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"Un manifesto del Carnevale brutto, ma proprio brutto!"

Eporediesi scatenati sui social: perchè non si è fatto un concorso? Non le mandano a dire e puntano il dito sulla Fondazione presieduta da Alberto Alma..

"Un manifesto del Carnevale brutto, ma proprio brutto!"

"Un manifesto del Carnevale brutto, ma proprio brutto!"

Doveva essere un abbraccio “lungo una città”, come recita lo slogan scelto dalla Fondazione dello Storico Carnevale per presentare l’immagine simbolo dell’edizione 2026.
Invece è diventato un boomerang. Perché quel manifesto, svelato giovedì scorso, non ha commosso nessuno e ha fatto arrabbiare (quasi) tutti.

Sui social le reazioni sono immediate e si moltiplicano ora dopo ora. C’è chi parla di manifesto “orribile”, “freddo”, “senza emozione”, chi si spinge oltre definendolo “un abominio grafico”, e chi ironizza sul fatto che “va bene per la sagra delle costine, non per il Carnevale di Ivrea”.

In poche ore, il post ufficiale pubblicato sulla pagina della Fondazione ha raccolto oltre 500 reazioni, 46 commenti e 133 condivisioni.
Numeri importanti, certo. Ma la maggior parte delle interazioni non sono complimenti: sono schiaffi digitali.

A infastidire non è solo la resa grafica, ma la sensazione di un lavoro improvvisato. Molti utenti sottolineano errori tecnici evidenti: “Il rosso è quasi marrone, i colori sono spenti, non si distinguono i capelli dal cappello della Mugnaia”.

C’è chi si accanisce sul font, accusando l’autore di non conoscere nemmeno le regole base della composizione: “I giorni separati da virgole, il carattere scelto, le proporzioni… mancano le basi della grafica”.

Poi arriva la questione storica: “La Mugnaia va sempre a destra del Generale, non a sinistra!”
Una regola sacra, violata nel manifesto, che per i puristi suona come un affronto alla tradizione.

E infine la prospettiva: “Mani sproporzionate, volti fuori asse, braccia che sembrano prese dall’intelligenza artificiale”.
Il sospetto che il disegno sia stato generato da un software fa il giro dei commenti, e in rete diventa subito verità assoluta.

Ma la vera polemica non è (solo) estetica. È politica, organizzativa, e riguarda la gestione stessa della Fondazione.
“Perché non è stato fatto un concorso pubblico?”, si chiedono in molti. “Una volta si sceglievano i manifesti attraverso bandi aperti, adesso sembra contare solo la conoscenza giusta”.

Il dito è puntato contro chi ha deciso, più che contro chi ha disegnato.
In tanti, sotto il post ufficiale, si lamentano di un sistema chiuso, autoreferenziale, incapace di coinvolgere la città e le sue energie creative. C’è chi parla apertamente di “amici degli amici”, chi insinua che dietro la scelta ci sia il marchio del Pd, e chi, amaramente, commenta: “Se questo è il biglietto da visita del Carnevale, siamo messi male”.

il manifestao

Tra un commento e l’altro, spunta la nostalgia. “Guardate i vecchi manifesti”, scrive qualcuno. “Lì sentivi il Carnevale, sentivi il profumo delle arance, la passione, la festa. Qui non senti niente.”
Gli utenti condividono immagini degli anni passati, con illustrazioni potenti, Mugnaie fiere e piazze traboccanti di vita. Una lezione di arte e sentimento che, secondo molti, oggi sembra dimenticata.

C’è anche chi prova a difendere il lavoro, parlando di “modernità” e “stile innovativo”, ma le voci favorevoli si perdono in mezzo alla tempesta.
“Sui gusti non si discute”, concede un commentatore, subito replicato da un altro: “Appunto. Ma sul Carnevale sì, eccome se si discute”.

Insomma, il manifesto avrebbe dovuto rappresentare uno dei momenti più emozionanti del Carnevale: la discesa della Mugnaia dal balcone del Municipio e l’abbraccio con il popolo in Piazza di Città.
Non ci è riuscito.

E dire che il testo pubblicato dalla Fondazione, sotto l’immagine, è ricco di aggettivi, promesse e citazioni.
“Avete scritto un poema per descrivere un abominio”, scrive uno dei tanti utenti che non riescono proprio a farsene una ragione.

Secondo la Fondazione dello Storico Carnevale, l’opera firmata da Niccolò Galeotti, eporediese doc e art director di Evergreen Design House, sarebbe “una scena che racchiude tutto: la forza del Corteo Storico, la passione degli aranceri, la magia di una piazza che diventa cuore pulsante di un popolo”.
Insomma, un manifesto talmente denso di significati che basterebbe appenderlo in salotto per sentir partire i tamburi.

“Si è ispirato ai manifesti storici – spiegano – in particolare a quello della Canzone del Carnevale, il canto che ogni eporediese conosce a memoria.”
Un intento nobile, certo. Peccato che a Ivrea, quando si parla di Carnevale, l’anima finisce sempre per litigare con la forma.

Tanto per aggiungere legna, c’è pure chi ironizza sul silenzio della Fondazione, che dopo la pubblicazione non ha più risposto ai commenti.
“Forse aspettano che passi la bufera”, suggerisce qualcuno. Ma la bufera, stavolta, sembra solo all’inizio.

Perché a Ivrea il Carnevale non è una festa come le altre: è identità. È sacro.
E toccarne i simboli senza delicatezza equivale a toccare le corde più sensibili di una comunità. È per questo che la reazione non sorprende: ogni pennellata, ogni colore, ogni tratto viene letto come un messaggio.
E se il messaggio non emoziona, non unisce, allora non funziona.

Così, quello che doveva essere “un abbraccio lungo una città” si è trasformato in un gigantesco fraintendimento.

Il Carnevale, in fondo, è anche questo: un rito collettivo dove il popolo parla, giudica, e spesso lo fa a voce alta.

E tra un “orrore” e un “che palle”, tra un “va bene per una sagra” e un “chi l’ha scelto, quello?”, resta una certezza: la Fondazione dovrà fare i conti con un popolo che non perdona, e che quando qualcosa non gli piace, lo dice a voce alta — o su La Voce.

A lanciare per primo la pietra è stato, due minuti dopo la presentazione, l’ex Generale Vincenzo Ceratti.
“A parte che il Generale ha la fascia messa in modo sbagliato – alla vita il bianco sopra e il rosso sotto, non il contrario – e che non porta la sciabola, poteva anche essere un bel manifesto.
E poi si dice che nel Carnevale di Ivrea la forma è sostanza… Ah! E la Mugnaia è al braccio destro del Generale, non al sinistro. Ma magari la foto è solo da girare…”

La verità è che a Ivrea, “la forma è sostanza”. Non è un modo di dire: è un dogma. È la ragione per cui ogni anno la città si divide su dettagli che altrove nessuno noterebbe.

Insomma, mentre la Fondazione dello Storico Carnevale, presieduta da Alberto Alma, invita a leggere nell’immagine “la sintesi visiva di una festa che unisce la storia alla sua gente”, c’è chi risponde: “Sì, ma la fascia?”

E forse è proprio questo, alla fine, il fascino irresistibile del Carnevale: quello di una città che, anche davanti a un manifesto, trova sempre un buon motivo per iniziare la battaglia prima ancora che si tiri la prima arancia.

E scommettiamo che presto arriverà anche chi farà notare che “un Generale altissimo e una Mugnaia minuta” è una roba che non sta né sopra né sotto le rosse torri…!
Sarà misoginia? E le donne del Pd che hanno da dire? E Gabriella Colosso? E Violetta – la forza delle donne?

Per ora, di certo c’è solo che a Ivrea il Carnevale 2026 ha già il suo primo scontro. E non è ancora volata neanche un’arancia.

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