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23 Settembre 2025 - 06:21
L'assessore regionale Federico Riboldi alla festa del vino
Sono passati sei anni di governi regionali, annunci, conferenze stampa, promesse solenni, ma la fotografia resta sempre la stessa: per curarsi in Piemonte bisogna armarsi di pazienza, di calendario e forse anche di un pizzico di fede. Anzi, oggi va peggio di ieri. Lo dimostrano i dati raccolti in giro per gli ospedali dal vicepresidente della Commissione Sanità, Daniele Valle (PD), che raccontano una realtà paradossale, da film grottesco.
Il cittadino che si rivolge al Cup unico regionale riceve troppo spesso la stessa risposta: “non c’è posto”. Non per domani, non per il mese prossimo. Non c’è posto punto e basta. Oppure, se proprio si insiste, l’operatore del Cup ti butta lì una data che sembra presa a caso da un calendario del futuro: una visita dermatologica fissata il 23 dicembre 2026, giusto per festeggiare Natale in ambulatorio; una gastroscopia spostata a settembre 2026 al San Luigi, tanto per ricordare che lo stomaco non ha fretta; una risonanza magnetica alla colonna programmata a Rivoli nel febbraio 2026, che nel frattempo ti auguri non diventi un ricovero urgente. C’è persino chi deve accontentarsi di un’ecografia muscolotendinea a Verduno, ma solo a marzo 2026, come se la riabilitazione dei tendini potesse aspettare un paio d’anni senza problemi.
La scena non migliora spostandosi sugli esami più delicati. Per una colonscopia, ad esempio, non c’è un posto prenotabile in tutto il Piemonte. Zero assoluto. Un esame che, guarda caso, è fondamentale perché spesso porta ad altri interventi e altri accertamenti, cioè ad attività che nel privato diventano molto redditizie. Valle non lo nasconde: qui non siamo solo davanti a una carenza di slot, ma a un vero e proprio filone commerciale, che apre la strada a un business sulla pelle dei cittadini.
E se qualcuno pensa che le emergenze riguardino solo pochi esami specifici, sbaglia di grosso. Una mammografia? Al Sant’Anna ti danno appuntamento a settembre 2026. Una visita pneumologica? Dicembre 2026 al Mauriziano. Un’ecografia all’addome? Maggio 2026 a Chieri. Per un eco Tsa, che serve a controllare i tronchi sovraortici, quindi le arterie che portano sangue al cervello, l’unico spiraglio è a novembre 2025 al Don Gnocchi. Come dire: il tuo rischio di ictus può anche aspettare.
Il quadro che emerge è devastante. Eppure, in mezzo a tutto questo, l’assessore alla Sanità Federico Riboldi continua a recitare il suo copione: sorrisi, slogan, ottimismo. Secondo lui, il Piemonte è un modello da seguire. Ma per chi? Forse per i privati che ringraziano sentitamente, visto che ogni mese di attesa in più nel pubblico si traduce in un cliente in più nelle loro casse. Non certo per i cittadini, che si vedono sbattere la porta in faccia e devono scegliere tra il rischio di peggiorare la loro malattia e la certezza di alleggerire il portafoglio.
Valle, dal canto suo, non chiede miracoli. Chiede semplicemente trasparenza, chiarezza, dati reali. Vorrebbe che fosse l’assessorato a spiegare perché le aziende sanitarie stanno riducendo gli slot, perché a settembre le agende si svuotano e perché, finite le risorse per le prestazioni aggiuntive, la situazione crolla a picco. Ma dall’assessorato arriva solo silenzio. O meglio, arrivano tonnellate di propaganda, infarcite di promesse e dichiarazioni solenni che non reggono alla prova della realtà.
Ed è proprio qui che si consuma l’inganno politico. Perché mentre la gente aspetta mesi, quando non anni, per un esame salvavita, l’assessore Riboldi si concentra sulla narrazione, sull’immagine, sulle frasi ad effetto. È la politica del fumo: parlare tanto, fare poco. Trasformare la sanità in un esercizio di comunicazione, mentre negli ospedali ci si arrangia come si può e i pazienti si sentono abbandonati. La verità è che in Piemonte oggi non esiste più il diritto universale alla salute, ma soltanto la speranza di non ammalarsi prima di avere una data utile.
Alla fine resta questa fotografia impietosa: un sistema pubblico ridotto al lumicino, un assessore che preferisce sbandierare successi inesistenti e una Regione che sembra essersi rassegnata a cedere il campo al privato. La chiamano “Emergenza Piemonte Due”, ma di fatto è la stessa emergenza di sempre, peggiorata dall’indifferenza politica. Riboldi può anche continuare a raccontare che va tutto bene, ma i cittadini hanno imparato sulla propria pelle che la sua parola non vale quanto un referto. Perché quando ti dicono che il primo posto utile per una colonscopia non esiste, e che una mammografia la farai tra un anno e mezzo, capisci che la propaganda non ti cura, le promesse non guariscono, e gli annunci non salvano vite.
L’assessore alla Sanità del Piemonte, Federico Riboldi, su Facebook alza il calice e augura “buona Festa del Vino”. Sorriso largo, sole alle spalle, bicchiere di rosso che brilla. A guardarlo vien da ridere, e da pensare che per lui la sanità sia come il barolo: non si beve subito, deve invecchiare. Ecografia 2026, gastroscopia 2026, mammografia 2026. Annate pregiate, da collezione.
Ed eccolo il cittadino al Cup, trasformato in sommelier suo malgrado: “Le consiglio una dermatologica del dicembre 2026, struttura elegante, tannini robusti. O se preferisce, una risonanza di febbraio 2026, finale amarognolo, retrogusto di rinvio”. Tutti esperti di annate, non di diagnosi.
La sanità piemontese è diventata così: non un sistema sanitario, ma una degustazione a tempo. Prenoti oggi, assaggi domani, ma domani non arriva mai. Il vino scorre, le liste pure, e l’unica cosa che si riduce è la pazienza dei cittadini.
Tant’è! Riboldi sorride col calice in mano: in fondo il vino consola, la sanità no. C’è chi attende più a lungo che per un amarone. La differenza è che l’amarone almeno arriva in tavola, la visita forse no. Anzi, a furia di aspettare, si rischia di arrivarci già brilli, ma non guariti. La ciucca la fai da solo, tra rinvii, mesi, anni, telefonate.
C’è un che di poetico in questa coincidenza: la sanità piemontese è davvero un brindisi. Si alza il bicchiere, si fanno gli auguri, e si spera che vada tutto bene. Poi ci si accorge che l’esame non c’è, la visita non c’è, il posto non c’è. E resta solo il vino.
Il paradosso è perfetto: la Regione non cura, ma inebria. Non riduce le liste d’attesa, ma le annate. Non ti dà un referto, ma un’etichetta. Ed eccolo lì, l’assessore, che brinda felice. A cosa? Alla salute no, di certo. Al massimo alla pazienza dei piemontesi, che ormai hanno capito: per avere un esame, serve il fegato. Letteralmente.
Buona Festa del Vino, dice Riboldi. Cin cin. Perché in Piemonte, per curarsi, serve davvero una sbornia.
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