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28 Ottobre 2025 - 23:26
Tre morti in Cisgiordania: la guerra “silenziosa”
La lamiera accartocciata di un veicolo in fiamme, un cratere poco distante dall’imboccatura di una grotta, ulivi anneriti tutt’intorno. È questo lo scenario, ai margini di Jenin, dove all’alba di martedì 28 ottobre 2025 si è consumata l’ultima pagina – simbolica ma rivelatrice – della guerra “silenziosa” in Cisgiordania. Secondo la versione ufficiale israeliana, tre militanti palestinesi sono stati uccisi in un’operazione congiunta di polizia ed esercito. Ma la dinamica resta controversa: a un primo scontro a terra avrebbe fatto seguito un colpo dal cielo, un raid aereo che – se confermato – rappresenterebbe il primo in Cisgiordania da febbraio, dopo mesi di relativa tregua sul fronte dei bombardamenti.
Il portavoce della polizia israeliana ha parlato di tre “militanti” uccisi nei pressi del campo profughi di Jenin, durante un’azione contro uomini sospettati di pianificare attacchi. L’IDF (le Forze di Difesa Israeliane) ha spiegato che l’operazione si inserisce nel quadro della campagna “Iron Wall”, avviata lo scorso gennaio per smantellare le infrastrutture armate nel nord della Cisgiordania. Le immagini circolate mostrano un’auto carbonizzata e danni a una zona agricola, confermando che l’intervento sia avvenuto in un’area rurale a ovest di Jenin, vicino a una grotta. Alcuni testimoni riferiscono di colpi d’arma da fuoco e, subito dopo, di un attacco aereo che avrebbe centrato il veicolo e l’accesso alla cavità.

L’esercito israeliano collega l’episodio alla presenza di cellule miste di Hamas e Jihad Islamica, attive tra Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Hamas ha confermato che almeno due dei tre uccisi erano suoi membri, descrivendo però l’azione come uno scontro a fuoco “a terra”, minimizzando il ruolo dell’aviazione. La Jihad Islamica, invece, ha parlato di “cecchini” e di un “bombardamento aereo in un’area abitata”, denunciando un assedio a un sito agricolo e l’impedimento dei soccorsi. Secondo i media filo-palestinesi, le vittime sarebbero tre, con nomi già diffusi ma non confermati dai canali israeliani. Va ricordato che le fonti palestinesi e israeliane offrono da mesi versioni parzialmente inconciliabili, e che entrambe utilizzano la terminologia con evidenti fini propagandistici.
Se le informazioni palestinesi risultassero corrette, quello del 28 ottobre sarebbe il primo raid aereo in Cisgiordania dall’8 febbraio 2025, interruzione durata dunque quasi nove mesi. Nel frattempo, gli attacchi dal cielo si erano rarefatti dopo la fase più dura dell’operazione invernale israeliana. I riscontri indipendenti, tuttavia, sono scarsi, e anche le ricostruzioni giornalistiche non coincidono del tutto. Ma la questione centrale resta un’altra: il ritorno dell’aviazione in Cisgiordania potrebbe indicare un cambio di passo, una nuova soglia operativa in un conflitto che da mesi si consuma soprattutto tra rastrellamenti, arresti e scontri urbani.
Dal 21 gennaio, Israele conduce una massiccia offensiva in Cisgiordania settentrionale, concentrata proprio sul campo di Jenin, definito da Benjamin Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz “uno dei principali focolai del terrorismo organizzato”. L’operazione, ribattezzata “Iron Wall”, ha lasciato il campo quasi irriconoscibile. “Una città fantasma”, raccontano i residenti, molti dei quali costretti alla fuga. Organizzazioni internazionali e agenzie dell’ONU hanno denunciato demolizioni, distruzione di infrastrutture, tagli all’elettricità e all’acqua, blocchi stradali e ostacoli all’accesso ai servizi sanitari. Secondo stime locali, decine di migliaia di persone sono state sfollate.
Nel frattempo, anche l’Autorità Palestinese aveva tentato – tra fine 2024 e inizio 2025 – di ristabilire il controllo su Jenin, lanciando una propria operazione di polizia contro le Jenin Brigades, ma il tentativo è naufragato rapidamente, travolto dall’ingresso dell’IDF e dalle divisioni politiche interne. Da quel momento, la leadership palestinese è apparsa sempre più marginale, schiacciata tra l’occupazione israeliana e la crescente influenza dei gruppi armati locali.
L’uso dei droni e dei missili in Cisgiordania è diventato un indicatore della temperatura del conflitto. Già nell’autunno 2024, il raid del 3 ottobre su Tulkarem aveva segnato il ritorno di tattiche militari da guerra aperta in un contesto che, formalmente, resta sotto giurisdizione civile e di sicurezza mista. A gennaio e febbraio 2025, altri attacchi aerei su Jenin avevano mostrato lo stesso schema operativo: fuoco combinato da terra e dal cielo. Poi, un lungo silenzio. Fino ad ora.
Jenin, dunque, continua a essere il barometro del conflitto. Ogni cambiamento tattico in questa città – il cuore simbolico e operativo della resistenza armata palestinese – anticipa un’evoluzione più ampia. L’auto carbonizzata nella “cava” di Kafr Qud e gli ulivi bruciati sono più di una scena di guerra: sono il segno di un equilibrio che si sposta, dove le linee rosse si fanno sempre più labili e i confini tra guerra e operazione di polizia svaniscono. Ogni data diventa un indicatore politico: l’8 febbraio, l’ultima volta; il 28 ottobre, forse l’inizio di un nuovo ciclo.
Sul piano politico, Israele insiste sulla necessità di mantenere “libertà d’azione” in Cisgiordania. Katz e Netanyahu ribadiscono che l’obiettivo è prevenire la ricostituzione di reti armate, anche a costo di un presidio prolungato. Ma l’uso dell’aviazione, dopo mesi di pausa, solleva interrogativi anche interni: segnale di escalation o sintomo di difficoltà operative a terra? In Cisgiordania, l’episodio alimenta la retorica della “resistenza”: Hamas esalta i “martiri”, la Jihad Islamica denuncia “crimini di guerra”, mentre l’Autorità Palestinese resta quasi muta, travolta da una perdita crescente di credibilità.
A livello internazionale, le agenzie ONU tornano a lanciare l’allarme: la riaccensione del fronte in Cisgiordania rischia di compromettere la fragile tregua nella Striscia di Gaza, dove il cessate il fuoco resta appeso a un filo. Ogni bomba che torna a cadere sopra Jenin sposta più in là la possibilità di una stabilizzazione complessiva.
Dall’inizio dell’anno, decine di raid e centinaia di arresti hanno ridisegnato la mappa della Cisgiordania settentrionale. Tra Jenin, Tulkarem e Nur Shams, le operazioni hanno provocato distruzioni su vasta scala, con una sistematica erosione delle infrastrutture civili. Molti osservatori hanno parlato di “tattiche belliche applicate al controllo di polizia”, una formula che sintetizza il cortocircuito di questa fase.
Il caso del 28 ottobre, dunque, è più di una cronaca di guerra. È un termometro. Se il ritorno dei droni e dei bombardamenti dovesse consolidarsi, significherebbe che la “guerra silenziosa” in Cisgiordania ha superato un’altra soglia, e che il conflitto israeliano-palestinese, ancora una volta, ha trovato un nuovo modo per non finire mai.
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