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TIM scarica Telecontact, esplode la protesta: “Altro che innovazione, è solo una svendita”

A rischio 1.500 lavoratori in Italia, 150 tra Ivrea e Aosta. La UILCOM proclama lo stato di agitazione e accusa TIM di spacchettare il gruppo per fare cassa. Il deputato Iaria porta il caso in Parlamento: “Serve trasparenza, non tagli mascherati”.

 TIM scarica Telecontact, esplode la protesta: “Altro che innovazione, è solo una svendita”

TIM scarica Telecontact, esplode la protesta: “Altro che innovazione, è solo una svendita”

Altro che innovazione. Dietro la parola d’ordine scelta dal gruppo TIM per giustificare la cessione di Telecontact Center si nasconde l’ennesima operazione tutta italiana: spacchettare, esternalizzare, alleggerire i bilanci scaricando il conto su chi lavora. È la storia che si ripete, la stessa che ha già travolto in passato Fastweb, Vodafone e Wind, finite nei tribunali dopo operazioni simili e condannate per le loro scelte aziendali “scellerate”. E oggi quel copione si ripropone – con precisione chirurgica – per 1.591 dipendenti in tutta Italia, di cui 150 solo tra Ivrea e Aosta, due territori che da sempre rappresentano un presidio industriale e occupazionale nel Nord-Ovest.

La nuova società si chiamerà DNA, acronimo che nelle intenzioni del gruppo dovrebbe rappresentare la “nuova evoluzione” del customer care, ma che nei fatti, per i lavoratori, suona come una sigla amara. DNA nascerà dalla fusione di rami d’azienda di Telecontact e di Gruppo Distribuzione, anch’essa controllata TIM, per costituire una società “di nuova generazione”. Nella realtà, denunciano i sindacati, si tratta dell’ennesima operazione di esternalizzazione mascherata: un modo per far uscire dal perimetro del gruppo un segmento strategico, quello dell’assistenza clienti, senza offrire alcuna garanzia occupazionale né prospettiva industriale.

La UILCOM Piemonte e Valle d’Aosta, nel suo comunicato, è durissima: parla apertamente di “ennesima esternalizzazione mascherata, pensata per ottenere fondi pubblici previsti in caso di aggregazioni aziendali, ma senza alcuna certezza per chi lavora”. Secondo la sigla, il piano presentato da TIM è “fumoso, privo di concretezza e costruito soltanto per sfruttare incentivi pubblici”. Gli addetti ai lavori ricordano che operazioni analoghe in passato hanno portato a pesanti sconfitte legali per le aziende, e a un lento smantellamento della qualità del servizio.

La segretaria generale Maria Luisa Lanzaro non usa mezzi termini: “Ancora una volta la gestione delle crisi viene scaricata sui lavoratori. Dietro la retorica del rilancio, c’è solo il sacrificio di chi ogni giorno tiene in piedi i servizi, perde tutele, certezze e dignità professionale. Non accetteremo questo ennesimo smembramento e chiediamo un intervento immediato delle istituzioni.” La UILCOM, in linea con la Segreteria nazionale, ha già proclamato lo stato di agitazione e annuncia iniziative di mobilitazione in tutte le sedi interessate, da Aosta a Catanzaro, da Caltanissetta a Roma e Napoli.

Ma non è solo un problema di numeri o di contratti: è una questione di sovranità industriale. La cessione di Telecontact, secondo i sindacati, apre un varco pericoloso nella strategia complessiva di TIM, che negli ultimi anni ha avviato una progressiva frammentazione del gruppo: prima la rete, poi le infrastrutture, ora il customer care. Una scelta che rischia di indebolire la capacità produttiva nazionale e di mettere in discussione la tenuta di un intero settore strategico.

Anche la politica si è accorta della portata del caso. Il deputato del Movimento 5 Stelle Antonino Iaria ha presentato un’interpellanza urgente ai ministri delle Imprese e del Made in Italy e delle Infrastrutture e dei Trasporti, chiedendo spiegazioni dettagliate sull’operazione e sul destino dei lavoratori.

Nell’atto parlamentare, Iaria sottolinea che “la perdita di controllo su società strategiche come Telecontact rischia di indebolire la capacità industriale nazionale e la qualità dei servizi offerti ai cittadini”. A suo avviso, l’esternalizzazione delle attività di customer care potrebbe avere effetti devastanti non solo sulla tutela dei dipendenti, ma anche sulla sicurezza dei dati e sulla continuità del servizio universale, di cui TIM è concessionaria.

L’interpellanza, presentata il 29 ottobre 2025, chiede al Governo se sia stato informato nei dettagli dell’operazione e, soprattutto, quali misure intenda adottare “per tutelare i livelli occupazionali, i diritti dei lavoratori e l’interesse nazionale nel settore delle telecomunicazioni”. Iaria domanda inoltre se non sia necessario promuovere un confronto istituzionale immediato tra TIM, le organizzazioni sindacali e le istituzioni pubbliche, e se non sia opportuno riferire al Parlamento sulla cosiddetta “partita TIM”, chiarendo prospettive e strategie di tutte le società del gruppo, comprese quelle oggi escluse dai piani ufficiali.

Ma da Palazzo Chigi tutto tace. E mentre a Roma si discute di strategie industriali, nei corridoi di Ivrea e Aosta cresce l’angoscia. I lavoratori non hanno ricevuto risposte, solo rassicurazioni generiche. “Ci dicono che è un’opportunità, ma nessuno ci spiega che fine faremo”, raccontano. Operatrici e operatori abituati a gestire ogni giorno le lamentele dei clienti, ora si ritrovano dall’altra parte del telefono: a protestare, a chiedere ascolto, a reclamare il diritto a un futuro. “Non vogliamo essere sacrificati in nome dei bilanci o dei bonus dei dirigenti”, dicono.

Il piano, secondo la UILCOM, è “senza capo né coda”. E la scelta del nome DNA – che dovrebbe evocare innovazione e rinascita – appare come una beffa. “Il DNA del gruppo TIM – ironizzano i sindacalisti – sembra ormai composto solo da esternalizzazioni e tagli.” Il sarcasmo cela una verità drammatica: dietro il linguaggio della modernità si nasconde un modello industriale logoro, che rinuncia alla competenza interna per inseguire logiche finanziarie di breve periodo.

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In diverse regioni, la protesta si sta allargando. In Calabria, dove solo nella sede di Catanzaro sono coinvolti circa 400 addetti, il consigliere regionale Enzo Bruno ha definito l’operazione “una scelta miope e pericolosa” e ha chiesto l’intervento della Regione e del Governo per fermare la cessione. Anche altre sigle, come la Fistel Cisl e la Slc Cgil, hanno espresso la loro contrarietà, annunciando azioni di sciopero e procedure di raffreddamento. Tutte unite da un messaggio chiaro: difendere i posti di lavoro, la dignità professionale e il ruolo strategico di TIM come pilastro nazionale delle telecomunicazioni.

Nel frattempo, emergono retroscena inquietanti: secondo fonti sindacali, la nuova società DNA sarebbe stata costituita solo per agevolare il conferimento del ramo d’azienda e accedere ai fondi pubblici previsti dalle normative per le aggregazioni. Non un vero progetto industriale, dunque, ma una mossa di bilancio. Le rassicurazioni fornite nei mesi scorsi dai vertici TIM, che avevano promesso “piena collaborazione con i sindacati in caso di operazioni straordinarie”, oggi appaiono quanto mai fragili e contraddette dai fatti.

Sul tavolo restano questioni pesantissime: la tutela dei posti di lavoro, la continuità del servizio, la sicurezza dei dati e, più in generale, il ruolo stesso di TIM come infrastruttura nazionale strategica. “Si parla tanto di sovranità digitale – attacca Iaria – ma poi si consente la frammentazione di aziende strategiche come se fossero mattoncini di Lego da vendere al miglior offerente.”

La sensazione, tra i lavoratori, è di assistere a una svendita a tappe, dove ogni pezzo del gruppo viene smontato e ricollocato altrove, lontano dal controllo diretto e dalle tutele collettive. E questa volta, a pagare il prezzo, saranno ancora una volta loro: i dipendenti, gli stessi che per anni hanno garantito assistenza ai cittadini, mantenendo viva la reputazione del marchio.

“Non è accettabile che ogni ristrutturazione si traduca in un colpo di scure sul lavoro”, conclude Maria Luisa Lanzaro. “Noi non ci stiamo. Chiediamo rispetto, trasparenza e un vero piano industriale che parli di futuro, non di tagli mascherati da innovazione.”

E mentre si parla di “nuovo DNA”, i lavoratori di Telecontact continuano a chiedersi quale sarà il loro destino. Perché, a quanto pare, l’unico codice genetico rimasto in questa azienda è quello – ben collaudato – del sacrificio del lavoro sull’altare del profitto.

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