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A Torino decide l’Intelligenza Artificiale: sarà un algoritmo a dirci quale buca riparare prima

Il piano da 32 milioni della Fondazione CRT promette 140 cantieri in 18 mesi. Ma invece delle segnalazioni dei cittadini, ci penserà un software a stabilire dove finisce l’asfalto e dove comincia la pista da rally

A Torino decide l’Intelligenza Artificiale: sarà un algoritmo a dirci quale buca riparare prima

il sindaco di Torino

Torino, città delle buche e delle promesse. Da anni i cittadini percorrono strade che sembrano più un campo minato che vie urbane: marciapiedi dissestati, cubetti di porfido divelti, asfalto ridotto a una groviera. Eppure, all’improvviso, spunta la manna dal cielo: 32 milioni di euro piovuti dalla Fondazione CRT, pronti a trasformarsi in cantieri e rattoppi. Non si tratta di un prestito, ma di un regalo vero e proprio, un’iniezione di risorse che fa impallidire i miseri 5 milioni annui che il Comune riesce a racimolare per la manutenzione ordinaria. Il confronto è impietoso: qui si parla di sei volte tanto. E così la politica locale, dopo aver arrancato per anni, ora può sfoggiare il grande piano di rifacimento delle strade come se fosse frutto di capacità amministrativa e non dell’ennesimo intervento esterno a tappare falle che il bilancio comunale non riesce a coprire.

Il progetto si chiama “Torino Cambia – Spazi che uniscono”, un titolo che sembra più la promessa di un’agenzia matrimoniale che un piano di manutenzione straordinaria. Ma tant’è, i comunicati amano i toni solenni. Nel concreto, la giunta guidata dalla sindaca e l’assessore alla Cura della Città Francesco Tresso hanno approvato il progetto esecutivo, e il Comune si prepara a bandire la gara d’appalto. Tabella di marcia: aprire i primi cantieri entro la fine dell’anno. Chissà se ci riusciranno, visto che i torinesi hanno visto troppe inaugurazioni annunciate e mai partite, troppe promesse di “partire a breve” rimaste lettera morta.

L’intervento sarà imponente: 140 cantieri in cinque lotti, distribuiti su tutto il territorio urbano. Durata prevista: 18 mesi, con la conclusione fissata per la seconda metà del 2026. Un cronoprogramma che suona quasi ottimistico, considerando che a Torino basta un acquazzone per bloccare i lavori per settimane. In questa prima fase si spenderanno 25 milioni, mentre i restanti 7 milioni verranno impegnati in un secondo momento per segnaletica, sicurezza dei percorsi pedonali e ulteriori interventi di risanamento. È il classico schema in due tempi: prima l’asfalto, poi – se resta tempo e voglia – tutto il resto.

E l’elenco delle strade da rifare non è certo casuale. Si parte dai luoghi simbolo, come piazza Solferino, invocata da anni per la sua pavimentazione in porfido ridotta a colabrodo dal transito dei bus. Poi piazza Carlina, piazza Cavour, via San Massimo, via Santa Chiara: il cuore della città che deve tornare presentabile, magari giusto in tempo per qualche evento istituzionale o vetrina turistica. Ma ci sono anche i grandi assi di scorrimento: via De Sanctis, corso Lione, corso Tassoni, corso Regina Margherita, corso Giulio Cesare, corso Vercelli. Strade percorse ogni giorno da migliaia di torinesi che, per ora, devono fare lo slalom tra buche profonde quanto crateri lunari. Non mancano le aree simboliche come strada Altessano, a ridosso dell’Allianz Stadium, perché si sa: i tifosi non possono certo arrivare alla partita sprofondando con le ruote nell’asfalto. E ancora la collina, via Filadelfia, corso Sebastopoli, corso Orbassano, corso Unione Sovietica, fino all’area della Gran Madre. Un tour completo, quasi un pellegrinaggio sulle macerie urbane.

La narrazione istituzionale non manca di enfasi: si parla di un territorio cittadino vasto 21 milioni di metri quadrati, continuamente messo a dura prova da piogge, gelo e intemperie. Tutto vero, ma la domanda è un’altra: dove sono stati, fino a ieri, i soldi per una manutenzione decente? Forse era più comodo riempire ogni buca con una spruzzata di bitume a presa rapida, rattoppi che durano il tempo di una stagione e che i cittadini conoscono bene. Soluzioni tampone che non risolvono nulla, se non garantire qualche foto di operai all’opera da inserire nei bollettini comunali.

A rendere tutto ancora più grottesco, ci pensa la tecnologia. Il Comune annuncia che per pianificare gli interventi verrà utilizzata l’intelligenza artificiale, con tanto di “gemello digitale” della città per monitorare lo stato delle strade. In pratica, un algoritmo stabilirà dove mettere mano per primo. Una trovata che suona futuristica, peccato che i torinesi lo sappiano già benissimo: basta scendere di casa e guardare. Le segnalazioni arrivano ogni giorno, foto di voragini condivise sui social, segnalazioni alle circoscrizioni, denunce dei residenti. Ma forse i software costosi danno più prestigio di un semplice ascolto del cittadino.

E intanto, mentre si parla di algoritmi, milioni e cantieri, la Fondazione CRT ribadisce che questi 32 milioni non intaccano né il patrimonio né le erogazioni future: provengono da fondi accantonati, frutto di “ritorni fiscali”. Una sottolineatura necessaria, quasi a dire: tranquilli, non stiamo facendo beneficenza, stiamo solo restituendo quello che abbiamo accumulato. Però resta il fatto che senza la Fondazione, Torino sarebbe ancora lì, con i suoi miseri 5 milioni e il solito calendario di rattoppi.

Il rischio, ora, è che tutto si trasformi nell’ennesima campagna d’immagine. Cantieri ovunque, inaugurazioni a raffica, tagli di nastri con tanto di sorrisi e fasce tricolori. Perché in Italia i cantieri non sono mai solo cantieri: sono palcoscenici politici. E i torinesi, che da decenni convivono con buche e marciapiedi killer, sanno bene che la vera sfida non è aprirli, i cantieri, ma chiuderli nei tempi promessi e con lavori fatti bene.

Così, mentre Francesco Tresso e la giunta annunciano la “fase operativa”, resta un interrogativo sospeso: tra due anni, avremo davvero una città più sicura e percorribile, o ci ritroveremo con l’ennesima sfilata di cantieri eterni e strade che, dopo pochi mesi, torneranno a disfarsi? Ai torinesi, per ora, non resta che prepararsi a convivere con ruspe, polvere e transenne. Perché a Torino, più che la città delle automobili, sembriamo ormai la città dei cantieri perpetui.

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Fiat, algoritmi e buche

Torino, città che ha inventato la FIAT, la capitale dell’auto, delle catene di montaggio, delle utilitarie che hanno motorizzato il Paese. E oggi? Oggi è la città delle buche. Quelle che non guardi più perché ci sei abituato, quelle che se ti cade dentro la ruota non ti arrabbi, ti limiti a pensare: “Ma guarda, l’hanno pure allargata da ieri”.

Così, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, dei software predittivi, dei robot che parlano, a Torino si sperimenta l’uso degli algoritmi per capire dove sistemare l’asfalto. Cioè: la città che un secolo fa produceva auto per correre sull’asfalto oggi non è capace nemmeno di produrre l’asfalto per far correre le auto. Serve un computer per dire al Comune che in corso Giulio Cesare c’è un buco grande come una Panda, o che in piazza Solferino i cubetti di porfido sono diventati trappole per caviglie.

C’è dell’ironia crudele in tutto questo: la culla della FIAT ridotta a far testare ai cittadini le sospensioni, la patria dell’auto che diventa un circuito di rally urbano, con i torinesi costretti a guidare come piloti di prova, zigzagando tra crepe e voragini. E mentre a Mirafiori si parla di software e auto elettriche, in strada ti ritrovi ancora a sperare che almeno ci mettano un po’ di catrame in più.

Insomma, altro che algoritmi. Torino non ha bisogno di intelligenza artificiale: basterebbe un po’ di intelligenza normale.

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