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Cronaca

Notte di rabbia a Torino: Porta Nuova invasa dai manifestanti pro Palestina

Duemila in piazza, corteo fino all’università e binari occupati: la città diventa teatro di una lunga notte di cori, bandiere e tensioni, mentre la Flotilla resta bloccata al largo di Gaza

Notte di rabbia a Torino: Porta Nuova invasa dai manifestanti pro Palestina

Notte di rabbia a Torino: Porta Nuova invasa dai manifestanti pro Palestina

La città è ancora sveglia quando la protesta raggiunge il suo punto più caldo. Torino: la stazione di Porta Nuova trasformata in un fortino. Le camionette della polizia, ferme da ore, chiudono gli ingressi principali come un muro immobile, mentre gli agenti, con i caschi appesi alla cintura e gli scudi lucidi tra le mani, attendono il momento in cui la quiete si romperà. La folla non si disperde, anzi: cresce, si compatta, respira all’unisono. Sono studenti, sindacalisti, famiglie intere, giovani e meno giovani, uniti sotto bandiere che raccontano una storia lontana, ma che da settimane vibra nel cuore di questa città.

Poco dopo le 23,30, la linea di separazione si spezza. Non è un gesto clamoroso, non è il fragore di una battaglia, ma l’istante improvviso in cui le distanze si annullano. C’è chi spinge, chi resiste, chi alza le mani per proteggersi. Una bicicletta lanciata diventa simbolo involontario di uno scontro che tutti attendevano. La polizia risponde calandosi i caschi, serrando le file, imbracciando gli scudi. Gli slogan coprono i rumori metallici, diventano tamburo e canto insieme, e la tensione si fa quasi fisica, come un’onda che attraversa i corpi.

I manifestanti non rinunciano. Si spostano di lato, cercano un varco. Lo trovano su via Sacchi, dove un ingresso secondario della stazione cede, forzato da mani che non si fermano davanti alle serrature. È allora che la folla si riversa dentro: uno sciame che corre, che avanza deciso, che punta ai binari come a un approdo naturale. I passi risuonano tra le arcate della stazione, si mescolano ai fischi dei treni, e in pochi minuti i binari 9 e 10 non appartengono più ai convogli ma a centinaia di corpi in movimento.

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Lo striscione si apre in alto, visibile da tutti: “Blocchiamo tutto”. Una frase breve, netta, scritta con la rabbia e la determinazione di chi non ha intenzione di arretrare. Quelle parole risuonano non solo a Torino, ma in un’eco che lega le piazze italiane di questa notte: Milano, Roma, Napoli, città diverse unite dalla stessa promessa. Intanto, al largo, la Flotilla resta immobile, fermata a poche miglia dalla costa palestinese, e il collegamento tra ciò che accade in mare e ciò che esplode nelle stazioni è chiaro, immediato. È l’idea che se una rotta viene spezzata, se un viaggio verso Gaza viene impedito, allora tutto, qui, deve fermarsi.

Eppure non è stato un fulmine a ciel sereno. Nei giorni scorsi erano già arrivati i primi segnali: strade bloccate, binari occupati, persino l’aeroporto messo nel mirino di cortei improvvisati. Quella di ieri notte è stata solo l’ultima tappa, la più visibile, in una catena di azioni che continua a crescere. Non a caso, nello stesso giorno in cui le navi dirette a Gaza venivano abbordate, Torino ha scelto due luoghi simbolo: la stazione e l’università. A Palazzo Nuovo le aule sono tornate occupate, i corridoi riempiti da tende, striscioni, cori. È la scia di altre scuole torinesi già mobilitate, dai licei storici come il Gioberti e il Ferraris al Gobetti, dove gli studenti hanno ridato fiato a un movimento che sembrava sopito e che invece non smette di reinventarsi.

Sono loro, gli studenti, ad avere riaperto il solco. Da due anni hanno scelto di non restare a guardare, di mettere il proprio corpo in strada e la propria voce nei megafoni. Sono loro a convocare la piazza, a dare appuntamento in quel centro cittadino che, per giorni, è stato ribattezzato “piazza Gaza”. Migliaia di persone si sono ritrovate strette l’una accanto all’altra, bandiere nere, bianche e verdi che sventolano sopra le teste, occhi fissi sul maxi schermo che trasmette le immagini della Flotilla. Non sono solo studenti: rispondono all’appello i sindacati, i collettivi, le associazioni solidali, ma anche volti nuovi, anziani che fino a ieri non avevano mai preso parte a un corteo, coppie che stringono le mani dei figli, famiglie intere che scelgono di esserci. La piazza, in quel momento, non ha più margini, è un corpo unico che respira.

La voce dell’avvocato Gianluca Vitale rompe il brusio. Annuncia che già domani saranno presentate le prime denunce alla procura di Roma contro chi, in mare, ha fermato la Flotilla, definendo l’atto “pirateria”. Il boato di applausi che segue non è di circostanza, ma un gesto collettivo di approvazione. Subito dopo, un’attivista ricorda che “le piazze sono le uniche che possono far tremare il governo”, e invita a non fermarsi, a continuare. Ancora applausi, ancora cori. In mezzo alla folla c’è anche Alice Ravinale, consigliera regionale di Alleanza Verdi e Sinistra: la sua presenza diventa un segnale politico, e le sue parole, “era doveroso esserci di fronte a una violazione gravissima del diritto internazionale”, cadono come un ulteriore tassello a rafforzare la protesta.

Il corteo si muove. Dal cuore della città attraversa via San Francesco d’Assisi, imbocca via Pietro Micca, scivola sotto i portici di via Po. La città sembra vuota, quasi sospesa, e per questo ogni coro risuona amplificato. Qualche finestra si apre, qualcuno urla “Gaza libera” dai balconi, e quel grido si mescola alle voci della strada, diventa parte della manifestazione.

A Palazzo Nuovo gli studenti montano tende, accendono lampade, proiettano sul fianco della Palazzina Aldo Moro una grande bandiera palestinese che illumina la facciata come un enorme manifesto. Nei bagni del primo piano, sulle mattonelle già consumate, compaiono nuove scritte: “Free Gaza”, “Fuoco a carceri e Cpr”. Sono frasi che raccontano non solo una protesta, ma una continuità, il segno di una memoria che si rinnova.

Il corteo torna poi verso Porta Nuova. È qui che si consuma l’ultima parte della notte. I binari invasi, le tensioni con la polizia, i cori che non si fermano. È qui che la protesta trova la sua immagine più forte: centinaia di corpi che occupano lo spazio dei treni, fermando per ore il traffico ferroviario, mostrando con un gesto semplice e radicale che la distanza tra Torino e Gaza può essere colmata da una notte di resistenza.

Non c’è enfasi, non c’è eroismo, ma la forza silenziosa di chi decide che non può più tacere. Una notte torinese che diventa parte di una storia più grande, scritta con i passi di migliaia di persone che non hanno paura di trasformare la città in un palcoscenico di lotta. Un’altra notte di rabbia e di solidarietà, consegnata alla memoria collettiva.

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