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Al Liceo Botta di Ivrea per ordine della dirigente: studenti fuori, tapparelle giù, libertà zero

Quattrocento studenti in corteo per Gaza trovano la scuola della preside Lucia Mongiano trasformata in un bunker: porte serrate, retro chiuso e persino le tapparelle abbassate. Chi ha manifestato non è rientrato: giornata cancellata, come se la partecipazione fosse un reato

Il muro del Liceo Botta di Ivrea: studenti fuori, tapparelle giù, libertà zero

Davanti al liceo Botta

Ivrea questa mattina non si è svegliata con la solita campanella. Alle otto in punto, al posto della marcia ordinata verso le aule, centinaia di ragazzi hanno preso un’altra strada: quella delle piazze, delle vie del centro, dei cartelli colorati, dei cori improvvisati. Quattrocento studenti, insieme a una quindicina di professori e qualche collaboratore scolastico, hanno dato vita a un corteo che resterà inciso nella memoria della città: la prima manifestazione interamente organizzata dagli studenti per chiedere la fine del massacro a Gaza e per sostenere la Freedom Flotilla.

davanti al Botta

davanti al botta

davanti al Botta

Una mattinata di musica, slogan, cartelli scritti a mano. Nessuna bandiera di partito, nessun megafono di qualche associazione “ufficiale”. Solo la voce dei ragazzi, la loro determinazione, la loro voglia di esserci. “Non possiamo più stare zitti”, gridavano, trasformando la città in una grande aula a cielo aperto. Il corteo è partito dal Liceo Gramsci, ha toccato l’Istituto Cena e l’Istituto Olivetti, raccogliendo studenti e curiosi lungo il percorso. E a ogni tappa la scena è stata la stessa: ragazzi che intonavano Bella ciao, che urlavano “Palestina libera”, che suonavano chitarre e tamburi improvvisati. Una lezione di cittadinanza in carne e ossa.

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Poi, l’arrivo al Liceo Botta. Qui la sceneggiatura si è capovolta. L’istituto diretto dalla dirigente Lucia Mongiano non si è fatto attraversare dall’energia dei ragazzi. Non ha aperto porte, non ha lasciato spazio. Al contrario: ha chiuso tutto. Portone principale serrato, ingresso sul retro sprangato, e come se non bastasse, persino le tapparelle giù. Come in un film grottesco, i ragazzi fuori intonavano Imagine di John Lennon, e dentro la scuola calava il buio.

Un gesto che parla da solo. Mentre altrove i ragazzi avevano potuto cantare e suonare, davanti al Botta no. Qui la parola d’ordine era: chiudere, blindare, silenziare. Una studentessa racconta: “Il bidello ha chiuso le porte e il portone… noi siamo rimasti lì, abbiamo fatto esattamente le stesse cose che avevamo fatto altrove. Abbiamo cantato e suonato Imagine”. Ma dall’altra parte non c’era ascolto, solo serrande abbassate.

Non è difficile trovare paragoni. Non certo L’attimo fuggente, con i ragazzi che salgono sui banchi per affermare la libertà di pensiero. Qui semmai siamo dalle parti di The Wall dei Pink Floyd: studenti che cercano di uscire dalla fabbrica della routine e si scontrano con un muro invalicabile. Oppure, per chi ama la saga di Harry Potter, l’immagine è ancora più chiara: la preside Dolores Umbridge, quella che controlla, proibisce, impone il silenzio e abbatte ogni possibilità di confronto. Ecco: la scuola bunker del Botta stamattina sembrava proprio uscita da quelle atmosfere.

E non basta. Perché la storia non si è fermata alle serrande abbassate. Finito il corteo, molti studenti del Botta hanno scoperto che non potevano rientrare in classe. Nessuna lezione, nessuna possibilità di tornare ai banchi. Giornata cancellata, come se la partecipazione fosse un reato da punire e la scuola una caserma da presidiare. Un paradosso che grida vendetta..

Fa riflettere che a Ivrea, città che conosce bene i cortei e le mobilitazioni, non sia stata la polizia a bloccare i ragazzi, non siano stati divieti o ordinanze. È stata una scuola. Proprio quell’istituzione che dovrebbe insegnare a pensare, a discutere, ad affrontare la realtà. Invece no: al Botta, per un giorno, è stato vietato persino affacciarsi alla finestra. Una scuola che si blinda di fronte alla musica degli studenti è una contraddizione vivente, un ossimoro.

La mattinata si è poi conclusa ai giardinetti, dove i ragazzi si sono riuniti in assemblea. Uno spazio aperto, libero, dove discutere, raccontarsi, condividere paure e speranze. Anche alcuni docenti e collaboratori hanno riconosciuto che quella di oggi è stata una lezione vera, forse più incisiva di mille spiegazioni di storia. Una di quelle giornate che restano nella memoria, non nei registri scolastici.

Il contrasto resta lì, nitido. Da un lato studenti che alzano la voce per chiedere pace e giustizia, dall’altro una scuola che abbassa serrande per paura. Da un lato la forza di giovani che vogliono esserci, dall’altro il buio di un’istituzione che si rinchiude. E in mezzo, una città che osserva e capisce da che parte stia la vita.

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