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26 Ottobre 2025 - 18:44
Trump sbarca a Kuala Lumpur e si mette a ballare: il presidente trasforma il vertice ASEAN in un palcoscenico
All’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur era tutto pronto: il protocollo, i tamburi, il tappeto rosso. Eppure nessuno aveva previsto che Donald Trump, appena sceso dal suo aereo presidenziale, avrebbe deciso di improvvisare un piccolo spettacolo personale. Invece di limitarsi alla solita stretta di mano con il premier Anwar Ibrahim, il presidente degli Stati Uniti ha accennato qualche passo di danza. Non un movimento rigido o impacciato, ma un vero e proprio “ballett”, una sequenza di gesti che, nel giro di pochi secondi, è diventata virale in tutto il mondo.
La scena, per quanto surreale, non è nuova per chi conosce Trump: il suo rapporto con le telecamere è di reciproca dipendenza, e ogni occasione diventa un palcoscenico. I ballerini malesi, vestiti con costumi tradizionali, lo hanno accolto al ritmo di tamburi e gong. E lui, invece di applaudire o fare un cenno di approvazione, si è unito a loro con movimenti che oscillavano tra il comizio elettorale e un video di TikTok. Anwar Ibrahim, da parte sua, ha mantenuto il controllo, sorridendo come solo un politico esperto può fare quando il suo ospite d’onore decide di improvvisare una coreografia internazionale.
Il “Trump Ballett”, come è stato subito ribattezzato dai media asiatici, è diventato l’icona di questo 47° vertice dell’ASEAN, in corso a Kuala Lumpur. Il presidente americano è arrivato per discutere di temi tutt’altro che leggeri: sicurezza nel Mar Cinese Meridionale, commercio globale, equilibrio tra potenze regionali e relazioni con la Cina. Ma il suo ingresso in scena ha spostato l’attenzione dal tavolo delle trattative al palcoscenico mediatico. In fondo, il soft power del XXI secolo può passare anche da un passo di danza, purché il video circoli abbastanza da monopolizzare i feed dei social.
Chi era presente racconta che l’atmosfera, in un attimo, si è trasformata: la rigidità del cerimoniale è svanita e, per qualche minuto, l’aeroporto si è riempito di risate e flash. Alcuni diplomatici hanno applaudito per cortesia, altri si sono guardati con un’espressione tra lo stupito e l’imbarazzato. Ma Trump era perfettamente a suo agio. Non servivano discorsi, né traduzioni: il linguaggio universale della scena era quello dell’intrattenimento.
Dietro la leggerezza, però, si nasconde una strategia. Trump sa che ogni suo gesto ha una ricaduta comunicativa. E mentre i leader europei si limitano a parlare di “dialogo multilaterale”, lui preferisce agire. O meglio, danzare. È così che da sempre imposta la sua politica estera: un misto di spettacolo, improvvisazione e autopromozione. Il balletto a Kuala Lumpur non è quindi una distrazione, ma un modo per ribadire che il presidente americano, anche a 79 anni, resta il protagonista assoluto della scena internazionale.
Nei prossimi giorni, comunque, ci sarà poco spazio per le coreografie. Dopo la parentesi malese, Trump parteciperà ai lavori del vertice, dove sarà coinvolto in colloqui bilaterali con i leader dei Paesi membri dell’ASEAN. L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare le relazioni economiche con l’Asia sudorientale, ma soprattutto di rilanciare la presenza americana nella regione, in un momento in cui la Cina continua a espandere la propria influenza.
Il programma del viaggio prevede poi una tappa in Giappone, dove il presidente incontrerà il premier Fumio Kishidaper discutere di difesa e cooperazione tecnologica. A seguire, una visita in Corea del Sud, con incontri con Yoon Suk-yeol, e — secondo indiscrezioni — la possibilità di un faccia a faccia non ufficiale con Kim Jong-un. Sarebbe l’ennesimo colpo di scena di una tournée asiatica che, più che una missione diplomatica, somiglia sempre più a una campagna teatrale.
Tornando al suo arrivo, però, il momento resta indelebile. Perché nel rigore delle cerimonie internazionali, nessuno si sarebbe aspettato che un presidente americano decidesse di scendere a tempo di musica. C’è chi l’ha definita una trovata simpatica, chi un gesto fuori luogo. Ma nel mondo di Donald Trump, la linea di confine tra politica e spettacolo è da tempo scomparsa.
E forse è proprio questo il messaggio che voleva mandare: non c’è protocollo che possa competere con la spontaneità di chi si sente sempre al centro dell’attenzione. Gli altri leader firmeranno accordi, discuteranno di commercio e sicurezza. Lui, invece, sarà ricordato per aver trasformato un arrivo di Stato in un piccolo show personale.
In fondo, non è la prima volta che la storia si mescola con l’intrattenimento. Solo che questa volta il protagonista non era un attore, ma il presidente degli Stati Uniti. E mentre Anwar Ibrahim cercava di seguire il ritmo con un sorriso diplomatico, Trump si godeva la scena, convinto che la politica mondiale, come la danza, funziona solo se qualcuno tiene il tempo.
È un dato di fatto: quando Donald Trump sente la musica, qualcosa scatta. Non è chiaro se sia entusiasmo, vanità o semplicemente istinto scenico, ma la storia recente ci consegna un presidente che, più di ogni altro, ha saputo trasformare la politica in coreografia. Altro che diplomazia del sorriso: con lui è arrivata la diplomazia del passo di danza.
Tutto comincia nel maggio del 2017, quando, durante la sua visita ufficiale a Riad, in Arabia Saudita, Trump partecipa alla cerimonia dell’ardah, la danza tradizionale con la spada. Al fianco di re Salman, il presidente americano si muove goffamente, cercando di seguire il ritmo dei tamburi. La scena, che in qualsiasi altro contesto sarebbe sembrata ridicola, diventa un’icona del suo primo viaggio internazionale: un leader occidentale che brandisce una sciabola dorata come un turista spaesato nel deserto.
Da quel momento, il “Trump che balla” diventa un archetipo. Durante la campagna elettorale del 2020, il tycoon non si limita più a gesticolare dal podio: nei comizi di Ohio, Florida e Pennsylvania, si lancia in un piccolo rituale personale. Le note di Y.M.C.A. dei Village People risuonano a fine evento e lui comincia a muovere le braccia, a fare il “fist pump” e a ondeggiare a ritmo. È una danza minimalista, quasi paterna, ma con un effetto magnetico: il pubblico la adora. Nasce così la “Trump Dance”, imitata, derisa, condivisa, ma inconfondibilmente sua.
Nel corso del 2020, i video si moltiplicano: compilation su YouTube, remix su TikTok, meme che lo mostrano mentre balla su qualsiasi brano, da Sweet Caroline a Stayin’ Alive. Persino i giornalisti della Casa Bianca cominciano a riconoscere che, per Trump, la danza non è un’eccezione ma un gesto di comunicazione. Dove gli altri presidenti salutano e vanno via, lui ondeggia.
Il copione si ripete anche fuori dal contesto politico. A Mar-a-Lago, nella notte di Capodanno 2024-2025, Trump viene ripreso insieme a Melania mentre canta e balla di nuovo Y.M.C.A.. È un déjà-vu perfetto: pugni al cielo, passi accennati, la folla che applaude. I suoi ospiti, tra un flute di champagne e un selfie, assistono al ritorno del vecchio Trump in versione discoteca. La scena fa il giro del mondo e dimostra che la “Trump Dance” non è un vezzo da campagna elettorale: è uno stile di vita.
Nemmeno l’insediamento del suo secondo mandato, nel gennaio 2025, sfugge alla regola. Durante il “Victory Rally” a Washington, il presidente balla di nuovo sul palco, questa volta accompagnato dai Village People in persona. Il giorno dopo, al ballo inaugurale, ripete la performance tra una marcia militare e un valzer di Stato. Chi si aspettava un leader misurato trova invece un uomo che continua a muovere i fianchi e a sorridere, convinto che un presidente non debba solo governare, ma anche intrattenere.
E poi arriva la scena più recente e forse più clamorosa: Kuala Lumpur, ottobre 2025. L’aereo presidenziale atterra, il tappeto rosso è steso, le televisioni asiatiche trasmettono in diretta. I tamburi tradizionali malesi cominciano a suonare e Trump, accolto dal premier Anwar Ibrahim, decide ancora una volta di “dare spettacolo”. Pochi secondi e il protocollo va in frantumi: il presidente degli Stati Uniti si unisce ai danzatori e improvvisa un piccolo ballett tra il serio e il grottesco. L’immagine fa impazzire i social: un uomo di quasi ottant’anni che balla con il fervore di un influencer in missione diplomatica.
Eppure, sotto la comicità dell’episodio, c’è coerenza. Trump ha sempre usato il corpo come strumento politico: il gesto, l’espressione, la postura contano più delle parole. La danza diventa così un atto di comunicazione diretta, una forma di contatto con il pubblico, un modo per dire “sono uno di voi” anche quando indossa un completo da diecimila dollari. Non serve una traduzione simultanea per capire un sorriso, un pugno al cielo o un passo a ritmo di musica.
Le sue mosse, goffe ma riconoscibili, hanno persino generato un piccolo culto popolare: c’è chi ha creato tutorial online su “come ballare come Trump”, chi ha organizzato flash mob durante i comizi e chi, più seriamente, ha analizzato il fenomeno come esempio di “populismo estetico”. Perché la “Trump Dance”, con tutta la sua assurdità, funziona: è semplice, contagiosa, identitaria.
Oggi, quando si parla di Trump e di danza, non si pensa più a un episodio isolato ma a un linguaggio parallelo. In Arabia Saudita era diplomazia spettacolare, nei comizi del 2020 era propaganda emotiva, nei balli del 2025 è autocelebrazione. Persino in Malesia, tra tamburi e sorrisi diplomatici, il suo passo ondeggiante ha avuto lo stesso effetto: ha catturato l’attenzione del mondo, oscurando per un giorno accordi, trattati e conferenze.
Forse è questo il suo vero talento: capire che nell’epoca dei social la politica si balla, non si spiega. E se gli altri leader si affannano a sembrare seri e composti, lui preferisce essere virale. Così, tra un valzer istituzionale e un “YMCA” improvvisato, Donald Trump ha riscritto — a modo suo — la coreografia della politica mondiale.
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