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Sabrina Capucci: “Io, la prima neonata affidata al padre in Italia. Con mia madre Catherine Spaak un non-rapporto”

Alla libreria Belgravia di Torino, la figlia di Catherine Spaak e Fabrizio Capucci racconta il difficile rapporto con la madre e l’amore per il padre, primo ad ottenere l’affidamento esclusivo di una neonata

Sabrina Capucci, tra poesia e ferite: a Torino la voce che mancava

Catherine Spaak

“Finché mia mamma è stata in vita ho scelto il silenzio. Non potevo parlare del nostro rapporto. Oggi, finalmente, posso raccontare la nostra storia senza più giudicarla.”

Le parole di Sabrina Capucci cadono lente, misurate, ma custodiscono un peso antico. Torino, libreria Belgravia: non è solo un incontro letterario, ma il luogo dove una donna di 63 anni, figlia di due icone del Novecento, decide di liberarsi da un silenzio che l’ha accompagnata per tutta la vita.

Sabrina Capucci

Sabrina Capucci

Sabrina è la primogenita di Catherine Spaak, diva amata, e dell’attore e produttore Fabrizio Capucci, nipote del genio dell’Alta Moda Roberto Capucci. Eppure il privilegio di nascere in una famiglia così celebre si è rivelato presto un destino amaro. Quel rapporto con la madre che agli occhi del pubblico poteva sembrare naturale e indissolubile, per lei è stato un vuoto. “È stato un non rapporto – confessa –. La vedevo pochissimo. Veniva a farsi fotografare con me solo per motivi di immagine. Non è vero che ha cercato di rapirmi. Non la condanno, perché quando sono nata era giovanissima, aveva appena diciotto anni.”

Parole che rovesciano anni di racconti mediatici, di interviste, di una narrazione che dipingeva Catherine come madre ferita e vittima di un sistema giudiziario ingiusto. Ma Sabrina, con voce calma, restituisce una verità diversa: il suo fu il primo caso in Italia di affidamento di una neonata al padre e non alla madre. Una decisione rivoluzionaria per l’epoca, che le ha permesso di crescere con il padre e con la famiglia Capucci, immersa in un ambiente creativo e colto. “Ho amato molto mio padre anche per il suo modo di essere creativo e narcisista. Lui e mio zio mi hanno trasmesso il dono della creatività e della profondità esistenziale”, racconta con un sorriso appena accennato, mentre ricorda l’uomo scomparso nel dicembre del 2024.

A Belgravia, non c’è solo il passato. Sabrina si presenta come donna, artista, poetessa. Dialoga con l’amico di lunga data, il poeta torinese Roberto Rossi Precerutti, intrecciando riflessioni sulla sua raccolta Lungo fiumi di luce e sull’ultima, Recinto di pena e altri petrarchismi. Indossa abiti dello zio Roberto, “in prestito dalla fondazione”, quasi a sottolineare un legame mai spezzato con la bellezza, e legge al pubblico alcune liriche inedite, dense di malinconia e di speranza.

Attrice di teatro – ha lavorato con Luca Ronconi – e in seguito spiritual coach, ha attraversato lunghi anni di solitudine, sette per l’esattezza, prima di ritirarsi in provincia di Terni, dove oggi vive. Una vita appartata, lontana dai riflettori, ma non per questo meno intensa.

Durante l’incontro torinese, la Capucci presta la sua voce anche ad altri mondi. Legge pagine di Groenlandia e altri ghiacci. Viaggi nell’Artico fra passato e presente, il volume curato da Paolo Calvino e Giorgio Enrico Bena, nato da un viaggio tra i fiordi e i ghiacci della Groenlandia occidentale, a terra e su una nave postale. Un testo che mescola sogni di esploratori e realtà di territori remoti, e che nelle mani di Sabrina diventa metafora di un’esistenza segnata da distanze incolmabili e dal desiderio di approdare, finalmente, a un porto interiore.

Quella di Sabrina Capucci è la storia di una figlia che ha vissuto l’assenza della madre come ferita, ma che ha saputo trasformarla in parola, poesia, ricerca spirituale. È la storia di una donna che, dopo anni di silenzi e fraintendimenti, ha trovato il coraggio di raccontarsi. Senza rabbia, senza condanna. Solo con la forza della verità.

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