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Torino
24 Settembre 2025 - 23:06
L'assessore Federico Riboldi
Maglia nera del Nord Italia, e non perché il Piemonte abbia avuto una brutta giornata. No, qui si tratta di costanza: la Regione si è guadagnata sul campo – anzi, sui cantieri mai finiti – una bella insufficienza nel completamento della riorganizzazione della sanità territoriale finanziata con i fondi del PNRR. Un primato che sa di testardaggine: mai troppo avanti, mai troppo indietro, sempre perfettamente allineati alla (bassa) media nazionale. Una media che, se fosse un voto a scuola, non arriverebbe nemmeno al cinque. Ma non disperiamo: la consolazione è che altrove va pure peggio. Una specie di campionato dell’inefficienza, dove vince chi riesce a fare meno.
I numeri parlano chiaro. L’unico dato che non fa arrossire è quello delle Centrali Operative Territoriali (COT): 43 su 43 attivate. Bravi, applausi. Ma basta guardare la riga sotto, quella nazionale: 638 COT su 651 già pronte. Insomma, non un risultato straordinario, solo il compitino fatto bene, come chi porta a casa la sufficienza copiando dal libro.
E poi arrivano i dolori. Gli Ospedali di Comunità in Piemonte dovevano essere 30. Oggi? Ne risulta “attivo” soltanto uno, quello di Nizza Monferrato, ma aperto in via provvisoria, in attesa che la sede definitiva ad Asti si materializzi. Più che un ospedale, un alibi. Nei report AGENAS di fine 2024, la voce resta a zero: zero posti letto attivi, zero strutture realmente operative. Una riforma che sulla carta c’è, ma nella realtà sembra un’operazione fantasma.
Ancora più sconfortante la situazione delle Case della Comunità, cuore della riforma, fulcro della sanità territoriale. In Piemonte erano previste 96 strutture. Oggi ne hanno aperte 31, meno di un terzo. E quante funzionano davvero? Cinque, con servizi effettivi. E soltanto una – sì, una – ha personale medico e infermieristico completo. Un dato che sembra una barzelletta, se non fosse tragico. Ed è un problema nazionale: meno del 3% delle Case della Comunità italiane può dirsi pienamente operativa. Una rivoluzione sanitaria che, più che cambiare il sistema, ha aggiunto qualche nastro da tagliare e tante sale d’attesa vuote.
Il paradosso è che i soldi ci sono. La Regione Piemonte ha avuto a disposizione oltre 524 milioni di euro, già ripartiti tra le ASL con una delibera del 2022. Una pioggia di denaro che doveva trasformarsi in strutture moderne, personale assunto, servizi diffusi. E invece? A giudicare dai numeri, il cittadino medio non si è accorto di nulla. Anzi, continua a passare le ore nei pronto soccorso sovraffollati, mentre le tanto sbandierate Case di Comunità restano più un’idea che un servizio.
L’unico settore in cui il Piemonte riesce a sventolare una bandierina è quello digitale. Il Fascicolo Sanitario Elettronico funziona meglio che altrove. Peccato che i file non curino nessuno. Si clicca di più, certo, ma si cura di meno. Un clic in più, non un infermiere in più. Un po’ poco per dire che la sanità territoriale è stata riorganizzata.
Dal Grattacielo della Regione, intanto, arrivano le rassicurazioni. L’assessore alla Sanità Federico Riboldi ripete che “non perderemo i fondi europei”. E i ritardi? Colpa della Soprintendenza, che blocca i recuperi degli edifici più vecchi di 70 anni. Una scusa che fa sorridere: davvero qualcuno non sapeva che in Piemonte gli edifici storici sono la norma? La verità è che il piano si è avvitato su se stesso, tra vincoli, burocrazia e soprattutto carenza di personale. Perché puoi anche costruire mille strutture, ma se non hai medici e infermieri da metterci dentro, restano scatole vuote.
E mentre i cittadini aspettano, il calendario corre. Entro giugno 2026 – dicono – sarà raggiunto il target del 75% di avanzamento dei cantieri, sufficiente a tenere stretti i fondi. Ma per l’effettiva operatività si vedrà. È sempre lo stesso copione: i soldi ci sono, i cantieri pure, le inaugurazioni non mancano. L’unica cosa che non si vede sono i servizi.
Il Piemonte ha centrato l’obiettivo: 43 COT su 43. Che trionfo. Non sappiamo bene cosa siano le COT, ma ci fidiamo: ci sono. Le hanno attivate tutte. Però su Ospedali e Case di Comunità va così così: su 30 ospedali ne funziona uno, e pure provvisorio; su 96 case ne gira una sola con medici e infermieri al completo.
E intanto l’assessore Riboldi ci rassicura: i fondi non si perdono. Ah beh, allora siamo apposto. Magari non ci saranno medici, ma i soldi ci sono, e i soldi sono importanti. Anche più della salute, che tanto se stai male c’è sempre il pronto soccorso, l’unico servizio di comunità che funziona davvero, anche se dopo otto ore di attesa ti viene voglia di farti ricoverare solo per riposare.
Poi la colpa, si sa, è della Soprintendenza, che non lascia toccare gli edifici storici. Perché il Piemonte è pieno di palazzi vecchi, mica come la Lombardia, che ha solo grattacieli freschi di vernice. Così i cantieri si fermano, le inaugurazioni si rimandano, e le Case di Comunità restano case… ma senza comunità.
La morale? La sanità piemontese corre come la lumaca, ma lo fa con una coerenza invidiabile: mai troppo avanti, mai troppo indietro. Sempre lì, in mezzo al mucchio, con passo lento e costante, quel passo che non porta da nessuna parte ma almeno evita di distinguersi. Il che, a ben vedere, è già una strategia: se tutti vanno piano, nessuno arriva ultimo. E così il Piemonte resta in gara nel campionato nazionale dell’inefficienza: non vince mai, ma non perde mai....
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