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10 Ottobre 2025 - 19:09
María Corina Machado
L’immagine è potente e inaspettata: una donna venezuelana, costretta alla clandestinità e minacciata dal regime autoritario di Nicolás Maduro, riceve il Premio Nobel per la Pace 2025. María Corina Machado, leader dell’opposizione al regime chavista, conquista un riconoscimento che illumina il mondo non solo per il valore simbolico, ma per la portata politica del messaggio che porta con sé. La sua vittoria è una battaglia di resistenza civile, un grido di libertà in un Paese travolto da una crisi umanitaria e democratica profonda. Il colpo di scena? L’esclusione di Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, che si era candidato da sé al premio, accendendo un acceso dibattito globale.
Il Comitato norvegese ha spiegato la decisione “per l’instancabile impegno nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la lotta pacifica verso una transizione giusta e democratica dalla dittatura”. Machado, industriale e politica di 58 anni, da anni vive sotto minaccia e in clandestinità dopo essere stata esclusa con mezzi politici e giudiziari dalla corsa presidenziale. Nonostante ciò, non ha mai smesso di lottare per la democrazia.
In un post su X, ha dedicato il premio “al popolo sofferente del Venezuela e al presidente Trump per il suo decisivo supporto alla nostra causa”, definendo il Nobel “una tappa verso la libertà e la democrazia insieme ai popoli americani e alle nazioni democratiche globali”.
Per mesi, Donald Trump aveva alimentato l’idea di meritare il Nobel, vantandosi di aver risolto conflitti “inestinguibili” e di aver raggiunto un “accordo forte e duraturo” tra Israele e Hamas. Ma il Comitato ha scelto di premiare un simbolo autentico di impegno civile, piuttosto che un leader controverso spesso criticato, anche dagli alleati, per la sua politica estera e i suoi toni divisivi. Dalla Casa Bianca, il direttore della comunicazione Steven Cheung ha reagito dichiarando che Trump “continuerà a lavorare per la pace nel mondo”, accusando però il Comitato di aver “anteposto la politica alla pace”.
Tra le ironie dell’opposizione e l’amarezza del presidente americano, il Nobel a Machado appare come uno “sberleffo elegante” al potere arrogante, dimostrando che coerenza e coraggio valgono più di proclami e strategie mediatiche.
Il Venezuela resta un Paese devastato: il regime di Maduro, al potere dal 2013, ha cancellato le garanzie democratiche, distrutto l’economia e represso brutalmente il dissenso. Arresti arbitrari, censura e paura sono la normalità. Machado è diventata il simbolo di questa resistenza silenziosa e pericolosa, una donna che combatte non con le armi, ma con la forza della parola e dell’esempio.
Intanto, gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione militare nel Mar dei Caraibi con operazioni anti-narcotraffico al largo delle coste venezuelane, provocando nuove tensioni diplomatiche. Caracas ha denunciato tali azioni come “violazioni della sovranità nazionale”, mentre Washington, con Trump e il senatore Marco Rubio in prima linea, continua a considerare Maduro un dittatore responsabile di crimini contro i diritti umani.
Premiare Machado è un messaggio globale: la pace non nasce da accordi effimeri, ma da democrazie forti e da chi rischia la vita per difenderle. In un anno segnato da guerre e derive autoritarie, la scelta del Comitato norvegese rappresenta “un messaggio necessario”, un richiamo a non voltarsi dall’altra parte.
Il sogno di Trump non è finito: i suoi sostenitori sperano che i risultati della sua politica estera vengano un giorno rivalutati. Ma per ora, il Nobel 2025 è la vittoria di una donna coerente, perseguitata e libera solo nello spirito — l’opposto di chi cerca il riconoscimento attraverso la propaganda.
La figura di María Corina Machado emerge così come quella di una “dama di ferro” venezuelana: nata nel 1967, ingegnere industriale, proviene da una famiglia di imprenditori colpita dalle nazionalizzazioni di Hugo Chávez. Nel 2002 fonda l’organizzazione civile Súmate, per la trasparenza elettorale, diventando una delle voci più critiche del chavismo. Deputata dal 2011 al 2014, si distingue per la sua intransigenza verso Maduro, rifiutando ogni negoziato con il regime e sostenendo una transizione rapida verso la libertà.
È stata protagonista delle grandi proteste popolari del 2014, 2017 e 2019, vincendo poi le primarie dell’opposizione nel 2023. Ma nel 2024 è stata esclusa dalle elezioni presidenziali con pretesti politici. Da allora vive nascosta, dopo aver denunciato brogli e abusi, continuando a parlare al Paese da luoghi segreti.
Il suo programma politico guarda a una ricostruzione liberale del Venezuela: stabilità fiscale, privatizzazioni, investimenti in sanità e istruzione, riduzione della povertà e rinascita della classe media. Il Nobel riconosce proprio questo: “per l’instancabile lavoro nel promuovere i diritti democratici del popolo venezuelano e la lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.
La diaspora venezuelana — oltre sette milioni di persone — la sostiene con forza, organizzando campagne internazionali per denunciare le violazioni del regime. Tra gli alleati più influenti, la Casa Bianca, che pur criticando il Comitato, continua a riconoscere in Machado una figura di riferimento morale e politica.
Per molti, è l’ultima speranza di un Paese distrutto; per altri, un personaggio divisivo, troppo rigido, incapace di compromessi. Ma in un Venezuela soffocato dalla paura, il suo volto rappresenta ancora la libertà possibile.
Il Premio Nobel per la Pace 2025 a María Corina Machado non è solo un riconoscimento, è un segnale al mondo: la pace nasce dal coraggio di chi non scappa, anche quando tutto intorno crolla.
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