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Rissa in campo a Collegno, la Corte riduce la squalifica al 13enne: proporzione, precedenti e una lezione al clamore

Corte d’Appello: niente legittima difesa. Ridotta la squalifica del 13enne del Carmagnola per la rissa

Rissa shock al torneo giovanile

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Può un singolo gesto di violenza cancellare anni di crescita sportiva?

La Corte Sportiva d’Appello, chiamata a pronunciarsi sulla rissa del 31 agosto a Collegno tra i ragazzi del Csf Carmagnola e del Volpiano Pianese, ha scelto la strada della proporzione. Ha escluso la legittima difesa, ha stigmatizzato il gesto, ma ha ridotto una squalifica che rischiava di allontanare a lungo un tredicenne dal campo, luogo che per definizione dovrebbe educare prima ancora che punire.

Il collegio giudicante della Corte Sportiva d’Appello, presieduto dal dottor Ugo Annona, ha esaminato il ricorso di Cristian Barbero, 13 anni, tesserato Csf Carmagnola, indicato nel referto arbitrale come autore di un pugno alla nuca del portiere avversario, Thomas Sarritzu (Volpiano Pianese).

Visionati i filmati integrali, la Corte ha sgomberato il campo dai dubbi: non c’erano i presupposti per invocare la legittima difesa. “Se è pur vero che Barbero inizia la sua condotta quando il proprio compagno di squadra viene colpito dal Sarritzu, in ogni caso egli va direttamente a colpire con un pugno alla nuca proprio Sarritzu, senza preoccuparsi troppo delle sorti del compagno di squadra steso a terra”.

La squalifica iniziale, fissata fino al 4 settembre 2026, è stata ritenuta eccessiva rispetto ai parametri del Codice di Giustizia Sportiva.

La Corte ha accolto in parte l’istanza di riduzione, rimodulando il provvedimento al 31 dicembre 2025. I criteri? Tre, in particolare: la condotta di Barbero si è limitata a un singolo gesto, non a una sequenza di azioni violente, come invece è stato attribuito all’avversario; il nostro ordinamento sportivo non ammette “sanzioni esemplari”, contrarie ai principi di proporzionalità e adeguatezza: il clamore mediatico non può giustificare pene “di sproporzionata entità”; ogni decisione crea un precedente, seppur non vincolante, che dovrà orientare casi analoghi in futuro. A tutto questo si somma il dato anagrafico: a 13 anni la sanzione deve anche educare. Protrarre un allontanamento così lungo dal campo avrebbe potuto compromettere il percorso formativo del ragazzo.

Dove si traccia il confine tra disciplina e formazione? La Corte lo ha collocato nella proporzionalità della pena e nel suo scopo educativo, soprattutto nel settore giovanile. Il messaggio è chiaro: punire sì, ma senza cedere alla tentazione di “fare scuola” sulla pelle dei ragazzi. Il riferimento al clamore mediatico è una bussola per le istituzioni sportive: il rumore non può pesare più delle regole. E l’avvertenza sui precedenti invita a coerenza e prudenza nelle prossime decisioni.

La conferma dell’ammenda al Csf Carmagnola per responsabilità oggettiva richiama i club al loro ruolo: prevenire, educare, vigilare. Ma c’è un passaggio che interpella tutti: gli adulti. Quando un genitore aggredisce un giovane portiere, lo sport perde la sua funzione sociale. Separare le responsabilità, come ha fatto correttamente la Corte rimandando il caso alla giustizia ordinaria, non significa abbassare l’asticella etica; significa rafforzarla.

In fondo, la domanda che resta è semplice: che adulti vogliamo aiutare a diventare questi ragazzi? Le risposte passano anche da sentenze come questa, che rimettono al centro il senso dello sport.

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