazioni salariali e sindacali, scontri coi fascisti. La lotta politica lo assorbe completamente: a 22 anni, sostanzialmente, è la sua unica ragione di vita.

Arriva l’autunno e la notizia della morte (tra il 17 e il 18 ottobre) nel carcere di massima sicurezza di Stammheim, di Andreas Baader, Jan Karl Raspe e Gudrun Ensslin, membri di primissimo piano della RAF, il principale gruppo terroristico dell’allora Germania Ovest.

Da una parte la polizia parla di suicidi, dall’altra le autopsie dimostrano che i primi due sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco e la terza “impiccata”.

Una quarta militante, Irmgard Möller, sopravvive, nonostante quattro coltellate, e sosterrà sempre la tesi dei “suicidi di stato”.

Quando giunge in Italia l’eco degli avvenimenti la reazione del “movimento” si traduce in cortei, manifestazioni di solidarietà e azioni dimostrative, alcune anche violente.

A Torino, in particolare, vengono collocati diversi ordigni davanti ad alcuni rivenditori di auto tedesche.
La notte del 30 ottobre 1977 è proprio uno di questi l’obbiettivo di Rocco Sardone.

Sono circa le 2 e il ventiduenne si trova a bordo di Fiat 850 di un’amica insieme al fratello Nicola. Si stanno dirigendo verso una concessionaria Volkswagen che si trova in via Pianezza 230, quando, in corso Toscana, la bomba che si stanno portando dietro esplode.

Rocco si ustiona le mani e delle schegge lo feriscono al torace. Non sembra grave e infatti, accompagnato dal fratello, prende un taxi poco lontano e si fa portare all’ospedale Maria Vittoria.

Entra sulle sue gambe e viene visitato dal dottor Profumo, che lo invia al reparto di rianimazione. Qui, dopo quattro ore, morirà dissanguato. Le schegge gli hanno penetrato un polmone e a poco a poco un’emorragia lo ha ucciso.

Una successiva perizia legale stabilirà che Sardone poteva essere salvato ma che l'incompetenza dei medici lo ha lasciato morire.

Per i compagni diventerà una vittima dello Stato, anche se nessuno verrà indagato né processato.

Andrà diversamente invece per Flavia Di Bartolo (estranea all’azione ma proprietaria dell’auto) e a Nicola Sardone che verranno condannati entrambi, rispettivamente a 2 e 4 anni di reclusione.

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