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Carnevale di Ivrea, dalla beffa al riscatto: arrivano 75 mila euro. Un grazie all'assessore regionale Andrea Tronzano

Dopo le polemiche e le denunce sul trattamento riservato alla manifestazione eporediese, la Regione stanzia un contributo adeguato. Ma restano aperte le questioni storiche e le disparità con altri carnevali piemontesi

Carnevale di Ivrea, dalla beffa al riscatto: arrivano 75 mila euro. Un grazie all'assessore regionale Andrea Tronzano

In foto: il sindaco, il consigliere regionale Avetta e il presidente della Regione Alberto Cirio

Evviva, evviva. Dopo il “nostro” (e solo nostro) martellamento dello scorso anno, la Regione Piemonte, attraverso la Direzione Coordinamento Politiche e Fondi Europei – Settore Comunicazione, Ufficio Stampa, Relazioni Esterne e URP, ha disposto l’ammissione al contributo e l’assegnazione di 75.000 euro a favore della Fondazione dello Storico Carnevale di Ivrea.

“Accogliamo con grande soddisfazione questo contributo che riconosce non solo l’importanza storica e culturale dello Storico Carnevale di Ivrea, ma anche l’impegno quotidiano che mettiamo nella sua organizzazione. Queste risorse ci permetteranno di consolidare le diverse attività intraprese con le Componenti e di poter attivare nuovi progetti necessari a far crescere ulteriormente la manifestazione e dare ulteriori risorse per la promozione dell’evento su scala nazionale e internazionale” – afferma Alberto Alma, Presidente della Fondazione. “Ringrazio la Regione Piemonte per la fiducia: continueremo a lavorare con passione, insieme a tutti i soggetti coinvolti, affinché anche l'edizione 2026 sia all’altezza delle aspettative di un grande evento e contribuisca a rafforzare il valore culturale e turistico della Città di Ivrea.”

“Ringraziamo la Regione Piemonte per aver riconosciuto ufficialmente l’alto valore della nostra Città e di uno degli elementi che contribuiscono a rendere Ivrea famosa e riconoscibile a livello internazionale” – dichiara Matteo Chiantore, Sindaco della Città di Ivrea. “Negli ultimi due anni, a partire dalla significativa presenza del Presidente della Regione Piemonte e proseguendo con la partecipazione dei Consoli Generali, rappresentanti di numerosi Paesi del mondo, l’attenzione rivolta alla nostra manifestazione si è rinsaldata e rafforzata. Questo interesse crescente ha evidenziato non solo il valore culturale e storico dell’evento, ma anche il suo ruolo strategico nel promuovere l’immagine e le eccellenze della nostra comunità.”

Per la verità, sia il primo che il secondo, lo scorso anno, di fronte alle polemiche di questo giornale e degli storici che di Carnevale si occupano, se n’erano stati zitti, muti muti, mogi mogi...

Zitti e immobili di fronte a quella delibera sui contributi del 2024 che assegnava 37.500 euro per il Carnevale di Borgosesia, 35.000 per quello di Santhià e… 16.941 euro per Ivrea. Una cifra ridicola di fronte ai 200.000 euro che si spendono per le arance o agli oltre 500.000 euro complessivi.

Incredibile ma vero, Ivrea aveva ricevuto appena un po’ più dei 10.000 euro destinati agli Spazzacamini per la loro “pulitura dei camini” e persino meno dei 35.000 euro assegnati agli Asini di Alba.

Era come se la Regione non avesse visto – o non avesse voluto vedere – la portata di questa manifestazione, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva dichiarato di rilevanza internazionale già il 27 settembre del 1956, come indicato nel documento protocollo n. 02999/894.

La disparità era lampante, ma forse la responsabilità non era tutta regionale.

“La verità – scrivevamo – è che sembra giunta l'ora di una gran bella ‘rivolta’ politica. La potrebbe guidare il consigliere regionale Alberto Avetta con un’interpellanza al Governatore Alberto Cirio e all’assessore Andrea Tronzano, specificando quanto sia inaccettabile trattare Ivrea come un evento di contorno e non invece come uno dei simboli più rappresentativi della cultura piemontese nel mondo, come il Palio di Siena per la Toscana: un richiamo che porta turisti, investimenti e visibilità. Anche il consiglio comunale dovrebbe prendere posizione, obbligando il sindaco Matteo Chiantore a fare pressione e a pretendere per Ivrea il rispetto che merita, anche perché non è sempre stato così, o meglio fino a quando ha governato il centrodestra il contributo della Giunta regionale è stato di 50.000 euro, che non sono tanti, ma neanche pochini...”

Da qui in avanti è successo ciò che era naturale succedesse. Avetta presenta un Ordine del giorno a sostegno del Carnevale di Ivrea e il 26 febbraio del 2025 una maggioranza trasversale in Consiglio Regionale del Piemonte lo approva. Evviva!

«Ho chiesto di ricomprendere il Carnevale di Ivrea tra i grandi eventi della Regione Piemonte, assicurando i finanziamenti adeguati, rappresenta una bellissima notizia. Non siamo in presenza di una manifestazione folkloristica locale ma di un vero e proprio appuntamento internazionale, con importanti ricadute sull’economia locale, che ha dietro di sé una grande macchina organizzativa, con tanti addetti, migliaia di volontari e una mobilitazione imponente delle forze dell’ordine. Evidentemente tutto ciò comporta anche dei costi rilevanti che la Città di Ivrea sostiene in gran parte. La Regione Piemonte non può sottrarsi a fare la sua parte e la drastica riduzione del finanziamento a 15.000 euro dello scorso anno era del tutto ingiustificata. Il Presidente Cirio conosce bene il Carnevale di Ivrea, lo scorso anno è venuto anche lui a tirare le arance e credo non mancherà neppure quest’anno...» – commentava Avetta.

Andrea Tronzano

Andrea Tronzano

Insomma, la rivolta c’era stata. Non di Alma, che non si muove neanche con le cannonate, non del sindaco (che si muove a tentoni cercando di non infastidire nessuno), ma di Avetta. S’era mosso subito con un’interrogazione e a rispondergli era stato l’assessore regionale Alberto Tronzano, che, a questo punto, è l’unico da ringraziare. Grazie Tronzano....

Finito qui? No. Ci sono anche i contributi del governo, che sono decisamente più consistenti.

Tutto starà nel capire quando è nato il Carnevale di Ivrea. Nel 1808, com’era riportato fino a qualche mese fa sul sito della Fondazione dello Storico Carnevale, o molto, molto prima?

La questione era approdata anche in Consiglio. Tutto scritto in una mozione firmata da Barbara Manucci (PD), Andrea Gaudino (Laboratorio Civico) e Vanessa Vidano. Obiettivo dichiarato: incaricare professionisti e storici del territorio, anche attraverso il coinvolgimento delle università e della Fondazione dello Storico Carnevale di Ivrea, al fine di iniziare la ricerca dei documenti necessari all’individuazione della corretta collocazione storica della manifestazione.

Il problema non è di lana caprina, considerando che, in base alla “storicità”, si assegnano contributi statali significativi. Per esempio, al Carnevale di Santhià, che dice di avere più di 600 anni di storia, il Governo ha bonificato per il 2024 la bellezza di 191.000 euro; a Ivrea, che diceva di averne poco più di 200, appena 58.181 euro.

Anche di questo avevamo parlato nei mesi scorsi – e pure tanto – a fronte di un bando del Ministero della Cultura che guarda ai Carnevali suddivisi per fasce: oltre 600 anni, tra 500 e 599 anni, e infine dai 25 ai 499 anni.

Da qui in avanti ci si è interrogati su questa disparità: è davvero possibile che il Carnevale di Santhià possa vantare una tradizione più radicata o autentica di quella eporediese?

Chiaro a tutti che 191.000 euro sono molti di più di 58.000 e che alla Fondazione dello Storico Carnevale di Ivrea, costantemente con il cappello in mano, farebbero comodo.

Chiaro a tutti che ad un certo punto lo si era datato 1808, per insufficiente materiale documentale che ne attestasse la corretta collocazione temporale, più verosimilmente perché è di quell’anno la prima trascrizione di una cerimonia nei “Libri dei Processi Verbali”.

Diciamo che chi ha gestito le richieste di contribuzione fino ad oggi, cioè la Fondazione, non se n’è mai preoccupata quanto avrebbe dovuto: per incapacità, per pressappochismo, per disinteresse, perché tanto poi alla fine la festa si fa e i soldi ce li mette il Comune...

E si potrebbe ripartire da un libro: “Dalla paura alla vanità. Storia del Carnevale di Ivrea”. È del 2020, scritto da Danilo Zaia che, in quest'occasione, s’era confrontato con Franco Quaccia, Gabriella Gianotti e Giansavino Pene Vidari.

Il testo fa il punto degli odierni studi storici sul Carnevale eporediese e ha riscosso un notevole successo, vendendo quasi un migliaio di copie. Cifra notevole, considerando che si tratta di un testo scientifico e non del solito raccontino.

 Franco Quaccia, Gabriella Gianotti, Giansavino Pene Vidari e Francesco Gioana

 Franco Quaccia, Gabriella Gianotti, Giansavino Pene Vidari e Francesco Gioana

“Negli statuti comunali della città di Ivrea del 1433 vengono descritte le mascherate che si tenevano nei giorni di San Nicola e Sant'Ambrogio (6-7 dicembre) e di Santa Caterina (29 aprile)” – spiegava Danilo Zaia. “Ma le cavalcate pazze compiute dai giovani eporediesi in questi giorni erano già attestate nel XIII secolo.”

“Il problema risiede nella natura multiforme della festa. Se alcune località sostengono di festeggiare ininterrottamente il Carnevale da più di seicento anni, raccontano una favola. Come sostiene l'odierna antropologia, tutta la festa ha subito notevoli trasformazioni, prendendo il nome di Carnevale (in tutta Italia e anche in Piemonte) solo durante il XVI secolo. Questo è segno di un cambiamento culturale che attestava il prendere sopravvento delle classi nobiliari e del clero su quelle che, fino a quel momento, erano chiamate semplicemente mascherate e che, in molti paesi di montagna, continuano a chiamarsi così tutt'oggi. Dalle feste di San Nicola si svilupparono le badie, l'odierno Stato Maggiore, gli Abbà e il Generale; da Santa Caterina una parte di quella figura che chiamiamo Mugnaia. Tutto questo è rigorosamente datato e documentato.”

Insomma, tutta un’altra storia. E Ivrea potrebbe celebrare e farsi riconoscere dal Ministero ben di più di quanto non riceva oggi.

In consiglio comunale su questo argomento s'erano presi degli impegni precisi. Su tutte l'Istituzione di una commissione di storici per raccogliere tutta la documentazione necessaria ad avvalorare la tesi sulla storicità del Carnevale di Ivrea. Se ne sarebbe dovuta occupare la Fondazione. La domanda è: a che punto siamo?

I contributi del Ministero della cultura

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Il Carnevale più antico d'italia qual è?

Qual è il Carnevale più antico d’Italia? La domanda, che potrebbe sembrare banale, apre invece un vero e proprio vaso di Pandora. Tra i più longevi spiccano quello di Fano e quello di Santhià, entrambi accreditati di oltre 600 anni di storia, seguiti dal celebre “Bacanal del Gnoco” di Verona.

Papagnocco

Papagnocco

I fagioli di Santhià

I fagioli di Santhià

E i contributi? Qui arrivano le note dolenti – o trionfali, a seconda dei punti di vista.

Verona si porta a casa una cifra che sfiora i 291 mila euro, Santhià poco più di 191 mila euro.

Ivrea, invece? Molto meno. Si colloca nel calderone generale di tutti gli altri Carnevali storici, come Viareggio, Venezia, Loano e Aliano. Alla Fondazione dello Storico Carnevale di Ivrea, guidata da Alberto Alma, per il 2024 spettano 58.181,76 euro

Ci si è interrogati nei mesi scorsi su questa disparità. La Fondazione presieduta da Alberto Alma, che organizza lo Storico Carnevale, pur ricevendo un contributo che potrebbe sembrare non irrilevante, non può che guardare con invidia ai fondi destinati a Santhià.

È davvero possibile che il Carnevale di Santhià, sebbene definito storico, possa vantare una tradizione più radicata o autentica di quella eporediese?

Le discussioni non sono nuove. Già nel 2011, Franco Quaccia e Francesco Gioana, attraverso un’indagine dai toni volutamente ironici intitolata “Specchio delle mie brame, chi è il più antico del reame?”, avevano provato a fare chiarezza sul proliferare di Carnevali italiani che si autoattribuiscono primati di anzianità. Il risultato di quella ricerca, oltre a evidenziare il carattere grottesco della competizione, aveva portato alla luce un dato inconfutabile: stabilire chi sia il più antico è, di fatto, impossibile.

La ragione risiede nella mancanza di parametri oggettivi e condivisi. Molti Carnevali italiani vantano tradizioni che affondano le radici nei secoli passati, ma le prove a sostegno di tali affermazioni sono spesso inconsistenti, quando non del tutto inventate.

Certo, è possibile risalire all’origine delle celebrazioni carnevalesche come fenomeno sociale e culturale, ma individuare quale città abbia dato vita alla prima manifestazione è una questione ben più complessa.

Il Carnevale, infatti, ha radici antiche, che risalgono all’epoca romana e ai baccanali pagani. In epoca medievale, la Chiesa trasformò queste celebrazioni, dando loro una nuova veste cristiana e collegandole al ciclo liturgico.

Da lì in avanti, ogni città ha sviluppato le proprie tradizioni, rendendo il Carnevale un fenomeno comune a gran parte dell’Europa e, in particolare, dell’Italia.

Ma chi ha cominciato per primo? Una domanda a cui non si può rispondere senza inciampare in speculazioni.

Santhià, ad esempio, si autodefinisce il Carnevale più antico del Piemonte e d’Italia. Tuttavia, questa affermazione si basa su una serie di documenti di dubbia solidità. Uno di questi sarebbe un manoscritto della prima metà del Trecento, citato da uno storico locale ma attualmente disperso, che farebbe riferimento a festività organizzate in città.

Un’altra “prova” spesso citata è una multa comminata nel 1430 a un gruppo di giovani dell’Abbadia di Santhià, colpevoli di aver portato un asino addobbato con abiti sacerdotali in chiesa.

Un atto di goliardia tipico delle celebrazioni carnevalesche, ma diffuso in molte altre località, compresa Ivrea. Ancora più discutibile è il documento del 1893, conservato dalla Pro Loco, che celebra l’“ottavo centenario” dell’Antica Società Fagiuolesca, retrodatandone l’esistenza al 1093 senza fornire alcuna prova concreta.

In questo contesto, le rivendicazioni di Santhià appaiono fragili e, per certi versi, forzate.

D’altro canto, Ivrea può vantare una peculiarità unica: dal 1808, ogni dettaglio del Carnevale è documentato in un registro ufficiale. Questo ha permesso di costruire una narrazione storica scritta che altre manifestazioni non possono eguagliare. Tuttavia, anche a Ivrea manca una ricostruzione precisa del periodo precedente a questa data. Si sa che esisteva una tradizione carnevalesca non scritta, ma gli eporediesi non sono stati altrettanto abili nel valorizzarla e comunicarla. Questo potrebbe spiegare perché, nonostante il prestigio dello Storico Carnevale di Ivrea, i contributi ministeriali siano così limitati rispetto a quelli destinati ad altre località.

La questione dei fondi solleva interrogativi più ampi sul ruolo e sul valore del Carnevale nella società contemporanea. Nato come festa popolare nel Medioevo, il Carnevale era un momento di rottura rispetto alle rigide gerarchie sociali, un’occasione in cui il mondo si capovolgeva e il popolo prendeva il sopravvento.

Con il passare dei secoli, però, la natura della festa è cambiata. Nel Settecento, con l’avvento della borghesia e della rivoluzione industriale, il Carnevale ha perso gran parte della sua carica sovversiva, trasformandosi in un evento più controllato e spettacolare. Nel Novecento, l’abbassamento del livello culturale e la crescente commercializzazione hanno ulteriormente ridimensionato il significato originario di questa celebrazione.

Oggi, i Carnevali storici rappresentano un patrimonio culturale da salvaguardare, ma anche un’occasione di riflessione.

Qual è il vero valore di una tradizione? È davvero importante stabilire chi sia il più antico, o non sarebbe più utile concentrarsi sulla capacità di ciascun Carnevale di coinvolgere la comunità e mantenere vivo lo spirito originario della festa?

Ivrea, con la sua battaglia delle arance, ha certamente trovato un modo unico per distinguersi con un coinvolgimento di oltre 10 mila persone, che non sono spettatori ma attori veri e propri.

Ma la domanda resta: bastano le arance a riportare il Carnevale eporediese sul podio delle eccellenze italiane?

Attendiamo la ricerca degli storici di cui si sarebbe dovuto occupare Alma.... Obiettivo dichiarato. Ridefinire l'inizio della più bella storia carnascialesca d'Italia...

La storia di un barone che opprimeva il popolo, finché la figlia di un mugnaio, simbolo di libertà, lo sfidò, portando alla distruzione del suo castello. 

E tutti a cantare "Una volta anticamente egli è certo che un Barone ci trattava duramente con la corda e col bastone...".

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