AGGIORNAMENTI
Cerca
16 Ottobre 2025 - 22:44
Sudan, l’epidemia che uccide nel silenzio: la febbre dengue dilaga tra macerie e ospedali chiusi
In Sudan la guerra ha distrutto quasi tutto. Ma a fare più vittime, oggi, non sono le armi. Nelle ultime settimane la febbre dengue si è diffusa rapidamente in gran parte del Paese, raggiungendo livelli che le organizzazioni internazionali definiscono «fuori controllo». I numeri ufficiali parlano di oltre 3.400 casi confermati e 38 decessi nel solo mese di settembre 2025, ma le stime degli operatori sanitari sono molto più alte: decine di migliaia di infezioni non registrate, concentrate soprattutto nella capitale Khartoum e nello Stato del White Nile, dove la sorveglianza epidemiologica è quasi del tutto assente.
La dengue, trasmessa dalla zanzara Aedes aegypti, è endemica in molte regioni tropicali, ma in Sudan la crisi politica e il collasso delle infrastrutture hanno moltiplicato le condizioni favorevoli alla sua diffusione. Dal 2023, quando è iniziato il conflitto tra l’esercito regolare (Sudan Armed Forces) e le milizie delle Rapid Support Forces (RSF), il sistema sanitario nazionale è crollato. Molti ospedali sono stati distrutti, altri occupati o abbandonati, e una parte consistente del personale medico è fuggita.
Un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato nel marzo 2025 descrive la situazione come «catastrofica». Più di 30 milioni di persone, oltre la metà della popolazione, necessitano di assistenza sanitaria di emergenza. In 16 dei 18 Stati del Paese sono in corso epidemie simultanee di colera, malaria, morbillo e dengue. L’acqua potabile è scarsa, la rete fognaria compromessa, i rifiuti non vengono raccolti da mesi. In molte aree urbane la popolazione è costretta a raccogliere acqua piovana in contenitori di fortuna, creando le condizioni ideali per la proliferazione delle zanzare vettori.
Il Ministero della Salute sudanese ha segnalato a fine settembre un incremento del 30 per cento dei casi di febbre dengue rispetto al mese precedente, ma gli stessi funzionari ammettono che i dati non sono affidabili. L’assenza di un sistema di sorveglianza, la mancanza di test diagnostici e le difficoltà logistiche legate alla guerra impediscono una rilevazione precisa. Secondo Reuters, in alcune aree della capitale i pazienti con febbre e dolori muscolari non vengono più testati, ma semplicemente trattati come casi sospetti, per mancanza di reagenti e personale.
Nell’ospedale di Soba East, a sud di Khartoum, i medici hanno segnalato casi di febbre dengue emorragica, una forma grave che può provocare emorragie interne e shock circolatorio. Le cure si limitano a soluzioni idratanti e antipiretici, spesso somministrati in condizioni precarie. L’elettricità è disponibile solo poche ore al giorno, le scorte di farmaci sono quasi esaurite e le ambulanze funzionano solo grazie al carburante fornito da organizzazioni umanitarie.
Il deterioramento delle infrastrutture idriche e sanitarie è il principale motore dell’epidemia. I bombardamenti hanno distrutto molti impianti di trattamento dell’acqua e interrotto le reti di distribuzione. In quartieri come Al-Thawra e Omdurman, i residenti raccolgono acqua in serbatoi di plastica o fusti metallici, dove le larve di zanzara si sviluppano in poche ore. Gli interventi di disinfestazione, un tempo gestiti dalle autorità sanitarie municipali, sono stati sospesi da oltre un anno.
La stagione delle piogge, iniziata a luglio, ha aggravato la situazione. Le forti precipitazioni hanno allagato le aree urbane, e il ristagno d’acqua ha favorito la diffusione non solo della dengue, ma anche del colera. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), tra il 2024 e il 2025 in Sudan sono stati registrati oltre 83.000 casi sospetti di colera e più di 2.000 decessi. Le due epidemie, colera e dengue, si alimentano a vicenda: entrambe legate all’acqua contaminata e alla mancanza di igiene.
Le organizzazioni internazionali tentano di intervenire, ma il conflitto limita i movimenti. In molte zone del Darfur, dell’Alto Nilo e di Kordofan l’accesso umanitario è vietato o troppo pericoloso. Le ONG denunciano l’impossibilità di distribuire medicinali, repellenti o zanzariere. Secondo Medici Senza Frontiere, più del 70 per cento delle strutture sanitarie del Paese non è operativo. I pochi ospedali funzionanti lavorano oltre la capacità: i pazienti dormono nei corridoi, mentre i medici, spesso volontari locali, non ricevono stipendio da mesi.
A Khartoum, il ritorno del controllo militare da parte dell’esercito regolare non ha portato stabilità. Le comunicazioni restano intermittenti, l’elettricità è disponibile solo a tratti e l’acqua corrente manca in interi quartieri. Le autorità sanitarie locali non hanno i mezzi per avviare una campagna di prevenzione. Le misure minime – come la rimozione dei ristagni d’acqua, la disinfezione delle aree urbane e la distribuzione di zanzariere – richiedono una struttura amministrativa che non esiste più.
Il Sudan Tribune riporta che solo a Khartoum e Omdurman si stima un’incidenza di oltre 2.000 nuovi casi alla settimana, ma la maggior parte non raggiunge le strutture mediche. I pazienti vengono curati in casa con rimedi tradizionali o erbe, spesso con esiti fatali. Le comunità più povere non hanno accesso né a repellenti né a farmaci. Nelle aree rurali la dengue si somma ad altre malattie endemiche, come la malaria, rendendo quasi impossibile la diagnosi differenziale.
Gli esperti avvertono che il Sudan rischia di diventare un focolaio regionale. Il confine con il Ciad e il Sud Sudan è attraversato ogni giorno da migliaia di sfollati. I controlli sanitari sono inesistenti e il rischio di trasmissione transfrontaliera è elevato. Già nel 2022, durante una precedente ondata, casi di dengue erano stati rilevati anche in Egitto e in Etiopia, legati a viaggiatori provenienti dal Sudan.
Il quadro generale delineato dai dati ONU è chiaro: il Paese è in una fase di collasso sanitario e ambientale. Oltre il 60 per cento delle acque superficiali è contaminato, le temperature medie sopra i 40 gradi favoriscono la sopravvivenza delle zanzare e il sistema di raccolta rifiuti è completamente fermo. Le autorità sanitarie locali non dispongono di carburante per alimentare le pompe idriche né di insetticidi per le campagne di controllo vettoriale.
Nel suo ultimo aggiornamento, l’OMS ha chiesto un aumento urgente dei finanziamenti umanitari, stimando in 280 milioni di dollari il fabbisogno immediato per ripristinare i servizi di base. Ma gli aiuti arrivano con il contagocce. La comunità internazionale, concentrata sul conflitto, ha lasciato la crisi sanitaria in secondo piano. «Le malattie stanno uccidendo più della guerra», ha dichiarato un portavoce dell’OMS a Ginevra, sottolineando come la mancanza di acqua pulita e di assistenza medica stia avendo un impatto “esponenzialmente superiore” ai combattimenti.
A distanza di oltre due anni dall’inizio del conflitto, la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto. Nel Paese si stimano oltre 9 milioni di sfollati interni, in larga parte senza accesso ai servizi di base. In molti campi improvvisati, il 40 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta. La dengue si inserisce così in un contesto di fragilità diffusa, amplificando i rischi di mortalità legati a infezioni prevenibili e curabili in condizioni normali.
Secondo i ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine, la combinazione tra collasso sanitario, cambiamento climatico e instabilità politica ha creato nel Sudan «un ambiente perfetto per la ricorrenza ciclica di epidemie». In assenza di misure di prevenzione e di un sistema di sorveglianza, la dengue rischia di diventare una presenza endemica permanente.
In questo scenario, il virus non è più solo un fenomeno sanitario, ma un indicatore della disgregazione di uno Stato. Mentre le organizzazioni internazionali continuano a chiedere un cessate il fuoco per poter operare, i medici sudanesi denunciano di essere rimasti soli. “Non abbiamo più mezzi, né strumenti di diagnosi, né medicine”, ha spiegato a Dabanga Sudan un responsabile sanitario di Khartoum. “Ogni giorno perdiamo pazienti che avremmo potuto salvare con un semplice trattamento di reidratazione. Ma non abbiamo nemmeno acqua pulita.”
Nel Sudan del 2025, la febbre dengue è il sintomo più evidente di una crisi più ampia: quella di un Paese in cui la guerra ha distrutto le infrastrutture, ma l’indifferenza internazionale sta distruggendo la sopravvivenza stessa della popolazione.
Casi confermati di dengue: 3.414
Decessi ufficiali: 38 (stime non ufficiali molto più alte)
Casi sospetti totali (dengue e colera insieme): oltre 120.000
Persone bisognose di assistenza sanitaria: 30,4 milioni
Ospedali non operativi: 70% delle strutture nazionali
Finanziamenti umanitari richiesti dall’OMS: 280 milioni di dollari
Stati colpiti: 16 su 18 (più gravi Khartoum, White Nile, El Gezira, Gedaref)
Sfollati interni: oltre 9 milioni
(Fonti: OMS, OCHA, Reuters, The Guardian, Dabanga Sudan, Sudan Tribune, Reliefweb, settembre-ottobre 2025)
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.