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26 Settembre 2025 - 16:35
“Per sapere quanti soldati russi sono morti in Ucraina non basta contare le lapidi”. Non è un titolo come gli altri, ma un manifesto di metodo. Con questa frase Mediazona apre la sua pagina speciale, un bollettino che aggiorna senza sosta e che è diventato la cronaca corale delle perdite russe. Da oltre due anni, la testata indipendente fondata da Marija Alechina e Nadežda Tolokonnikova, due delle Pussy Riot, insieme al giornalista Sergej Smirnov, ricostruisce ciò che il potere vorrebbe tenere nascosto. Con la collaborazione della BBC Russia e di una rete di volontari, i giornalisti raccolgono ogni indizio disponibile: necrologi di provincia, fotografie di tombe, dichiarazioni di governatori locali, messaggi di parenti e amici sui social.
Questo censimento “dal basso” ha reso visibile un esercito di nomi. Ad oggi, la testata russa Verstka conta 132.615 morti identificati con nome e cognome. Il quotidiano ucraino Babel parlava di 122.883 solo qualche settimana prima. Cifre in continua crescita, che non restituiscono però la totalità, perché molti caduti restano invisibili. Per colmare questo vuoto è stata decisiva l’analisi dell’eccesso di mortalità maschile registrato dal Probate Registry, l’Ufficio russo delle successioni. Incrociando quei dati con le statistiche storiche, Meduza e Mediazona hanno stimato che i morti reali sarebbero oltre 200.000, fino a 219.000. “Il 2024 è stato l’anno più sanguinoso dall’inizio della guerra”, scriveva Meduza nel reportage del 29 agosto.
Dietro le cifre si disegnano i volti di chi è stato spedito al fronte. Secondo l’analisi della BBC e di Mediazona, circa un terzo dei caduti sono volontari arruolatisi dopo l’invasione, il 14% proviene dalle carceri, mentre solo l’11% appartiene alla categoria dei mobilitati. I numeri raccontano anche la decimazione del corpo ufficiali: più di 5.000 comandanti, tra cui dodici generali e oltre cinquecento colonnelli e tenenti colonnelli.
Il contrasto con i dati ufficiali è clamoroso. L’unico numero dichiarato apertamente da Mosca risale al 21 settembre 2022, quando il ministro della Difesa Sergej Šojgu parlò di 5.937 caduti russi. Da allora, più nulla. Una cifra congelata che stride con i bollettini quotidiani delle comunità locali, che annunciano morti a ritmo costante.
Se la Russia nasconde, l’Ucraina dosa. Per mesi Kiev ha mantenuto il silenzio sui propri caduti, fino a quando, il 25 febbraio 2024, il presidente Vladimir Zelenskij dichiarò pubblicamente: “Trentunmila soldati ucraini sono stati uccisi dall’inizio dell’invasione russa. Non 300.000, non 150.000, come affermano Putin e la sua cerchia di bugiardi. Ma comunque, ognuna di queste perdite è un dolore tremendo”. Parole riprese immediatamente dalle agenzie di stampa internazionali. Nel febbraio 2025, in una nuova intervista, Zelenskij ha aggiornato il bilancio: “Oltre 46.000 caduti”,come riportato da Ukrainska Pravda.
Parallelamente, lo stesso portale diffonde in tempo reale le perdite russe. Oggi, ad esempio, il conteggio parlava di oltre 1,1 milioni di militari russi uccisi dall’inizio dell’invasione, insieme a più di 11.200 carri armati, 23.000 veicoli corazzati, 62.000 mezzi logistici e oltre 63.000 droni abbattuti. Una narrazione quotidiana che non riguarda i caduti ucraini, ma serve a rafforzare l’immagine della resistenza e a controbilanciare la propaganda di Mosca.
Quanto alle perdite ucraine, le stime indipendenti raccontano di numeri molto più alti.
The Economist, in un’inchiesta del novembre 2024, indicava tra 60.000 e 100.000 soldati ucraini uccisi, con circa 400.000 feriti gravi. The Kyiv Independent aggiunse che “quasi 380.000 feriti, decine di migliaia di dispersi o prigionieri”. E il numero dei dispersi è sempre in crescendo. Secondo Reuters, a metà settembre 2025 oltre 70.000 ucraini risultano irreperibili, mentre i laboratori forensi hanno ricevuto più di 7.000 corpi in decomposizione o frammentati dall’inizio dell’estate. Per fronteggiare l’emergenza, il ministero dell’Interno ha dovuto mobilitare venti laboratori e 450 esperti di DNA con identificazioni che spesso richiedono fino a trenta confronti genetici.
La tragedia non riguarda solo i soldati. La Missione ONU per i diritti umani in Ucraina (HRMMU), nel bollettino del 13 agosto 2025, ha dichiarato che luglio è stato “il mese più sanguinoso dal maggio 2022”, con 286 civili uccisi e 1.388 feriti. Due settimane dopo, il 28 agosto, l’ONU ha aggiornato il bilancio complessivo: «Almeno 13.883 civili uccisi e 35.548 feriti dall’inizio dell’invasione russa», precisando che i numeri reali sono sicuramente più alti.
In questo scenario, la propaganda si muove con due strategie opposte. Mosca minimizza le proprie perdite e gonfia quelle ucraine. A fine agosto 2025 i media filogovernativi, fra cui Izvestia, hanno rilanciato un presunto “leak” del gruppo di hacker russi Killnet: “1,7 milioni di ucraini uccisi o dispersi”. Il Center for Countering Disinformation di Kiev ha definito la cifra “una fake assolutamente assurda”, ricordando che Zelenskij aveva parlato di 880.000 militari in servizio attivo: un numero che rende impossibile l’ipotesi. Anche Euronews e i fact-checker internazionali di Snopes hanno confermato che non esistono prove di un simile furto di dati.
Kiev, al contrario, adotta la linea del riserbo: poche cifre, dichiarate quasi sempre dal presidente, per non fornire informazioni utili al nemico. È una strategia che tutela la sicurezza operativa, ma lascia spazio a speculazioni e sovrastime.
Il quadro che emerge da fonti indipendenti è coerente e drammatico: i caduti russi sono almeno 133.000 nominativi, ma probabilmente oltre 200.000 secondo le stime statistiche; i caduti ucraini sono 46.000 ufficiali, ma realisticamente compresi tra 60.000 e 100.000. Le perdite civili superano i 13.800 morti, ma le Nazioni Unite avvertono che il numero reale è molto più alto.
La distanza tra i numeri ufficiali e quelli stimati rivela una verità centrale della guerra: non si combatte solo sul campo, ma anche sul terreno della narrazione. Mosca, riducendo i propri caduti a meno di seimila e attribuendo all’Ucraina cifre astronomiche, non fornisce semplicemente statistiche: costruisce un’immagine di forza e di vittoria, indispensabile per sostenere il fronte interno. Kiev, invece, parla quasi soltamtp attraverso la voce del presidente e con dati parziali. È una scelta comprensibile, pensata per non incrinare il morale nazionale, ma che allo stesso tempo espone il Paese agli attacchi informativi del Cremlino.
In questo gioco di specchi, ciò che manca sono i volti e i nomi. Senza necrologi, senza statistiche demografiche, senza storie personali, restano soltanto i numeri della propaganda. È qui che entra in campo il lavoro dei giornalisti indipendenti: perché se è vero che “non basta contare le lapidi”, come scriveva Mediazona, è altrettanto vero che senza questo lavoro minuzioso non resterebbe che il silenzio.
Ed è proprio in quel silenzio che la guerra, da entrambe le parti, tenta di occultare la sua verità più crudele: dietro ogni cifra c’è una vita spezzata, un dolore che nessun numero potrà mai restituire.
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