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23 Ottobre 2025 - 22:44
Massimiliano De Stefano
Correva il 14 dicembre 2023 e Ivrea viveva una delle sue giornate più “storiche”. Il Consiglio comunale si riuniva dentro la Casa circondariale, tra cancelli blindati e sguardi curiosi, per discutere di “progetti, problematiche e futuro relativi alla vita delle persone private della libertà e del personale di sorveglianza”.
La delibera n. 95, approvata in quell’occasione, veniva presentata come l’inizio di una nuova stagione di attenzione e umanità. Nella sua introduzione, il presidente Luca Spitale — sorridente davanti ai giornalisti — definiva il carcere “un quartiere di Ivrea”, promettendo ascolto, collaborazione e dignità.
Parole solenni e tante, tantissime lacrime e sospiri tra le file della maggioranza e della minoranza. "Finalmente qualcosa di buono...", si disse.
Oggi, di quella giornata resta poco, quasi niente.
A ricordarlo, riportando i piedi della politica per terra, è il consigliere comunale Massimiliano De Stefano, capogruppo di Azione – Italia Viva, che ha presentato una interpellanza con il dito puntato sul sindaco Matteo Chiantore e sull’assessora Gabriella Colosso, delegata al carcere. Il tono è severo, ma non sprezzante: è la voce di chi constata l’abisso tra ciò che era stato promesso e ciò che non è stato fatto.
“Sono passati due anni e non si è visto nulla — scrive De Stefano —. A febbraio c’è stato un secondo Consiglio comunale, ma poi più niente. Nessun aggiornamento, nessun progetto, nessuna risposta alle tante parole spese allora.”

La verità è che in quella seduta si erano presi impegni precisi: sostenere il personale penitenziario, collaborare con le associazioni di volontariato, promuovere percorsi formativi e lavorativi per i detenuti. Un Ordine del giorno approvato all’unanimità e salutato come un atto di civiltà. Ma, come spesso accade, passata la passerella, è calato il silenzio.
“Era stato detto che il carcere è un quartiere di Ivrea — stigmatizza De Stefano —. Oggi è un quartiere dimenticato, senza voce e senza futuro.”
E in effetti, la fotografia del carcere di Ivrea nel 2025 è in bianco e nero. Da quando il centrosinistra ha assunto la guida della città, con Matteo Chiantore sindaco, tutto è sprofondato in un cono d’ombra. L’esempio più evidente è la chiusura del giornale “La Fenice”, una testata nata proprio per dare voce ai detenuti, alle loro esperienze e ai loro percorsi di reinserimento.
Un progetto che per anni ha rappresentato un piccolo ma concreto spazio di libertà dentro le mura e che oggi non esiste più. Nessuno, né dal Comune né dalla direzione del carcere, ha mai spiegato chiaramente perché.
Parallelamente, la direzione della Casa circondariale ha posto limiti sempre più rigidi all’attività dei volontari dell’Associazione Tino Beiletti, che da tempo operano nell’istituto con iniziative culturali e sociali. Oggi chi vuole offrire il proprio tempo ai detenuti deve superare burocrazie scoraggianti, e molti hanno rinunciato
L’unico progetto messo in piedi negli ultimi due anni (fa un po' sorridere) è quello dei “gatti galeotti”, che peraltro vengono accuditi dal personale di sorveglianza, non certo dai detenuti. “Simpatica iniziativa — commenta De Stefano — ma non basta un gatto per misurare il grado di umanità di una città. Se le uniche creature che vivono serene in carcere sono i felini, qualcosa non funziona.”
Infine, ma non per importanza, c’è la relazione del garante dei detenuti Raffaele Orso Giacone. Nelle sue pagine, un racconto che non lascia spazio ai giri di parole: riscaldamenti rotti, bagni rotti, serramenti rotti, freddo che d’inverno “entra nelle ossa” e caldo insopportabile d’estate. Non un’esagerazione, ma un inventario di guasti strutturali ignorati da anni.
Il consigliere chiede di sapere se la Giunta intenda mantenere gli impegni, quando intende convocare un nuovo Consiglio comunale in carcere e cosa sia stato concretamente fatto per migliorare le condizioni dei detenuti e del personale. Ma al di là delle domande formali, l’interpellanza è anche un atto politico: la denuncia di un’ipocrisia istituzionale che parla di inclusione e solidarietà, ma dimentica i luoghi dove la dignità è più fragile.
“È doveroso tornare a parlarne — insiste De Stefano — Perché le persone che vivono in carcere, e anche chi ci lavora ogni giorno, hanno diritto a essere trattati con dignità. Non si può costruire una comunità civile se si finge che una parte di essa non esista.”
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