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Imprigionati e dimenticati: la denuncia del 2 ottobre

Milioni di esseri viventi ridotti a prodotti da scaffale, tra sofferenze invisibili e dissonanze collettive

Imprigionati e dimenticati

Imprigionati e dimenticati: la giornata mondiale contro lo sfruttamento animale

Il 2 ottobre non è una data qualunque. È la Giornata Mondiale degli Animali negli Allevamenti, una ricorrenza che costringe a guardare dentro un sistema che regge gran parte della nostra economia alimentare e, allo stesso tempo, continua a sollevare interrogativi etici profondi. Le immagini evocate da chi denuncia le condizioni degli allevamenti sono forti: animali imprigionati, terrorizzati, dimenticati, stremati e uccisi. Milioni di vite consumate in spazi angusti, nel tempo di una crescita rapida e artificiale, destinate a finire sulle nostre tavole come se non fossero mai esistite.

Dietro un bicchiere di latte c’è una mucca costretta a gravidanze forzate, in una routine che non ha nulla di naturale. Dietro un uovo, spesso, c’è una gallina stipata in un capannone, privata della luce del sole e dello spazio per muoversi. I conigli, i tacchini e i maiali vengono macellati ancora giovanissimi, quando in natura avrebbero davanti molti anni di vita. Tutto questo avviene lontano dagli occhi dei consumatori, separato da barriere fisiche ma anche psicologiche.

La chiave di questa distanza sta in un concetto che la psicologia definisce “dissonanza cognitiva”: la maggioranza delle persone si dice amante degli animali, ma allo stesso tempo ne consuma le carni senza troppi dubbi. A generare questa contraddizione è anche il modo in cui i prodotti vengono presentati. Nei supermercati o nei ristoranti non troviamo corpi interi, ma pezzi separati, confezionati, trasformati: bistecche, fette di prosciutto, cubetti di pollo, tartare. È un linguaggio visivo che anestetizza la coscienza, trasformando ciò che era una vita in un semplice ingrediente.

La giornata del 2 ottobre prova a incrinare questa narrazione. È un invito a guardare oltre il pezzo di carne nel piatto e a riconoscere che lì dietro c’era un animale, con un istinto, un comportamento, una sensibilità. Le campagne che si moltiplicano in queste ore chiedono un cambio di prospettiva: smettere di considerare lo sfruttamento come un fatto inevitabile e iniziare a interrogarsi sulla possibilità di fare scelte diverse.

Non si tratta soltanto di rinunciare alla carne o ai derivati animali. Si tratta di un gesto politico e culturale, di riconoscere che ogni essere vivente ha una dignità che non può essere ridotta a profitto. Le alternative esistono: diete vegetali sempre più varie, prodotti a base vegetale che replicano gusto e consistenza, filiere sostenute da criteri etici. Ma la sfida più difficile resta quella della coscienza collettiva.

La questione non è più ignorabile. Gli allevamenti intensivi hanno un impatto devastante non solo sugli animali, ma anche sul pianeta. Producono emissioni climalteranti, consumano enormi quantità di acqua, contribuiscono alla deforestazione e riducono la biodiversità. In questo senso, ogni scelta di consumo diventa anche un gesto ambientale.

Oggi, chi promuove questa giornata, non chiede di “salvare il mondo in un giorno”, ma di iniziare da una presa di consapevolezza: non esiste carne “neutra”, non esiste latte “innocuo”. Ogni confezione, ogni piatto, ha una storia che parte da un allevamento e da un animale che non ha avuto scelta.

Il messaggio che attraversa questa Giornata è semplice e radicale: non girarsi dall’altra parte. Fermarsi un istante e ammettere che quel sistema si regge su un’abitudine che non corrisponde ai valori di chi dice di amare gli animali. Forse è il momento di ridurre la distanza tra ciò che pensiamo e ciò che facciamo. Forse è il momento di indossare un paio di occhiali diversi e vedere davvero ciò che c’è dietro il banco del supermercato.

Il 2 ottobre diventa così non solo un appuntamento simbolico, ma una prova di coerenza. Un invito a cambiare, a piccoli passi o con scelte radicali, la direzione di un intero modello di consumo. Perché, come ricordano le associazioni che hanno lanciato la campagna, “ogni vita conta”.

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