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27 Ottobre 2025 - 21:47
Antonio Filosa
“Stellantis non arretra, non riduce e non abbandona l’Italia”. Con queste parole Antonio Filosa, amministratore delegato del gruppo automobilistico nato dalla fusione tra FCA e PSA, ha voluto mettere a tacere ogni voce di disimpegno industriale. Intervistato da Bruno Vespa nel corso del programma Cinque Minuti, Filosa ha ribadito che il colosso dell’auto continuerà a investire nel nostro Paese con “un piano pragmatico e chiaro”, destinando 2 miliardi di euro in un solo anno e garantendo che “non ci sono ridimensionamenti previsti in alcuno stabilimento”.
Il numero uno di Stellantis ha definito il piano industriale italiano del gruppo solido e coerente, spiegando che ogni fabbrica – da Mirafiori a Melfi, da Pomigliano a Termoli – avrà una missione produttiva definita e duratura nel tempo. Nessun taglio, dunque, ma una ridefinizione delle linee produttive in chiave elettrica e sostenibile. Filosa ha sottolineato che “l’impegno in Italia è concreto e lo dimostriamo con i fatti”, ricordando che nel 2024 gli investimenti nel Paese toccheranno quota due miliardi, mentre gli acquisti da fornitori italiani raggiungeranno i sei miliardi di euro.
A pesare, però, sono le regole europee, considerate troppo rigide rispetto alle necessità del mercato. “Abbiamo bisogno di un’urgente revisione delle regolamentazioni di Bruxelles”, ha detto Filosa, denunciando che oggi in Europa “le norme impediscono ai consumatori di scegliere liberamente l’auto che vogliono”. Il confronto con gli Stati Uniti, dove Stellantis ha in programma un maxi investimento da tredici miliardi in quattro anni, è per lui impietoso: “Oltreoceano le persone hanno recuperato la libertà di acquistare la vettura che preferiscono, mentre da noi le regole sono così rigide da rendere impossibile una vera concorrenza”.
Secondo l’amministratore delegato, serve maggiore neutralità tecnologica per permettere lo sviluppo di diverse soluzioni e non solo dell’elettrico, occorre favorire il rinnovo del parco auto circolante perché in Europa ci sono ancora 150 milioni di vetture con più di dodici anni, bisogna prestare più attenzione alle auto di piccola cilindrata – settore in cui l’Italia resta leader mondiale – e rivedere urgentemente i target imposti ai veicoli commerciali, considerati irraggiungibili.
Filosa ha poi affrontato il tema dei costi energetici, definendoli uno dei principali ostacoli alla competitività del Paese. Il prezzo dell’energia in Italia, ha spiegato, è più che doppio rispetto a quello della Spagna e incide in modo determinante sulla capacità produttiva delle aziende. “Su questo fronte stiamo parlando con il governo italiano: li troviamo ricettivi e il dialogo è costruttivo. Speriamo di arrivare presto a soluzioni favorevoli per l’intero comparto”, ha aggiunto.
Il messaggio di Filosa è chiaro: Stellantis non intende lasciare l’Italia, ma chiede che il Paese e l’Unione Europea si muovano con la stessa determinazione con cui il gruppo sta facendo la sua parte. “Abbiamo un piano concreto, fabbriche attive, investimenti reali e una rete di fornitori italiani che cresce. Ora serve che Bruxelles si allinei al mercato e alla realtà industriale”, ha concluso.
Il gruppo, che nel mondo ha in programma investimenti imponenti, punta a consolidare la propria presenza nei principali mercati globali senza però snaturare il legame con l’Italia, dove è nata gran parte della storia dell’automobile europea. Una sfida non solo industriale ma anche politica, che chiama in causa il futuro dell’intero comparto manifatturiero nazionale.
Le parole di Antonio Filosa, pronunciate nello studio di Cinque Minuti con la calma e la sicurezza di chi vuole rassicurare il Paese, suonano come un balsamo per i lavoratori e per la politica industriale italiana. “Nessun ridimensionamento”, “2 miliardi di investimenti in un anno”, “un piano pragmatico per ogni stabilimento”: frasi perfette, cucite per tranquillizzare un’opinione pubblica inquieta e una filiera produttiva che, da mesi, teme il contrario. Eppure, dietro la compostezza del messaggio, si celano una serie di contraddizioni che vale la pena analizzare con lucidità.
Innanzitutto, se davvero Stellantis non avesse in mente alcuna riduzione, non si spiegherebbero le continue voci di rallentamento nelle fabbriche italiane, a partire da Mirafiori e Cassino, dove la cassa integrazione a rotazione è ormai la norma. Il concetto di “nessun ridimensionamento” stride con la realtà di migliaia di operai che alternano settimane di lavoro a periodi di sospensione, in attesa di nuovi modelli promessi e mai del tutto partiti. È una strategia industriale in bilico tra l’effettiva volontà di mantenere una presenza produttiva in Italia e la tendenza a spostare la parte più redditizia della produzione verso mercati con costi più bassi o normative più favorevoli.
Il secondo punto critico riguarda il paragone con gli Stati Uniti. Filosa sottolinea con orgoglio i 13 miliardi investiti oltreoceano in quattro anni, ma evita di ricordare che si tratta di un mercato con 16 milioni di auto vendute all’anno, contro i 9 europei. Un confronto impari, che rischia di trasformare la retorica della “neutralità tecnologica” in una coperta troppo corta: da una parte il sogno americano dei pickup e dei SUV, dall’altra un continente che tenta di ridurre emissioni e consumi ma senza un piano industriale coerente.
La battaglia contro Bruxelles, poi, è il terzo nodo. Quando Filosa chiede di “cambiare urgentemente le regole europee”, non specifica che quelle stesse regole — sui limiti di CO₂, sulla transizione elettrica, sui target dei veicoli commerciali — sono state introdotte per una ragione precisa: salvare l’ambiente e indirizzare un settore che per decenni ha contribuito massicciamente all’inquinamento globale. Chiedere oggi di “rallentare” la transizione equivale, nei fatti, a rimandare ancora una volta la vera riconversione ecologica del comparto.
Sul fronte italiano, le contraddizioni si fanno ancora più evidenti. Filosa parla di “dialogo costruttivo” con il governo, ma il vero nodo non è la buona volontà dei ministri: è la mancanza di una politica industriale nazionale degna di questo nome. Da troppi anni l’Italia subisce le scelte delle grandi multinazionali dell’auto invece di anticiparle o orientarle. La transizione verso l’elettrico, la gestione dei costi energetici, la creazione di una filiera delle batterie: sono tutti dossier aperti e irrisolti.



Infine, la questione delle piccole auto, tanto cara a Filosa. È vero che l’Italia è stata per decenni la patria delle utilitarie, ma oggi Stellantis ha tagliato fuori proprio quella fascia popolare che ha reso grande la Fiat nel mondo. La Panda è a rischio, la 500 elettrica resta un prodotto di nicchia e costoso, mentre i modelli “entry level” spariscono progressivamente dai listini. Parlare di sostegno alle citycar mentre il gruppo abbandona la fascia bassa del mercato è una contraddizione evidente.
Insomma, le parole di Filosa rappresentano un perfetto esercizio di comunicazione industriale: rassicurare, promettere, proiettare ottimismo. Ma la realtà dei numeri, dei volumi produttivi e dei lavoratori racconta una storia diversa. Stellantis investe, sì, ma selettivamente. Mantiene una presenza in Italia, ma la ridisegna a misura di bilancio, non di territorio. E soprattutto continua a chiedere flessibilità e aiuti pubblici, senza offrire garanzie di lungo periodo.
In un Paese dove l’auto non è solo industria ma parte dell’identità nazionale, la sfida non è più credere alle promesse di un manager, ma pretendere una visione politica che imponga condizioni chiare: produzione, occupazione e innovazione in cambio di sostegno. Perché, se la “neutralità tecnologica” diventa solo uno slogan per rinviare il cambiamento, allora la rivoluzione promessa resterà ancora una volta ferma ai box.
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