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24 Ottobre 2025 - 19:00
foto archivio
Ha lavorato 42 anni. Venticinque dietro il bancone della sua panetteria. Sedici come responsabile in un’azienda di Milano. Sempre in piedi, sempre con la dignità di chi non ha mai chiesto nulla a nessuno.
Oggi, 66 anni appena compiuti, si ritrova a fare i conti con un assurdo tutto italiano: non può più permettersi una casa in affitto.
Il suo “reato”? Guadagna troppo poco.
Dopo una vita di lavoro, la sua pensione ammonta a 1.035 euro.
Non abbastanza per convincere i proprietari a darle fiducia, e troppo per rientrare nei bandi pubblici. Il risultato è un limbo burocratico che sa di beffa: troppo povera per il mercato, troppo “ricca” per l’assistenza.
“Ho sempre pagato il mutuo senza mai saltare una rata. La direttrice della banca lo sa bene. Ma ora devo lasciare casa a metà novembre e nessuno vuole affittarmi un alloggio,” racconta senza entrare troppo nei particolari.
A Settimo Torinese ha bussato ovunque. E nel frattempo il tempo passa.

Ha lavorato fino a logorarsi, ma il sistema la schiaccia sotto due paradossi: non può lavorare, perché la famigerata quota 100 le impedisce di cumulare redditi, e non può affittare, perché la sua pensione non basta.
“Mi hanno anche chiesto che lavoro avessi fatto per prendere così poco,” dice con un sorriso amaro.
La sua storia non è un caso isolato. È quella di migliaia di pensionati italiani monoreddito intrappolati tra burocrazia e povertà dignitosa, gente che ha costruito il Paese e oggi si ritrova a dover chiedere aiuto per un tetto.
Ma lei non è una sconosciuta.
È molto conosciuta a Settimo Torinese, stimata e rispettata da chiunque l’abbia incontrata, una donna sempre gentile, con una parola buona per tutti.
Proprio per questo, la sua richiesta pesa ancora di più: non è una lamentela, è una voce lucida e dignitosa che chiede attenzione, non compassione.
“Per cortesia, date voce a chi voce non ha – scrive in una lettera aperta inviata anche a Specchio dei tempi e alla sindaca di Settimo – questa situazione sta distruggendo la mia serenità.”
E la sua voce, in effetti, andrebbe ascoltata. Perché è la voce di chi ha creduto nel lavoro, nel risparmio, nel senso del dovere.
Di chi ha retto botta quando le catene di supermercati hanno spazzato via i piccoli negozi di quartiere.
Ora, dopo una vita spesa a pagare tasse, bollette e mutuo, lo Stato le restituisce un foglio pieno di numeri, requisiti e percentuali che di umano non hanno nulla.
Una pensione da fame che non le permette di vivere, ma la condanna a sopravvivere.
“In questi giorni venderò la mia casa, poi dovrò traslocare. Non voglio pesare su mia figlia. Voglio solo vivere con dignità,” conclude.
E mentre gli annunci immobiliari corrono online a cifre da capogiro, le istituzioni parlano di “rigenerazione urbana” e “case popolari sostenibili.”
Parole vuote. Perché la realtà, quella vera, è che una donna di 66 anni con 42 anni di contributi non riesce a trovare un alloggio a Settimo Torinese.
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