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Salario minimo, il Senato approva la legge delega. Opposizioni: “Una truffa ai lavoratori”

Niente soglia dei 9 euro lordi all’ora: il centrodestra affida al governo una delega di sei mesi per garantire “retribuzioni giuste”. PD, M5S e AVS denunciano un testo vuoto e propagandistico, mentre oltre 3,5 milioni di italiani restano sotto la soglia

Salario minimo, il Senato approva la legge delega. Opposizioni: “Una truffa ai lavoratori”

Giorgia Meloni

Il Senato ha approvato la legge delega sulla retribuzione dei lavoratori, una svolta voluta dal centrodestra che, però, ha suscitato proteste forti e accuse di tradimento da parte delle opposizioni. L’approvazione finale è arrivata dopo che la Commissione Affari Sociali ha bocciato tutti i 18 emendamenti dell’opposizione, inclusi quelli che insistevano per fissare un salario minimo orario di 9 euro – misura che invece è stata cancellata in sede di passaggio alla Camera. Il testo che è diventato legge non prevede più una soglia minima, ma assegna al governo il compito di definire entro sei mesi con decreti criteri, parametri e poteri concreti per assicurare “trattamenti retributivi giusti ed equi”, rafforzare la contrattazione collettiva, contrastare il dumping contrattuale e istituire controlli e monitoraggi.

Sul fronte politico, il clima è stato incandescente. Il centrodestra – con figure come Giorgia Meloni e Antonio Tajani– difende la scelta come una scelta di responsabilità: non più slogan, ma delega operativa verso una retribuzione dignitosa tramite contratti più rappresentativi. In Aula, durante il dibattito, esponenti della maggioranza hanno bollato la richiesta di un salario minimo vincolante come una forma di “socialismo reale”. Raoul Russo (FdI) ha definito il salario minimo “da socialismo reale”, mentre Micaela Biancofiore lo ha etichettato come “misura assistenzialistica”.

Le opposizioni, invece, non hanno risparmiato critiche. “Questa è una legge truffa per i lavoratori, uno strumento di propaganda totalmente privo di effetti sulle dinamiche salariali”, hanno denunciato i 5 Stelle, parlando di “fumo negli occhi utile per la campagna elettorale ma inutile per lavoratrici e lavoratori”. La segretaria del Partito DemocraticoElly Schlein, già in passato, aveva attaccato duramente la maggioranza: “Non in nostro nome. Ripiegate sugli slogan e colpite i poveri invece della povertà”. Non meno duro Giuseppe Conte, leader del M5S, che in Aula arrivò a strappare il testo: “State facendo carta straccia del salario minimo legale”.

Susanna Camusso

Susanna Camusso

La reazione di esponenti come Susanna Camusso, Sandra Zampa, Ylenia Zambito e Tito Magni di Alleanza Verdi Sinistra conferma il fronte compatto delle opposizioni: secondo loro, l’esclusione della soglia dei 9 euro e la delega al governo non offrono garanzie reali e lasciano milioni di lavoratori vulnerabili.

Non è mancato il contributo del governo. La ministra del Lavoro Marina Calderone ha spiegato che l’obiettivo è rafforzare la contrattazione collettiva e creare un sistema di controlli trasparente. La premier Giorgia Meloni ha rivendicato la strategia: “Vogliamo salari giusti, non assistenzialismo. Altri 650 milioni per la sicurezza sul lavoro e salari in crescita dimostrano che il nostro impegno è concreto”.

Intanto i numeri continuano a parlare chiaro: sono circa 3,5 milioni i lavoratori che oggi guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora. Per loro, il salario minimo avrebbe rappresentato una garanzia concreta, un argine agli stipendi da fame e ai contratti pirata. Con la legge approvata, invece, tutto resta affidato a un sistema di deleghe e controlli che per molti rischia di rimanere solo sulla carta.

Alla vigilia del voto finale, atteso tra il 23 e il 24 settembre 2025, le dichiarazioni infiammano lo scontro politico. Per la maggioranza, la legge è il primo passo verso un sistema di salari più equi. Per le opposizioni, resta invece un compromesso al ribasso, incapace di incidere davvero sulla vita di milioni di persone. Il salario minimo, al di là delle formule legislative, è diventato ormai il simbolo di due visioni opposte del Paese: da un lato chi chiede un intervento diretto dello Stato per garantire dignità al lavoro, dall’altro chi affida tutto alla contrattazione e al ruolo delle parti sociali. In gioco, più che cifre e percentuali, c’è la dignità del lavoro e la credibilità stessa della politica.

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