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25 Ottobre 2025 - 17:40
Sergio Ramelli
Cinquant’anni dopo uno dei delitti più dolorosi degli anni di piombo, il nome di Sergio Ramelli riemerge a Settimo Torinese, tra le pagine di una mozione che chiede di trasformare una ferita in memoria condivisa. Il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia (Vincenzo Andrea Maiolino, Francesco D’Ambrosio e Giorgio Zigiotto), ha infatti depositato una mozione che chiede di intitolare un luogo della città al giovane studente milanese assassinato nel 1975 da un gruppo di militanti dell’estrema sinistra extraparlamentare.
Non una provocazione, spiegano i firmatari, ma un atto di riconciliazione civile.
“Sono trascorsi cinquant’anni da quella ingiusta morte e il suo assassinio è ancora oggi poco ricordato, spesso con la giustificazione del ricordo ‘divisivo’. Ma ritenere divisivo un assassinio così infame coincide con la giustificazione della violenza gratuita e brutale”, si legge nel documento.
Chi era Sergio Ramelli? Un ragazzo qualunque, studente di chimica industriale all’ITIS “Molinari” di Milano, con la passione per la politica e una fede giovanile nella Destra sociale. Militava nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Era il 1975, e l’Italia viveva nel clima infuocato delle ideologie contrapposte. Bastava poco, allora, per essere etichettato come “nemico”. Nel suo caso, a condannarlo fu un tema scolastico.

Francesco D'Ambrosio, Fratelli d'Italia
In quell’elaborato, Ramelli criticava l’indifferenza del mondo politico e mediatico per l’uccisione di due militanti missini, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, assassinati dalle Brigate Rosse a Padova nel 1974.
Parole semplici, scritte da un diciottenne, ma sufficienti perché qualcuno lo indicasse come “fascista”. Quel tema venne affisso sulla bacheca della scuola come un manifesto d’accusa. Da quel giorno la sua vita cambiò: insulti, pestaggi, isolamento. Venne picchiato due volte e costretto a cambiare Istituto, ma neppure questo bastò a salvarlo. Sotto casa sua comparvero scritte minacciose, un linguaggio d’odio che precedeva la violenza.
Il 13 marzo 1975, mentre rientrava a casa in via Amadeo, a Milano, Ramelli venne aggredito da un commando di giovani militanti di Avanguardia Operaia, armati di chiavi inglesi.
“Fu colpito alla testa e lasciato esanime a terra. Morì dopo quarantotto giorni di agonia, il 29 aprile 1975”, ricordano i firmatari. Aveva 18 anni e avrebbe compiuto 19 anni poche settimane dopo. Il suo volto tumefatto divenne simbolo di un’Italia che aveva smarrito la misura dell’umanità.
Per i consiglieri di Fratelli d’Italia, la vicenda di Ramelli rappresenta una lezione che ancora oggi interroga la coscienza collettiva.
“Ricordarlo significa sostenere la libertà di espressione, culturale e politica, e riaffermare la contrarietà all’uso della violenza come mezzo di sopraffazione”. Il punto non è politico, ma morale: riconoscere il diritto di parola anche a chi la pensa diversamente. Un principio elementare che, mezzo secolo fa, costò la vita a un ragazzo.
La mozione sottolinea anche come Settimo Torinese sia sempre stata una città politicamente vivace, attraversata da idee e contrapposizioni, ma mai scivolata nella violenza.
“I settimesi hanno sempre dimostrato una predisposizione alla partecipazione politica e comunitaria, caratterizzata da contrapposizioni nette ma mai scadute nella violenza verbale o fisica”, si legge ancora.
Per questo, dicono, intitolare un luogo a Sergio Ramelli sarebbe un segno di maturità, un gesto che va oltre l’appartenenza politica. “Significherebbe dimostrare una matura consapevolezza del valore della pacificazione, istituzionale e politica, che ha cambiato la storia del nostro Paese dai tempi sanguinari del suo assassinio ad oggi”.
Non è la prima volta che un Comune italiano affronta questo argomento.
Verona lo fece per prima nel 1988, con parole che la mozione di Settimo riprende quasi integralmente. Sono dell’onorevole Pasetto, allora promotore dell’intitolazione: “In nome di una pacificazione nazionale che accomuni in un’unica pietà i morti di un periodo oscuro della nostra storia e come monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere”.
Da allora, molte città – di destra e di sinistra – hanno compiuto gesti analoghi, scegliendo di ricordare quel ragazzo non come simbolo di parte, ma come vittima della follia ideologica.
Anche a Settimo, del resto, il suo nome non è del tutto sconosciuto. La mozione ricorda che durante l’ultima edizione del Festival dell’Innovazione e della Scienza, la figura di Ramelli è stata citata pubblicamente. Un piccolo segnale, forse, che il muro del silenzio comincia a incrinarsi. “Vogliamo che la nostra città diventi partecipe di un percorso di memoria condivisa e di rifiuto definitivo della violenza politica”, scrivono i consiglieri.
La proposta è semplice, ma densa di significati: scegliere un luogo – una via, una piazza, un giardino – e intitolarlo a un ragazzo ucciso per le sue idee. Un gesto che non vuole rinfocolare le divisioni, ma spegnerle definitivamente.
“Non si tratta di celebrare un’idea, ma di riconoscere la tragedia di un ragazzo la cui unica colpa fu quella di pensare diversamente”, affermano.
Per chi ha vissuto quegli anni, il nome di Sergio Ramelli evoca il dolore di un’epoca in cui bastava una parola per scatenare la violenza. Per chi è nato dopo, può essere educativo: un invito alla tolleranza, alla riflessione, alla difesa della libertà di opinione. Perché ricordare non significa dividere, ma evitare che la storia si ripeta.
Insomma, una mozione che va oltre la cronaca.
Se il Consiglio comunale dovesse approvarla, Settimo Torinese si aggiungerebbe a quella rete di città che hanno deciso di trasformare le ferite della storia in luoghi di memoria. Se invece dovesse respingerla, il dibattito avrà comunque raggiunto il suo obiettivo: riportare il nome di Sergio Ramelli nel discorso pubblico, nel rispetto, nella coscienza collettiva.
Perché la memoria, se condivisa, non divide. La memoria, se sincera, unisce.
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