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Decathlon ha chiuso in anticipo, il caso approda in Regione: che fine hanno fatto i lavoratori?

Interrogazione alla Giunta: "La Regione non può limitarsi a registrare i fatti di fronte a un territorio che si sta impoverendo"

Decathlon ha chiuso in anticipo, il caso approda in Regione: che fine hanno fatto i lavoratori?

Decathlon ha chiuso in anticipo, il caso approda in Regione: che fine hanno fatto i lavoratori?

È calato il sipario.

Domenica 14 settembre ha chiuso i battenti il Decatlhon di Venaria Reale, il punto vendita di corso Garibaldi che tre anni fa era stato accolto come un presidio commerciale e sportivo strategico per il Nord di Torino. Una serranda abbassata senza clamore, con un mese di anticipo rispetto a quanto annunciato dalla multinazionale francese, che inizialmente aveva indicato ottobre come data di chiusura. Invece la decisione è arrivata di colpo, lasciando spazio solo al cartello che invita i clienti a rivolgersi agli altri store del gruppo: Settimo, Grugliasco, il centro di Torino. Per Venaria resta soltanto il vuoto, e una ferita che si aggiunge a tante altre.

Quindici dipendenti coinvolti, quattordici che secondo l’azienda sarebbero stati ricollocati in altri punti vendita della provincia, ma senza alcuna certezza sulle condizioni contrattuali e senza una reale trattativa con i sindacati. È qui che la vicenda si fa politica, approdando nel giro di poche ore in Consiglio regionale. La consigliera del Partito Democratico Laura Pompeo ha presentato un’interrogazione a risposta immediata rivolta alla Giunta, accusando la Regione di essersi limitata a prendere atto di quanto accaduto. “La chiusura anticipata del Decatlhon di Venaria è l’ennesimo segnale di una gestione aziendale che scarica sul territorio le proprie scelte strategiche. La Regione non può limitarsi a registrare i fatti: deve agire. Vogliamo sapere quali misure concrete intenda adottare per tutelare i lavoratori e garantire una destinazione produttiva al sito commerciale dismesso”, ha dichiarato.

Laura Pompeo in Consiglio regionale

Le sue parole trovano eco nei consiglieri comunali di Venaria, sempre del PD, Rossana Schillaci, Stefano Mistroni e Raffaele Trudu. “Secondo quanto riportato dall’azienda, 14 dei 15 dipendenti sarebbero stati ricollocati. Ma non è chiaro con quali modalità, con quali garanzie e con quale coinvolgimento delle organizzazioni sindacali. La chiusura è stata anticipata di quasi due mesi rispetto alla data comunicata e questo ha privato i lavoratori di tempo prezioso per organizzarsi. La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di crisi del commercio nella cintura nord di Torino. Dopo Brandizzo e Bricocenter, anche Venaria perde un presidio occupazionale e commerciale importante. Serve un piano regionale per il rilancio del settore”.

Il colpo arriva in un territorio già provato. Prima c’era stato il Bricocenter, chiuso lasciando a casa decine di dipendenti. Prima ancora, la batosta del polo logistico di Brandizzo, smantellato in poche settimane nonostante i suoi 21.000 metri quadrati di superficie e le 32 baie di carico. Centoventicinque persone licenziate in nome della “razionalizzazione”, con un capannone oggi vuoto, monumento al fallimento di uno sviluppo che si è rivelato un’illusione. Ora la stessa dinamica si ripete a Venaria, con la stessa freddezza e lo stesso senso di impotenza.

La Regione, dal canto suo, si difende. L’assessore al Lavoro Elena Chiorino ha risposto all’interrogazione della Pompeo sostenendo che non risultano procedure di licenziamento, che non ci sono state richieste di incontro da parte dei sindacati e che l’azienda avrebbe ricollocato il personale. Una risposta giudicata insufficiente dagli esponenti PD, che hanno bollato le parole dell’assessore come “la fotocopia di quanto già detto a maggio”. Per loro, non basta constatare che quattordici lavoratori sono stati assorbiti altrove: serve verificare, accompagnare e garantire, perché “il lavoro non è una variabile accessoria: è dignità, è futuro”.

La partita è tutta qui, tra i numeri ufficiali che dicono che quasi nessuno ha perso il posto e la realtà di un territorio che vede spegnersi un presidio simbolico. Perché il Decatlhon non era solo un negozio. Era un luogo di incontro, di socialità, di sport reso accessibile a tutti. Un posto dove le famiglie trascorrevano il sabato pomeriggio, dove i ragazzini compravano il loro primo pallone o la prima racchetta. Era, in qualche modo, parte dell’identità della città. Ed è proprio questo che rende la chiusura così amara.

Il sindaco Fabio Giulivi, nei mesi scorsi, aveva parlato di sorpresa, di una decisione “inattesa che ha spiazzato tutti”. Aveva chiesto un tavolo di confronto, un incontro con la direzione, aveva promesso trasparenza. “Abbiamo appreso con grande sorpresa della chiusura. Con Decatlhon avevamo avviato progetti importanti in ambito sportivo con la città”, aveva scritto su Facebook. Oggi resta un post che sa di resa, mentre la città vede scivolare via un’altra opportunità.

Dal fronte dell’opposizione comunale, la voce di Rossana Schillaci era stata chiara fin da subito: “Il sindaco aveva presentato l’apertura del Decatlhon come un successo politico. Ora si faccia portavoce delle esigenze dei lavoratori”. Duro anche il commento del consigliere pentastellato Davide De Santis: “Ogni chiusura è un colpo all’economia cittadina. Venaria non può permettersi di assistere passivamente a questo declino. Serve un confronto vero, una strategia di rilancio”.

Eppure, mentre qui si abbassano serrande, altrove si tagliano nastri. Nel Torinese Decatlhon continua ad aprire: in corso Unione Sovietica, a Borgo Filadelfia, di fronte a Porta Nuova. Scelte che lasciano aperta una domanda che rimbalza ancora oggi senza risposta: perché Venaria no? Perché sacrificare proprio quel punto vendita che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto servire tutto il quadrante Nord di Torino? L’azienda parla di “revisione organizzativa” e di “razionalizzazione”. Formule che dicono poco e lasciano aperto il sospetto che la chiusura non sia stata dettata da dati oggettivi, ma da scelte di marketing globale scollegate dal territorio. Tant’è.

Il Consiglio regionale, intanto, diventa il palcoscenico di uno scontro politico che va oltre Venaria. Perché qui non si discute soltanto della sorte di quindici lavoratori, ma di una tendenza che riguarda tutta la cintura torinese. La desertificazione commerciale, la perdita di posti di lavoro, la sensazione di essere periferia di periferia, ignorata tanto dalle multinazionali quanto dalla politica. È su questo terreno che si gioca la partita, ed è qui che la Regione è chiamata a dimostrare se ha una strategia o se intende limitarsi, come dicono le opposizioni, a registrare i fatti.

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