Cerca

Attualità

Piano sanitario, Riboldi gioca il jolly e beffa i più fragili

Un documento da miliardi che promette innovazione e partecipazione, ma che secondo Alberto Deambrogio del Prc concentra tutte le decisioni nelle mani della Regione, lascia irrisolti i nodi delle liste d’attesa e scarica sulle famiglie il peso della non autosufficienza

Piano sanitario, Riboldi gioca il jolly e beffa i più fragili

L'assessore regionale alla sanità Federico Riboldi

Un piano che si presenta come partecipato, con tanto di audizioni e consultazioni, ma che di fatto taglia fuori amministratori locali, assemblee democratiche e cittadini. Così il segretario regionale del Partito della Rifondazione Comunista per Piemonte e Valle d’Aosta, Alberto Deambrogio, definisce la strategia sanitaria messa in campo dalla Giunta guidata dall’assessore Federico Riboldi. “Una scelta intenzionale e grave”, sottolinea Deambrogio, “perché lascia carta bianca all’esecutivo regionale e segna una condanna definitiva per chi aspetta da anni una risposta dignitosa”.

Il nodo centrale, denuncia il Prc, sta proprio nell’allontanamento dalla legge regionale 18 del 2007, che stabiliva criteri e modalità per redigere un piano socio-sanitario realmente partecipato.

L’esito? Un documento vago, privo di impegni concreti, che – dietro il paravento della consultazione – concentra nelle mani della Giunta il potere decisionale su questioni fondamentali. Eppure, parliamo di un testo che dovrebbe orientare la sanità piemontese fino al 2030, con investimenti promessi per oltre 4 miliardi di euro, dalla costruzione di nuove strutture all’ampliamento delle Case di Comunità.

Tra i punti più controversi c’è la rete ospedaliera, strutturata nel modello “hub e spoke”: pochi ospedali d’eccellenza e una costellazione di strutture minori destinate a prestazioni meno complesse. Sulla carta, un disegno moderno; nei fatti, osserva Deambrogio, nessun criterio oggettivo per decidere chi sarà hub e chi sarà spoke. Tutto rimandato alle scelte discrezionali della Giunta, che potrà decidere a piacimento quali territori avranno un ospedale di riferimento e quali dovranno accontentarsi di prestazioni ridotte.

E non va meglio con le Case di Comunità. Il piano indica dove sorgeranno, ma non spiega come saranno organizzate né con quali dotazioni di personale. In un Piemonte già alle prese con una cronica carenza di medici e infermieri, immaginare strutture senza risorse umane appare come un esercizio retorico più che un progetto di governo.

Sul fronte delle liste d’attesa, la ricetta proposta è quasi surreale. I pazienti trasformati in trottole, costretti a girare il Piemonte da un capo all’altro per ottenere una visita o un esame, affidandosi a una fantomatica “flotta” di mezzi regionali guidati da volontari. Una misura sbandierata come innovativa ma che solleva più domande che risposte: quanto costerà? Chi pagherà carburante, manutenzione, assicurazioni? Quale responsabilità avranno i volontari in caso di incidenti? “Un’idea senza conti e senza basi”, accusa Deambrogio, che ironizza su come un piano da miliardi di euro si affidi, di fatto, alla buona volontà dei cittadini per tappare i buchi del sistema pubblico.

Deambrogio

il consigliere regionale Deambrogio

Nel frattempo, il settore privato viene stabilmente riconosciuto come parte integrante dell’ecosistema, con nuovi accreditamenti pronti a decollare. Al pubblico, invece, tocca la beffa di nuove figure apicali come il cosiddetto “sindaco dell’ospedale”, incaricato di garantirne l’“umanizzazione”. Per Deambrogio, si tratta solo di un’invenzione populista dell’assessore Riboldi: “Non serve un sindaco della sanità. Servono risorse adeguate alle ASL e un ascolto vero delle assemblee democratiche. Il resto è propaganda”.

Ma è sul fronte delle fragilità sociali che il piano mostra la sua vera debolezza. Gli anziani cronici e non autosufficienti restano senza un progetto di copertura sanitaria graduale, come la legge imporrebbe, almeno al 70-80% degli aventi diritto. Oggi in Piemonte più di 18mila famiglie si trovano a dover pagare rette da 2.500 a 3.000 euro al mese, spesso insostenibili. E la risposta del piano, nella parte curata dall’assessore Maurizio Marrone, lascia sconcertati: corsi ai familiari per imparare a “cavarsela da soli”. Una sorta di “fai da te” della sanità che non solo nega l’integrazione sociosanitaria, ma scarica sulle spalle dei parenti un peso enorme, certificando – nero su bianco – il disastro attuale.

Il piano promette anche innovazioni tecnologiche, come il nuovo Cup unico regionale con intelligenza artificiale e l’app “Piemonte in Salute”. Ma, anche qui, resta il dubbio: davvero basteranno un algoritmo e una piattaforma digitale per smaltire liste d’attesa che superano i 200 giorni per alcune prestazioni? O si tratta solo di un maquillage tecnologico che non affronta le radici del problema?

Alla propaganda delle grandi cifre e delle nuove sigle, Deambrogio contrappone la realtà quotidiana: cittadini che aspettano mesi per una visita, famiglie costrette a indebitarsi per una Rsa, ospedali in sofferenza di organici e territori lasciati nell’incertezza. “Non solo si nega l’integrazione sociosanitaria”, ribadisce, “ma si certifica un disastro, scaricando sulle famiglie un peso insostenibile”.

Ecco perché, conclude, non bisogna lasciarsi distrarre dalle schermaglie interne alla stessa maggioranza di centrodestra. “Il cuore del piano è pericoloso e va radicalmente contestato, perché mortifica la partecipazione democratica e riduce sempre più il diritto alla salute a un privilegio dimezzato”.

Le magie di Riboldi

C’è chi fa sparire la colomba, chi sega in due la donna. Federico Riboldi invece fa sparire la sanità pubblica. È un mago di prima categoria: con una mano promette ospedali d’eccellenza, con l’altra riduce i pronto soccorso a sportelli bancomat con la scritta spoke. Il trucco è semplice: non dire mai chi sarà hub e chi sarà spoke, così nessuno si accorge della fregatura finché non si ritrova a due ore di macchina da un reparto di cardiologia.

Poi ecco la flotta dei volontari, l’idea che farà impallidire Uber. Malati caricati su macchine regionali, guidate da pensionati improvvisati autisti. Una specie di BlaBlaCar della disperazione. Non c’è problema: le liste d’attesa non si riducono, ma almeno ti fai un bel giro turistico da Domodossola a Cuneo.

E ancora, la trovata delle nuove figure dirigenziali. Perché curare i malati è noioso, meglio inventarsi un altro direttore, magari con titolo altisonante, così sembra di aver fatto la riforma. La prossima volta toccherà al “coordinatore delle sale d’attesa” o al “manager della flebo”, tanto per dare l’impressione che tutto sia sotto controllo.

Ma la magia più nera è quella riservata agli anziani non autosufficienti: niente copertura sanitaria, rette da tremila euro al mese, e un consiglio finale degno di Mago Do Nascimento: arrangiatevi. Corsi di sopravvivenza domestica per figli e nipoti, perché, si sa, la sanità fai-da-te è il futuro.

E il bello è che Riboldi si applaude da solo, convinto di aver fatto il numero dell’anno. In realtà, è solo riuscito a trasformare la sanità piemontese in un numero da baraccone: applausi registrati, pubblico preso in giro e, dietro le quinte, pazienti che aspettano ancora una visita.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori