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27 Settembre 2025 - 01:32
Ivrea-Mombarone, si parte: traguardo spostato a Curata
Oggi Ivrea si sveglia con il cuore che batte forte. Non è un giorno qualunque, perché torna la corsa che più di ogni altra racconta il legame viscerale tra la città e la sua montagna: la Ivrea-Mombarone. Da quasi mezzo secolo questa gara rappresenta molto più di un evento sportivo: è un rito collettivo, un appuntamento che scandisce le stagioni, un simbolo che unisce generazioni.
Quest’anno, però, la natura ha scelto di ricordare a tutti chi comanda davvero. La neve caduta nella notte ha imbiancato la parte alta del percorso, rendendo impraticabile il tratto finale. Per ragioni di sicurezza, il traguardo non sarà più la vetta a 2.371 metri, ma Curata, a quota 1.700 metri, dopo 16,8 chilometri di ascesa senza tregua. Una scelta obbligata che non intacca il fascino della corsa, anzi lo amplifica: la montagna impone rispetto, e chi corre oggi sa che la sfida resta intatta, solo diversa.
La partenza è la stessa, nella storica Piazza Ottinetti. Da lì si imbocca la via della fatica: si sale verso Bienca, ci si arrampica tra i boschi fino a San Giacomo, si attraversano gli alpeggi e le mulattiere di Pinalba. Ogni tratto del percorso è impregnato di memoria. Lungo la strada ci saranno i volti dei volontari, gli applausi dei tifosi, gli sguardi dei familiari che spingono con la voce chi è piegato dalla salita. È questa coralità che fa della Momba non solo una corsa, ma un evento dell’anima.
Il 2024 è ancora negli occhi degli appassionati. In quell’edizione il keniano Paul Machoka ha riscritto la storia, imponendosi con un tempo straordinario di 1h53’32”, nuovo record della manifestazione. Dietro di lui è arrivato un mito della corsa in montagna, Xavier Chevrier, capace di fermare il cronometro sotto le due ore (1h57’14”), seguito da Mattia Bertoncini in 2h02’06”. In campo femminile, la protagonista assoluta è stata Fabiola Conti, al traguardo in 2h21’02”, davanti a Gloria Giudici e alla keniana Lucy Murigi, due nomi che da anni calcano le scene internazionali. Sono stati risultati che hanno consacrato la Ivrea-Mombarone come una delle gare più prestigiose del calendario, capace di attirare campioni da tutto il mondo.
Eppure, al di là dei vincitori, il fascino di questa corsa sta nel suo carattere inclusivo. L’albo d’oro è ricco di nomi prestigiosi – da Enzo Mersi a Chiara Giovando, da Massimo Farcoz a Rolando Piana – ma la vera gloria è quella di chi, senza cronometri da inseguire, si mette in gioco per arrivare fino in fondo. Ogni concorrente porta con sé una storia, un sogno, una sfida personale. E alla fine, al traguardo, non conta chi ha vinto o chi ha impiegato più tempo: conta aver affrontato la montagna e averla rispettata.
Curata, quest’anno, diventa il simbolo di tutto questo. Non è la cima, ma rappresenta la stessa emozione. Perché il significato profondo della Ivrea-Mombarone non sta nei metri che separano dalla vetta, ma nei battiti che accompagnano ogni passo. Oggi chi arriverà a Curata, sfinito e felice, saprà di aver scritto una pagina unica della propria vita sportiva.
Ivrea, intanto, seguirà i suoi eroi. La città vive la gara come una festa popolare: bar e piazze che parlano solo di tempi e di passaggi, famiglie che si spostano lungo il percorso per incitare i propri cari, volontari che presidiano i ristori, medici e soccorritori pronti a intervenire. È un mosaico di energie che si compone ogni anno e che rende la Momba non solo un evento sportivo, ma un patrimonio culturale.
E allora, poco importa se la neve ha spostato il traguardo più in basso. La montagna ha ricordato che non si può sempre comandare, che non sempre si può arrivare fino in cima. Ma chi oggi affronterà quei 16,8 chilometri, chi si misurerà con i 1.700 metri di dislivello, chi lotterà contro la fatica e le proprie paure, saprà di aver vissuto la vera essenza della Momba.
Alla fine, il Mombarone resterà lì, imponente, a guardare dall’alto i suoi corridori. E loro, che oggi si fermeranno a Curata, sapranno che la montagna non si conquista mai: si rispetta, si onora, si vive. E che ogni volta che si corre la Ivrea-Mombarone, sia fino alla vetta o fino a Curata, si tocca comunque il cielo con un dito.
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