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Al freddo da sabato: ventisei famiglie senza riscaldamento a Settimo. “Riscaldo l’acqua sui fornelli per lavare mia figlia disabile”

Un rimpallo di responsabilità tra Engie, Mosso Costruzioni e Comune di Settimo Torinese lascia 26 famiglie di via De Francisco senza acqua calda né termosifoni. C’è chi scrive email nel vuoto e chi piange davanti ai fornelli accesi per scaldare una bacinella d’acqua

Al freddo da sabato: ventisei famiglie senza riscaldamento a Settimo. “Riscaldo l’acqua sui fornelli per lavare mia figlia disabile”

Al freddo da sabato: ventisei famiglie senza riscaldamento a Settimo. “Riscaldo l’acqua sui fornelli per lavare mia figlia disabile”

Da sabato mattina vivono così: con il fiato sospeso e le coperte sulle spalle, in silenzio, a contare le ore che passano senza calore. Ventisei famiglie di via De Francisco, civici 29, 22/A e 22/B, da giorni non hanno riscaldamento né acqua calda. Ma non per un guasto, non per una tempesta improvvisa o un disservizio momentaneo. Bensì per qualcosa di più assurdo e crudele: un rimpallo di responsabilità, un vuoto di risposte, una negligenza che ha lasciato bambini, anziani e disabili in balia del freddo di fine ottobre.

Tutto comincia sabato mattina, quando Engie Servizi, la società che gestisce la rete di teleriscaldamento a Settimo Torinese, chiude la fornitura. Da allora, i termosifoni sono spenti, le docce fredde come sassi. Solo dopo giorni di telefonate e mail disperate, i condomini scoprono la verità: Engie ha sospeso la fornitura di calore perché Mosso Costruzioni srl, la società proprietaria degli stabili, non ha rinnovato il contratto, scaduto a luglio.

freddo in casa

“Abbiamo scritto all’amministratore”, raccontano, “e lui ci ha detto di rivolgerci al Comune. Il Comune ci ha risposto che non se ne occupa, che è una questione tra proprietà e gestore. Da lì in poi solo email su email, tutte senza risposta.”

Un ping-pong burocratico degno della peggior Italia, quella che abbandona i suoi cittadini al freddo, letteralmente.

C’è chi, con le mani screpolate, scalda pentole d’acqua sul fornello per riempire una bacinella e lavare un figlio. “Io ho una bimba di otto anni e una disabile di ventitré”, ci dice una giovane mamma, quasi in lacrime. “Riscaldo l’acqua sui fornelli, ma non basta… non basta mai. Mia figlia più grande non può fare la doccia da sola, serve tempo, serve calore. E invece qui fa freddo ovunque.”

In un altro appartamento, una donna in carrozzina non sa più a chi scrivere. “Ho mandato quattro email e non ho avuto risposta. Ho chiamato il Comune come mi han detto loro, ho fatto tutto quello che potevo. Ma niente. In queste condizioni non si può stare…”

Sembra una storia incredibile, ma è tutto vero. Eppure queste sono famiglie che hanno sempre pagato tutto quello che c’era da pagare. Non hanno colpe.

“Rivolgetevi al Comune”, hanno detto loro. Il Comune replica che un incontro c’è stato, il 10 luglio 2025, con la proprietà, ma non è stato raggiunto un accordo. E da allora, il silenzio. Nessuno che si sia preso la briga di avvisare questi poveri disgraziati.

Un silenzio che pesa come il freddo nelle stanze di chi si sente dimenticato.

C’è stato un tempo in cui un problema come questo sarebbe stato preso di petto dal sindaco. Erano i tempi di Giovanni Ossola, ma anche quelli di Aldo Corgiat. Avrebbe preso il telefono in mano e non l’avrebbe mollato prima d’aver trovato una soluzione, anche se la cosa non era di sua competenza. Solo per quell’essere stato eletto a servizio dei suoi concittadini. Tempi antichi. Modi vecchi di far politica.

Oggi, nel nuovo che avanza, i sindaci si occupano di cultura e innovazione a tempo pieno e altro non sono capaci di fare altro. Vanno a caccia di certificazioni, si riempiono la bocca di belle parole e poi, nel pratico, non c’è nulla. Solo freddo, solo degrado.

La verità è che, di fronte a fatti gravi come quello che ha coinvolto queste 26 famiglie, non c’è solo una mancanza di riscaldamento: c’è una mancanza di umanità. Nessuno si assume la responsabilità di un errore che non è tecnico, ma profondamente sociale. È il segno di un sistema che non sa più guardare le persone negli occhi.

In via De Francisco non mancano solo il riscaldamento e l’acqua calda. Manca qualcuno che si prenda cura, che ascolti, che abbia il coraggio di dire: ci penso io. Ed è forse questa, la povertà più grande di tutte.

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