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21 Ottobre 2025 - 23:32
Sarkozy in gattabuia. Ecco perché l’ex presidente è finito dietro le sbarre
Da oggi Nicolas Sarkozy è ufficialmente in carcere. L’ex presidente della Repubblica francese, 70 anni, è entrato questa mattina nella prigione parigina di La Santé, dove sconterà una pena di cinque anni di reclusione, due dei quali senza sospensione, per associazione a delinquere e finanziamento illecito della sua campagna presidenziale del 2007. È la prima volta nella storia della Quinta Repubblica che un ex capo di Stato francese viene incarcerato per reati legati alla propria ascesa politica. La vicenda, durata quasi quindici anni, affonda le radici nel marzo 2011, quando il figlio del colonnello Muammar Gheddafi, Saïf al-Islam Gheddafi, in un’intervista a Euronews del 16 marzo, accusò pubblicamente Sarkozy di aver ricevuto denaro dalla Libia per finanziare la campagna che lo portò all’Eliseo. Da allora, una lunga e intricata inchiesta ha lentamente svelato una rete di intermediari, conti off-shore, valigette di contanti e rapporti opachi tra Parigi e Tripoli.
Secondo l’accusa, l’allora candidato Sarkozy avrebbe ricevuto circa 50 milioni di euro dal regime libico, più del doppio del limite legale per le spese elettorali in Francia. Il denaro, stando ai documenti raccolti dagli inquirenti, sarebbe transitato attraverso un sistema di triangolazioni finanziarie e personaggi chiave vicini sia al potere libico sia all’entourage del futuro presidente francese. Tra questi, l’ex ministro Claude Guéant, il finanziere Ziad Takieddine, l’ex tesoriere Eric Woerth, e diversi intermediari franco-libici che nel tempo hanno reso testimonianze discordanti ma convergenti su un punto: i contatti tra Tripoli e Parigi furono intensi e orientati a un sostegno economico occulto.
Al centro dell’inchiesta giudiziaria c’è una serie di documenti sequestrati in Libia dopo la caduta del regime di Gheddafi nel 2011. Tra questi, un memorandum attribuito all’ex capo dei servizi segreti libici Moussa Koussa, che attesterebbe il trasferimento di fondi destinati a “sostenere la campagna elettorale del candidato Nicolas Sarkozy”. Alcuni di questi file, ritrovati in un archivio del ministero degli Esteri libico, contenevano riferimenti a valigette di contanti consegnate a emissari francesi. Gli investigatori hanno poi rintracciato movimenti bancari sospetti, tra il 2006 e il 2007, collegati a società registrate a Panama, Cipro e nelle Isole Vergini britanniche.
Le prove, tuttavia, non sono mai state lineari. Molti testimoni sono stati a loro volta accusati di corruzione o di falsificazione di prove, e per anni il dossier ha oscillato tra rivelazioni giornalistiche, smentite e colpi di scena. Nel 2018, l’inchiesta ha vissuto un’accelerazione decisiva: Ziad Takieddine, imprenditore franco-libanese, ha confermato di aver consegnato personalmente a Claude Guéant e a Nicolas Sarkozy diverse valigette contenenti denaro proveniente da Tripoli, per un totale di cinque milioni di euro. In seguito ritrattò, poi tornò sui propri passi. Ma per i magistrati francesi le sue prime dichiarazioni erano compatibili con altri elementi raccolti.
L’inchiesta, avviata ufficialmente nel 2013, è stata una delle più complesse mai condotte in Francia. I giudici hanno ricostruito un mosaico di relazioni personali, affari petroliferi, e favori politici che legavano la Francia di Sarkozy alla Libia di Gheddafi. Oltre al denaro, gli investigatori hanno esaminato la politica francese verso Tripoli in quegli anni, compresa la fornitura di materiale militare e la gestione di affari comuni nel settore energetico. Quando, nel 2011, Sarkozy fu tra i primi leader occidentali a sostenere l’intervento armato contro il regime libico, molti videro in quella scelta anche un tentativo di prendere le distanze da un passato imbarazzante.
Le prove materiali, tra cui documenti, testimonianze e registrazioni audio, hanno contribuito a costruire un quadro accusatorio che la difesa ha sempre definito “fantasioso”. Sarkozy ha respinto ogni accusa, sostenendo di essere vittima di un complotto politico e giudiziario orchestrato dai suoi avversari. In aula, il tono dell’ex presidente è rimasto combattivo. “Non ho mai ricevuto un solo euro dalla Libia, la mia coscienza è pulita e la mia onestà intatta”, ha dichiarato durante l’ultima udienza del processo. Ma la magistratura francese, dopo anni di rinvii e ricorsi, ha ritenuto sufficienti le prove per procedere con una condanna storica.
Il processo, conclusosi a fine settembre 2025, ha visto Sarkozy comparire davanti ai giudici insieme a una decina di coimputati, tra cui ex ministri, consulenti e uomini d’affari. La procura aveva chiesto sette anni di carcere e 300.000 euro di multa, ritenendo l’ex presidente “il beneficiario e il motore di un sistema di finanziamento illecito di portata internazionale”. La corte, pur non accogliendo integralmente la richiesta, ha stabilito che le prove bastavano per riconoscere l’esistenza di una associazione di malfattori finalizzata al finanziamento occulto della campagna elettorale del 2007. Nonostante l’appello presentato immediatamente dai suoi avvocati, il tribunale ha disposto l’esecuzione immediata della pena. Per ragioni di sicurezza, Sarkozy trascorrerà i primi mesi in isolamento nel carcere parigino, dove disporrà di una cella singola, videosorvegliata 24 ore su 24.
Le radici politiche e diplomatiche di questa vicenda restano complesse. All’epoca dei fatti, la Francia intratteneva relazioni ambigue con la Libia di Gheddafi, regime autoritario ma partner economico rilevante per Parigi. Solo quattro anni dopo la presunta consegna dei fondi, nel 2011, la Francia fu tra i primi Paesi a sostenere l’intervento militare in Libia che portò alla caduta del colonnello. È in quel contesto che, dalle rovine del potere libico, emerse la voce di Saïf al-Islam Gheddafi, il quale accusò Sarkozy di ingratitudine e corruzione. Quelle parole – “Sarkozy deve restituire i soldi che ha preso per la sua campagna” – furono all’epoca liquidate come propaganda, ma segnarono l’inizio di un’inchiesta che, anno dopo anno, avrebbe finito per travolgere l’ex presidente.
Oltre alle implicazioni giudiziarie, la condanna di Sarkozy ha un forte valore simbolico. In Francia, dove la figura presidenziale è tradizionalmente circondata da un’aura di inviolabilità, la sua detenzione rappresenta una rottura profonda. I suoi sostenitori denunciano un accanimento giudiziario, mentre i magistrati difendono la sentenza come un segnale di indipendenza della giustizia. “La legge è uguale per tutti, anche per chi l’ha incarnata”, ha commentato uno dei pubblici ministeri. Gli osservatori internazionali parlano di un “caso di scuola” nella lotta alla corruzione ai massimi livelli dello Stato, ma anche di un banco di prova per la tenuta morale della democrazia francese.
La reazione politica è stata immediata. L’attuale presidente Emmanuel Macron, pur evitando commenti diretti, ha ricordato che “la giustizia deve essere rispettata, sempre, da chiunque e in qualunque circostanza”. La destra gollista si è stretta attorno all’ex presidente, accusando la magistratura di avere un “doppio metro” di giudizio. Dall’altra parte, i socialisti e i verdi hanno parlato di una “pagina necessaria” nella storia della Repubblica. La stampa francese, dal canto suo, ha dedicato aperture e analisi: Le Monde ha titolato “La caduta di un presidente”, Le Figaro ha parlato di “una ferita aperta per la destra francese”.
Nicolas Sarkozy, che aveva già subito nel 2021 una condanna (poi sospesa) per traffico d’influenze e corruzione, entra così in una nuova e più pesante fase giudiziaria. La sua figura, che per anni ha incarnato l’energia e la spregiudicatezza della Francia post-gaullista, si trova ora confinata dietro le sbarre. Nelle sue ultime dichiarazioni, prima di varcare il portone di La Santé, ha detto ai giornalisti: “Andrò a dormire in cella, ma con la testa alta”. Una frase destinata a restare nella memoria collettiva, come epitaffio di un leader che, nel bene e nel male, ha segnato un’epoca.
Quindici anni dopo le accuse di Saïf al-Islam Gheddafi, il cerchio si è chiuso. L’uomo che prometteva di “moralizzare la vita pubblica” è oggi dietro le sbarre, travolto da un caso internazionale che ha messo a nudo le fragilità della politica europea e il suo rapporto pericoloso con il denaro e il potere. In un Paese che si interroga sempre più sul confine tra giustizia e vendetta, la detenzione di Nicolas Sarkozy segna non solo la fine di una carriera politica, ma anche la fine di un’illusione: quella di un presidente che credeva di poter sfidare le regole della Repubblica restando impunito.
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