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27 Ottobre 2025 - 21:16
Paolo Conta, presidente di Confindustria
C’è una parola che a Ivrea pesa più di qualunque altra: Olivetti. Non è solo un nome, ma una visione. Un modo di intendere il lavoro e la tecnologia come strumenti al servizio dell’uomo, non padroni della sua esistenza. È da quella visione che nasce, ottant’anni fa, l’Unione Industriale di Ivrea e del Canavese. E non è un caso se, per celebrare questo traguardo, Confindustria Canavese abbia scelto proprio l’Officina H, il luogo simbolo del pensiero olivettiano, per ospitare la sua Assemblea Generale. Una giornata che non è stata solo una cerimonia, ma una dichiarazione d’intenti: provare a rileggere l’eredità di Adriano Olivetti alla luce di un mondo in cui l’intelligenza artificiale, la robotica e i nuovi algoritmi ridisegnano le frontiere del lavoro e della società.
Lunedì 27 ottobre, il titolo dell’incontro — “Umanesimo Tecnologico” — ha riassunto in due parole una sfida enorme: tenere insieme l’uomo e la macchina, la velocità dei processi digitali e la lentezza necessaria del pensiero umano. La stessa tensione che Olivetti visse nel suo tempo, quando volle dimostrare che una fabbrica poteva essere anche una comunità, che il profitto poteva convivere con il benessere, che la produttività non doveva cancellare la dignità.
Proprio a quel modello si è richiamato Paolo Conta, presidente di Confindustria Canavese, che ha aperto i lavori invitando il mondo industriale e politico a fare del Canavese un “laboratorio contemporaneo del pensiero olivettiano”. Conta ha ripercorso le radici dell’associazione, ricordando come alla fine della guerra, nel 1945, Olivetti e quaranta imprenditori decisero di unirsi per immaginare un futuro fondato su sviluppo economico e progresso sociale. Un progetto che allora sembrava utopia, ma che oggi torna ad avere una straordinaria attualità. “Abbiamo bisogno di attori che credano nella nostra proposta e contribuiscano a coltivarla” ha detto Conta, presentando il volume realizzato con la LUISS dal titolo “Dai territori al valore globale”. L’idea è semplice e ambiziosa: fare di Ivrea un luogo dove competenze diverse — dalla tecnologia all’etica, dalla filosofia alla sociologia — si incontrano per generare modelli nuovi di impresa e di vita.
A testimoniare la centralità del tema è arrivato anche il messaggio di Giorgia Meloni, che ha voluto celebrare gli 80 anni dell’associazione ricordando l’attualità del messaggio olivettiano: “Le sue idee hanno plasmato il nostro tessuto produttivo, fondato su due pilastri: il profitto e il valore sociale”. Parole che, lette a Ivrea, suonano come un riconoscimento all’unicità di un territorio che non ha mai smesso di cercare un equilibrio tra innovazione e comunità.
In sala, accanto al presidente della Regione Alberto Cirio, alla consigliera metropolitana Sonia Cambursano e al sindaco di Ivrea Matteo Chiantore, si respirava la consapevolezza che il Canavese non può limitarsi a guardare il proprio passato industriale come a un museo delle glorie perdute. Serve un nuovo orizzonte, e la parola “umanesimo” — accostata alla tecnologia — è forse la chiave per trovarlo.
Nel corso dell’assemblea, Conta ha indicato tre direzioni prioritarie su cui costruire questo nuovo modello: sicurezza sul lavoro, silver economy e benessere attraverso lo sport. Tre ambiti in cui la tecnologia può diventare alleata dell’uomo, non nemica. Tre esempi concreti di come il pensiero olivettiano possa tornare ad essere materia viva e non semplice retorica da anniversario.
Il dibattito si è poi arricchito grazie agli interventi di figure di primo piano. Emanuele Orsini, presidente nazionale di Confindustria, ha voluto essere presente per celebrare gli ottant’anni dell’associazione e ribadire l’importanza del legame tra il territorio canavesano e il sistema industriale nazionale. La prima tavola rotonda, dal titolo “Innovare rende competitivi”, ha riunito Lucia Aleotti, vicepresidente di Confindustria e membro del Consiglio di Farmindustria, Elena Maria Baralis, prorettrice del Politecnico di Torino, e Francesco Caio, manager e pioniere della digitalizzazione italiana. Moderati da Filomena Greco del Sole 24 Ore, i relatori hanno messo in luce il nesso tra ricerca, formazione e competitività, sostenendo che l’innovazione non è solo una questione di tecnologie ma di cultura, mentalità, coraggio.
Ma il momento più riflessivo è arrivato con l’intervento di Guido Saracco, curatore della Biennale della Tecnologia e del progetto Prometeo Tech Cultures, che ha parlato di intelligenza artificiale e umanità con parole che hanno colpito il pubblico: “Sta a noi decidere se l’intelligenza artificiale sarà la nostra spalla o il nostro dominatore”. Un monito che va dritto al cuore del dibattito contemporaneo: fino a che punto possiamo delegare alle macchine il compito di pensare, scegliere, persino creare? E quanto rischiamo di perdere, come individui e come collettività, nel momento in cui smettiamo di interrogarci sul senso umano del progresso?
La seconda tavola rotonda, “Parlare con l’intelligenza artificiale”, ha affrontato proprio questo dilemma, grazie al confronto tra Paolo Boccardelli, rettore della LUISS, Antonio Calegari, direttore dell’Istituto Italiano di Intelligenza Artificiale per l’Industria (AI4I), e Paola Rusconi, manager di Intesa Sanpaolo. Dalla finanza alla formazione, dall’industria alla governance dei dati, tutti hanno concordato su un punto: la centralità della persona non può essere sacrificata sull’altare dell’efficienza. Il futuro — se vuole restare umano — dovrà trovare un equilibrio tra la razionalità delle macchine e l’imperfezione creativa dell’uomo.
Nel suo intervento conclusivo, Conta ha sintetizzato il senso dell’intera giornata: “Ottant’anni dopo la nascita della nostra associazione, dobbiamo continuare a credere che l’impresa non sia solo produzione, ma cultura, responsabilità, visione. L’innovazione, se non è umana, è sterile. Il progresso, se non è condiviso, è un’illusione.” Parole che suonano come un manifesto per il Canavese del futuro, ma anche come un invito a tutto il sistema industriale italiano a riscoprire le proprie radici etiche.


Emanuele Orsini


In fondo, la lezione di Olivetti era già tutta lì: la fabbrica come luogo di emancipazione, non di alienazione; l’impresa come comunità, non come dominio. Oggi, nell’era dell’intelligenza artificiale, l’“umanesimo tecnologico” non è più solo una suggestione filosofica, ma una necessità concreta. Ivrea, con la sua storia e la sua identità, sembra il luogo ideale per ripartire.
E se davvero il Canavese riuscirà a trasformare questa eredità in progetto, allora — come spera Conta — potrà tornare ad essere non un simbolo del passato, ma un faro del futuro. Un futuro in cui gli algoritmi non sostituiranno l’uomo, ma lo aiuteranno a ritrovare la sua misura. Dove l’impresa tornerà ad avere un’anima, e l’innovazione smetterà di essere solo un atto tecnico per tornare ad essere, come ai tempi di Adriano Olivetti, un gesto profondamente umano.
Commenti all'articolo
Sovietico Eporediese
28 Ottobre 2025 - 04:57
Peccato che la fazione politica della Destra della Meloni fu la stessa che ha sempre minato la filosofia di Olivetti e il suo "padre putativo" Giorgio Almirante fascista è quello che ha contribuito a mandare nei Lager alcuni degli Olivetti. Va avanti lo stupro della verità e dell'etica Olivettiana da parte della Destra neofascista e mafiosa.
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