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Pagine di storia
28 Settembre 2025 - 00:08
La Società Operaia di Gallenca in una bella fotografia d’epoca. All’esterno grandi e piccoli giocano a bocce. Sulla sx le acque della roggia di Oglianico. L’altra è quella di Favria
Nel corso delle ricerche sull’evoluzione dei mulini, condotte nell’ambito del progetto dell’Ecomuseo del Freidano di Settimo Torinese, abbiamo avuto l’occasione di conoscere la realtà produttiva del Molino Peila di Valperga. Grazie alla collaborazione con la proprietà e alla consultazione dei documenti storici conservati presso l’azienda, è stato possibile ricostruirne parte della storia.
L’indagine sul mulino ha inoltre permesso di allargare le nostre ricerche anche all’ambito del Canavese, impostando un nuovo percorso conoscitivo sul passato industriale che collega Settimo a quest’area del Piemonte.
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Settimo è la stazione di innesto della ferrovia del Canavese con la Torino - Milano. Vale a dire il nodo di confluenza di questa sub-regione con una direttrice internazionale collegante, sin da metà Ottocento, la Francia con il nord/centro Europa attraverso la pianura Padana. Su questo asse abbiamo indagato due forme protoindustriali comuni a queste due realtà locali: i cosiddetti «mulini nuovi» e le fornaci da mattoni (1).
I primi vedono la luce dal progetto cavouriano di creare nel regno di Sardegna una moderna industria per la trasformazione delle materie prime agricole su modelli innovativi mutuati dagli Stati europei più evoluti; le fornaci, dal canto loro, nascono anch’esse in contesti marcatamente rurali/artigianali e il loro sviluppo procederà di pari passo, qui come nell’intera Europa, con la crescita delle città e delle infrastrutture territoriali innescate dalla Rivoluzione Industriale.
Presenti sin dal Medioevo, mulini e fornaci sono fra le due attività manifatturiere più antiche e diffuse, volte a soddisfare i bisogni primari del nutrirsi e dell’abitare. Rappresentavano pertanto i poli emergenti delle secolari economie di autoconsumo delle comunità locali. A partire dall’età risorgimentale saranno soggetti a una evoluzione senza precedenti, che ne trasferirà l’operato da un ambito artigianale ad un contesto già industriale.
Cavour assegna il ruolo trainante di questa evoluzione alla ferrovia, vettore ad un tempo di modernizzazione e di diffusione capillare della nuova tecnologia.
Partendo dalla storia del Mulino Nuovo di Settimo Torinese (sede del nostro ecomuseo), di cui abbiamo già avuto occasione di scrivere, in questa sede andremo ad approfondire il caso studio del Molino Peila di Valperga. Quest’ultimo è uno degli esempi fra i molti (in parte purtroppo scomparsi) che rientrano nel nostro itinerario conoscitivo del passato industriale fra Settimo e il Canavese.
Allo stato attuale delle ricerche nessun documento ufficiale ci consente di datare con precisione l’anno di fondazione del mulino di frazione Gallenca (poi Peila). Si sa, tuttavia, trattarsi di un cosiddetto «mulino nuovo»: vale a dire un impianto molitorio costruito a seguito di una legge del 1851 del regno Sardo, che aboliva gli antichi privilegi feudali (chiamati «bannalità») per la costruzione e l’esercizio dei mulini.
La famiglia Peila verso la metà del Novecento. Domenico Peila, già mugnaio in Rivarolo, acquistò il molino di Gallenca nel 1924. Da allora l’attività – poi passata ai figli Benedetto, Fiorenzo e Giuseppe negli anni Sessanta – si è sempre potenziata.
È possibile che già in quell’anno il Consortile del Valpergato ponga mano alla sua costruzione. Di certo si sa invece che il 15 febbraio del 1857 il mulino viene acquistato dalla Comunità di Valperga. Posto all’incanto sin dal 1876, nel febbraio dell’anno successivo viene venduto, con tutte le sue pertinenze, a Domenico Negri e figli. In quell’epoca la forza motrice è assicurata da tre ruote in legno, in seguito sostituite da un’unica potente ruota Poncelet in ferro.
Nel 1905 il mulino passa dagli eredi Negri ad una società costituita dai cugini Battista Peradotto e Teresa Ozzelli, commercianti, già proprietari di una conceria di «pelli greggie e rifinite» in Valperga. La società Peradotto cederà il mulino nel luglio 1916 alla ditta meccanica Battista Bertoldo. Rifondata come società Data, quest’ultima venderà a sua volta l’impianto alla famiglia Peila otto anni più tardi.
I coniugi Domenico Peila, originario di Rivarolo, e Teresa Serena-Guinzio, originaria di Salassa, già mugnai in Rivarolo, acquistano il mulino nell’aprile del 1924. L’impianto è costituito da due palmenti per il grano e uno per il mais, ancora azionati dalla ruota Poncelet.
A seguito dell’acquisto, la nuova proprietà inizia gradualmente una serie di ingrandimenti del plesso cui si affiancherà, ben presto, un’officina idroelettrica. È del 1926, infatti, la stipula di un contratto fra il Peila e il comune di Valperga per l’illuminazione pubblica e privata della frazione Gallenca. Nel 1938 il cavalier Aldo Perolo subentrò definitivamente al Peila nella fornitura di elettricità al Comune.
L’anno successivo la ruota Poncelet viene sostituita da una più efficiente turbina Francis, a cui ne seguirà una seconda due anni più tardi; contestualmente a questo implemento di potenza, vengono introdotti i primi laminatoi a cilindri per la macinazione del frumento ad uso alimentare.
Nel novembre del 1948 Benedetto Peila subentra al padre Domenico nell’esercizio del mulino. Sino alla metà degli anni Sessanta del ’900 l’impianto ha una potenzialità di macinazione di circa 20 tonnellate nelle 24 ore di grano tenero, e circa 10 tonnellate di mais.
Con atto del 31 luglio 1960 i coniugi Peila vendono il mulino ai figli Benedetto, Fiorenzo e Giuseppe; tre anni dopo, nel marzo del 1963, viene costituita la società a nome collettivo «Molino f.lli Peila».
Dal 1966 inizia il graduale potenziamento tecnico/produttivo dell’impianto, che raggiungerà la capacità di macinazione di 120 tonnellate di grano nelle 24 ore e di 20 tonnellate di mais macinato al giorno. Siamo nel 1989, alla vigilia della sua radicale trasformazione in un moderno impianto per la sola macinazione del mais come cereale principale per l’alimentazione umana e l’implementazione di un nuovo impianto di estrusione per mais, soia e grano.
Dal 2007 si pone mano al secondo radicale ampliamento del plesso, tuttora in corso, per la produzione di hominy grits e di prodotti senza glutine. Attualmente vengono lavorate 250 tonnellate di mais nelle 24 ore. Secondo questo piano di sviluppo, nel 2013-14 viene realizzata, rimodernando il nucleo originario del mulino, un’ulteriore sezione di macinazione, in grado di produrre 120 tonnellate di sfarinati di mais al giorno.
La forza idraulica del mulino è assicurata, sin dalla sua fondazione, dalla roggia di Favria. Appartenuto per secoli ai signori del Consortile del Valpergato, questo corso d’acqua è ora di proprietà del Consorzio irriguo di Favria - Salassa - San Ponso.
Oggigiorno il mulino dispone, da maggio ad agosto, di una portata massima di 2200 litri/sec., mentre da settembre a maggio è compresa tra i 1700 e 1849 litri/sec. La nuova centrale idroelettrica attualmente in corso di costruzione sarà in grado di erogare oltre 54 kilowatt di potenza mediante lo sfruttamento di un salto d’acqua di 3 metri. L’utilizzo di questa nuova centrale, appartenente alla fascia cosiddetta mini-hydro (per potenze sino a 1000 kilowatt annui), rientra negli standard più avanzati dettati dalla regione Piemonte sin dal 2008, volti all’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili.
La roggia venne realizzata nel 1376, in una breve pausa fra il divampare delle guerre canavesane (1339-1391), resa possibile da un accordo fra i conti di Valperga, di parte ghibellina, e i consignori di Favria, legati agli antagonisti San Martino, di fede guelfa.
Lo scavo venne finanziato per la sua quasi totalità dai Valperga, che si assunsero altresì gli oneri per il rimborso dei fondi occupati dall’intero corso d’acqua; per la restante parte la costruzione fu assicurata dalla comunità di Favria. Ad opera ultimata, il tracciato complessivo risultava di poco superiore ai 19 chilometri.
Il tracciato del canale subì due importanti devastazioni, ad opera dell’Orco, nel 1654 e nel 1756. In entrambe le circostanze si rese necessaria la ricostruzione del suo tratto iniziale, che risultò attestato più a valle dell’originario. Tuttavia, l’intervento che mutò radicalmente il secolare assetto idraulico del canale doveva realizzarsi più tardi, con la costruzione dell’imponente complesso delle Manifatture di Cuorgnè. Il fabbisogno idraulico dello stabilimento, nonché la gestione aggressiva della sua dirigenza sul territorio circostante, primo esempio di conduzione capitalistica mai apparsa in zona, costituirono un elemento che ben presto si scontrò con l’arretrata economia di auto-sussistenza locale.
Nel 1872-73, di concerto con le comunità di Cuorgnè, Favria, Salassa e San Ponso, le Manifatture riplasmarono la quasi totalità dell’antico canale, ripartendolo in due parti distinte. Quella superiore, di esclusiva spettanza dell’azienda, veniva compresa fra le dighe di presa sull’Orco e il canale restitutore delle Manifatture, mediante cui le acque venivano nuovamente rilasciate nel fiume.
Il tracciato inferiore, identificabile con la nuova roggia di Favria, aveva pertanto origine dal suddetto canale restitutore, tuttora utilizzato. Questo tracciato scorre al piede della terrazza fluviale su cui si ergono le Manifatture e rientra nel restante alveo originario immediatamente a valle di queste.
In epoca notevolmente più tarda, nel 1923-24, le due dighe di presa provvisorie sull’Orco, costituite da sbarramenti liberi in ciottoli di fiume, vennero sostituite da una diga tracimante fissa, realizzata in cemento armato.
Nella parte del tracciato a valle delle Manifatture, e sino al Molino Peila, appare evidente dalla sua sinuosità e dal suo andamento parallelo all’asta fluviale, come la roggia di Favria sia stata tracciata utilizzando in gran parte alvei abbandonati dell’Orco che hanno inciso nell’ultimo millennio la sua conoide di deiezione.
Nota.
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