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Ombre su Torino

Terrore al mercato. La mente folle di un amante che non si rassegna e un duplice omicidio in mezzo alla gente

Ossessione e vendetta al mercato: a Torino un ex fidanzato perseguitato uccide la sua compagna e un collega, si arrende in poche ore e viene dichiarato parzialmente incapace.

Terrore al mercato. La mente folle di un amante che non si rassegna e un duplice omicidio in mezzo alla gente.

22 giugno 2005

Un trentenne si è appena intrufolato nel cortile dell'assessorato al Commercio di via Garibaldi 23 a Torino. Sono passate da poco le 13 e l'uomo è arrivato a bordo di uno scooter Phantom 50 azzurro. Parcheggia il motorino e, senza togliersi il casco integrale, si dirige verso le scale d'ingresso del palazzo. Dopo aver salito un paio di gradini, lascia una busta e un biglietto, per poi allontanarsi velocemente dall'edificio.

A osservare tutta la scena c'è il custode del palazzo, che si precipita a verificare cosa abbia lasciato il motociclista. La scoperta è inquietante: nella busta c'è una calibro 38 Smith & Wesson, mentre sul biglietto si fa riferimento a un regolamento di conti legato a problemi di licenze mercatali.
Per i poliziotti che raccolgono la testimonianza del custode il collegamento è immediato.

Non più di mezz'ora prima, infatti, alle Vallette, era scoppiato l'inferno.
È mercoledì e, sebbene i banchi stiano chiudendo quasi tutti, al mercato di corso Cincinnato c'è molta gente. In una delle piazzole, Maria Marando, 23 anni, e il suo compagno Fabrizio Natale, 41, stanno finendo di caricare il loro Ducato rosso. È terminata una giornata iniziata come sempre alle 6 e stanno tornando a casa col loro carico di vestiti Made in China rimasti invenduti.

All'improvviso spunta uno scooter, un Malaguti Phantom 50 azzurro. Chi lo guida, con il casco integrale, si avvicina a Maria. La conosce, le parla, la insulta. Le dice: "Adesso ti ammazzo, è finita". Estrae una 38 Smith & Wesson e la colpisce dritta al cuore, uccidendola sul colpo. Fabrizio, nel tentativo di disarmare l'aggressore, viene colpito da due proiettili all'addome.
Agonizza per qualche secondo e poi muore. Due morti, in pieno giorno, in mezzo a centinaia di testimoni.

L'uomo scompare e ai poliziotti accorsi sul posto arriva la notizia del ritrovamento in via Garibaldi. Quella che sembra un'esecuzione in stile mafioso, però, assume subito i suoi contorni reali. L'omicida, infatti, non è la prima volta che viene visto da quelle parti. Era un assiduo frequentatore di quelle bancarelle e, spesso, lo si poteva vedere proprio dove lavorava Maria, specialmente quando Fabrizio si assentava per prendere il caffè.

Il suo nome è Paolo Genco e perseguitava la vittima da tre anni. Tre anni, quelli trascorsi da quando si erano lasciati.
Maria e Paolo erano fidanzati ma non solo. Orfano dei genitori, Genco era stato sostanzialmente adottato dalla famiglia della ragazza. La loro storia d'amore dura quattro anni e quando si lasciano il giovane precipita nel baratro della disperazione. A nulla è servito aver trovato un'altra compagna, un lavoro e il conforto della terapia da uno psicologo. Tempesta l'ex di chiamate, di SMS, la segue, si apposta dove lavora. Nell'ultimo messaggio, inviatole il giorno prima della tragedia, le scrive: "Mettiti il vestito più bello, quello da sposa, che adesso vengo a prenderti e la facciamo finita".


La (non) fuga dell'uomo dura lo spazio di un pomeriggio. Viene catturato in un bar di corso Vercelli, vicino a casa, mentre è intento a bere una birra, intorno alle 19. Si arrende subito, non lotta, non tenta di scappare. Si lascia caricare sull'auto della polizia e inizia a confessare praticamente subito, in auto. Chiede se sono morti entrambi e dice di non essere scappato, ma di aver solo aspettato di vedere la notizia su un giornale prima di suicidarsi. Poi dà un macabro senso a tutta la storia: "Se Maria è morta è giusto. Sono anni che io sono morto dentro. Anni. Da quando mi ha lasciato senza un perché, senza una ragione, per me è finito tutto. Stanotte mi sono svegliato di colpo e ho capito che era arrivata l'ora di farlo. Non c'era più tempo e l'ho fatto". Paradossalmente le uniche parole di pietà sono per il rivale: "Mi dispiace solo per lui, è morto solo perché ha tentato di prendermi la pistola".

Considerato parzialmente incapace d'intendere, Paolo Genco, nel 2006, viene condannato a 20 anni di reclusione e 3 di ospedale psichiatrico. Ad oggi non si hanno altre notizie di lui.

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