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Volpiano, la stazione fantasma: chiusa, arrugginita e dimenticata

I consiglieri Medaglia e Maggisano denunciano l’abbandono della stazione ferroviaria: “Una situazione inaccettabile”

Volpiano, la stazione fantasma: chiusa, arrugginita e dimenticata

Volpiano, la stazione fantasma: chiusa, arrugginita e dimenticata

È un paradosso tutto canavesano: mentre si spendono 9 milioni e mezzo di euro per un sottopasso “fuori Volpiano”, la stazione del paese cade letteralmente a pezzi. I consiglieri di Cambiamo Volpiano, Giuseppe Medaglia e Antonietta Maggisano, lo hanno denunciato pubblicamente, corredando il loro post su Facebook con immagini che, più delle parole, raccontano l’abbandono.

Basta guardarle: la sala d’attesa sigillata con i nastri biancorossi, come se fosse la scena di un crimine; i bagni murati, il simbolo di un servizio pubblico che ha perso il senso del pubblico; le pensiline arrugginite, che paiono sopravvissute a un bombardamento; e poi le auto che occupano il marciapiede, là dove dovrebbero passare i pedoni o sostare gli autobus. Tutto questo in una stazione ancora definita “polo di interscambio” da RFI e dal Comune, ma che di interscambio ha ormai solo lo scambio di responsabilità.

Medaglia e Maggisano parlano di una “situazione inaccettabile”. E in effetti non serve essere pendolari per accorgersene: nessuna sala d’attesa, nessun bagno pubblico, nessun tabellone informativo, parcheggi per disabili eliminati e fermata bus invasa dalle auto. Un elenco che, se non fosse reale, sembrerebbe una caricatura burocratica dell’Italia che promette “mobilità sostenibile” ma costringe gli utenti a sostenere solo il freddo, la pioggia e la rassegnazione.

Chi viaggia ogni giorno da Volpiano lo sa bene. D’inverno, mentre si aspetta il treno che spesso accumula ritardi, non c’è un riparo. Non un metro quadro di spazio coperto dove ripararsi. In estate, il problema si ribalta: niente ombra, nessuna panchina, e un piazzale che pare il set di un film neorealista ambientato nel dopoguerra.
Intanto, le istituzioni si concentrano altrove. “In tanto vengono spesi 9.500.000 euro per un sottopasso fuori Volpiano”, scrivono i consiglieri. E non è solo una polemica contabile. È una questione di priorità: a che serve costruire nuove infrastrutture se le esistenti vengono lasciate marcire?

 

La domanda è più che legittima. Perché mentre la politica si vanta di nuove opere e tagli di nastro, nessuno taglia più l’erba sotto le pensiline, nessuno ripara le grondaie corrose, nessuno apre le porte sigillate della sala d’attesa.
E dire che basterebbe poco: un bagno accessibile, un orario cartaceo, una tettoia sistemata. Invece no: tutto è lasciato a metà, come se i pendolari non contassero, come se la stazione fosse un peso e non un servizio.

L’immagine più amara è quella del marciapiede davanti alla recinzione: stretto, sconnesso, invivibile per chi si muove a piedi o in carrozzina. Un’auto blu parcheggiata invade la corsia, e per passare serve scendere in strada. Altro che “accessibilità”: qui siamo all’ostilità urbana.

C’è anche la beffa del nuovo. Sì, perché accanto a tanto degrado, spunta un padiglione in ferro e acciaio, chiuso da pannelli decorativi, di cui nessuno capisce la funzione. Un ricovero bici? Una struttura di servizio mai entrata in funzione? Sta lì, immobile, come monumento all’incompiuto.
Persino la copertura in lamiera, osservata da vicino, mostra segni di corrosione, buchi e ruggine che fanno pensare più a un capannone dismesso che a un’opera appena installata.

“Volpiano e i suoi cittadini meritano di più”, scrivono Medaglia e Maggisano. E hanno ragione. Perché la stazione è la porta d’ingresso di un paese. E quando la porta è chiusa, o peggio, sigillata con il nastro da cantiere, il messaggio che arriva a chi passa di qui è uno solo: qui non c’è più nessuno che si prenda cura delle cose comuni.

L’indignazione dei consiglieri non nasce dal nulla. Da mesi i pendolari segnalano disagi, chiedono interventi, inviano segnalazioni. Tutto rimane sospeso, come i lavori infiniti annunciati più volte. C’è chi ricorda che un tempo la stazione era un punto di riferimento, con un’edicola, una sala d’attesa, un capostazione che dava informazioni. Oggi resta solo una biglietteria automatica, la stessa che spesso va in blocco, accanto a una porta murata con nastro bianco e rosso.
Un’immagine che da sola racconta la parabola della modernità mal gestita: prima si chiude, poi si dimentica, infine si fotografa e si passa oltre.

Eppure non mancano i piani e i proclami. RFI parla di “riqualificazioni diffuse”, la Regione di “investimenti sulla mobilità locale”, il Comune di “lavori in corso”. Ma a Volpiano, di corso, ci sono solo i ragazzi che corrono per non perdere l’autobus – e che spesso non hanno neppure un marciapiede sicuro su cui attendere.

Non è solo questione di decoro. È una questione di sicurezza e dignità. Perché una stazione senza bagni e senza sala d’attesa non è semplicemente scomoda: è disumana. Costringe anziani e pendolari a condizioni indegne, e rende impossibile la quotidianità di chi ha disabilità o mobilità ridotta.
In un paese che ama riempirsi la bocca con parole come “inclusione” e “accessibilità”, basta un giro in stazione per capire quanto siano fragili quei proclami.

E intanto, i milioni scorrono altrove. Grandi opere, grandi numeri, grandi conferenze stampa. Ma chi prende il treno ogni mattina a Volpiano non chiede grandi opere. Chiede piccole certezze: un posto dove sedersi, un tetto sotto cui ripararsi, un orologio che segni gli orari dei treni.

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